La ragione come dottrina, il giudizio
sul passato, l’attivismo del presente cerca di portare in
evidenza l’individuo, le sue prerogative, il tutto verso un
mutamento pratico, di valore sociale. Essi sostengono
l’inalienabilità dei poteri e dei diritti naturali degli uomini.
Ecco, quindi, che le teorie degli illuministi divengono teorie
“politiche”. Se nella storia ci si è allontanati dall’integrità
di questi diritti, ecco, allora, aprirsi un campo di battaglia
per gli illuministi, che motivano il presente (e il suo futuro)
al raggiungimento di una nuova affermazione di essi.
L’orizzonte, d’altra parte, del problema è assai vasto, quasi
una nuova rifondazione della società in tutti i suoi aspetti (da
quelli economici, giuridici, culturali, ecc.). Gli
illuministi si pongono come riformatori della società loro
contemporanea, a partire dall’applicazione di concetti di
“moralità”. La storia ha piegato la politica ad uso dei
governanti del passato, attacco e difesa, trame politiche,
tecniche di dominio. A tutto questo gli innovatori
contrappongono proprio il concetto di politica intesa come
servizio agli uomini e ai loro diritti naturali. E’ una vera
rivoluzione concettuale. Nasce la critica alle religioni
storiche e alle strutture amministrative e giuridiche. Questa
voglia della riaffermazione dei diritti naturali (derivata dal
giusnaturalismo) ha le basi nella grande filosofia greca e nel
pensiero civile del medioevo. Ciò che differenzia il pensiero
illuminista nei confronti di questi citati è che esso non è una
nuova teoria filosofica. Gli illuministi si applicano nella
realtà in funzione di un rinnovamento vero con l’applicazione di
questi diritti. Essi fanno opera di propaganda e
convincimento dei governanti e di tutti coloro che possano dare
un contributo alla trasformazione delle strutture sociali del
tempo. D’altra parte “l’illuminazione” degli individui finirà
per influire non solo sull’enciclopedismo, ma anche sulla stessa
Rivoluzione francese e sui suoi ideali di base. Se la
Rivoluzione fu un atto comunque violento della storia, tra gli
obiettivi principali del nuovo pensiero vi era quello della
“felicità”, del suo perseguimento nelle strutture della società,
nella pace, come fine ultimo della storia universale.
Naturalmente collegata ad essa vi sono i concetti di fraternità
degli individui e dei popoli, il superamento dei confini e delle
barriere doganali, in funzione, questo, di uno sviluppo
economico che risolva definitivamente il problema della miseria.
L’industrializzazione e le teorie economiche e sociali ottengono
su questa base una rilevante spinta e affermazione. Il
concetto di “felicità”, rapportato all’intera società, non è,
come potrebbe apparire secondario a tutte le altre teorie, ma
fondamentale. Helvetius lo definiva il diritto di tutti i
diritti, e tutti gli altri principali esponenti illuministi
hanno trattato quest’argomento come fulcro del nuovo pensiero.
Tutto questo venne, però, bollato come “astratto” dai loro
successori romantici, che non solo creeranno nuovi
concetti nazionalistici, ma anche bellicisti. Ad essi si sono
assommati gli idealisti e spiritualisti, che hanno definito la
“ricerca della felicità” come “materialismo edonistico”, e
taluni marxisti come “utilitarismo borghese”. Rimane, tuttavia,
di riferimento come motivazione semplice ma tuttora
rivoluzionaria oggigiorno. La formula di Helvetius “massima
felicità per il maggior numero”, è rappresentazione della
società moderna, alla ricerca di una qualità della vita e della
coesistenza fra i popoli nella pace.
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