La convocazione degli Stati Generali
Gli Stati
Generali, riuniti nel 1789, non erano più quelli del 1614.
Allora gli Aristocratici e gli ecclesiasti, insieme, pur non
essendo cambiati percentualmente, riuscivano a mettere in
minoranza il restante Terzo Stato. Stavolta, però, gli interessi
di quest’ultimo erano tali da aprire un confronto di potere.
L'elezione dei deputati agli Stati Generali, in un dibattito
serrato, creò delle aspettative nel Terzo (e non solo) e
dei suoi variegati componenti. I contadini speravano
nell’abolizione dei diritti feudali, con un miglioramento della
qualità della loro vita. La classe borghese filo-illuminista
desiderava la realizzazione dell'uguaglianza dei diritti e nella
instaurazione di una monarchia parlamentare di tipo inglese.
Altrettanto illuminista era una parte dell’aristocrazia stessa,
come, anche, la parte del basso clero, che viveva a contatto con
il popolo. Tutti sognavano un cambiamento del tutto innovativo.
Durante la campagna elettorale, furono pubblicati i
cahiers de doléances ("quaderni delle
contestazioni") che elencavano le rimostranze per i soprusi
patiti dal Terzo Stato. Si affrontò il problema del
funzionamento stesso degli Stati Generali fino ad allora,
possedendo questi un sistema di voto “truccato”, che aveva
permesso ad una esigua minoranza di governare la Francia.
Infatti, il sistema
di voto prevedeva un singolo voto per un singolo Stato. Poiché
gli interessi del clero e dello stato aristocratico
coincidevano, il Terzo Stato non avrebbe mai raggiunto la
maggioranza.
Il
Terzo Stato chiese l’aumento dei propri rappresentanti eletti
(raddoppiandoli) affinché fosse adeguatamente rappresentato il
suo vero peso nella società. Nonostante Necker, riunì
un’assemblea di notabili (il 6 novembre 1788), che rigettò
l’idea del raddoppio dei rappresentanti, il 27 novembre 1788, un
decreto reale accettò la modifica. Il Terzo Stato chiese
anche tra le modifiche strutturali l’introduzione del voto
singolo o “per testa”, che avrebbe rivoluzionato il
funzionamento degli Stati Generali. Luigi XVI non si pronunciò
in proposito, lasciando la modifica agli Stati Generali stessi.
Dopo l’elezione dei rappresentanti, gli Stati Generali
convennero a Versailles, il 5 maggio 1789, tra l’euforia
popolare. All’apertura, parlarono il Re, Necker e Barentin,
il guardasigilli. Svolsero i loro discorsi soltanto sulle
impellenti questioni finanziarie, cioè, delle tasse. Sin
dall’inizio i rappresentanti del Terzo stato si resero conto che
le modifiche fatte (il raddoppio dei rappresentanti) erano, più
che altro, formali, non cambiando il sistema di voto, che
rimaneva “per ordini”, cioè per singolo Stato. Altre modifiche
non erano in programma. Il Terzo stato voleva il voto
singolo, l’assemblea unica di tutti i rappresentanti e le
modifiche strutturali degli Stati Generali. Al Re e al governo
interessava solo la questione delle tasse e non volevano,
sostanzialmente, nessuna modifica. Era chiaro che i nodi
sarebbero arrivati al pettine, creando lo stallo dell’assemblea.
Cosa che avvenne il 27 maggio. Il giorno dopo l'abate Sieyès
(del Terzo Stato) chiese una verifica dei cosiddetti
Communes ("Comuni"), cioè, del suo Stato, a cui partecipasse
tutto il consesso. Alcuni rappresentanti degli altri due Ordini
singolarmente migrarono nel Terzo.
Il 17 giugno 1789
avvenne lo strappo: con il Giuramento della Pallacorda, gli
eletti del Terzo Stato, nei Communes, si autoproclamarono
come unici rappresentanti legalizzati. Come primo provvedimento
si dichiararono come Assemblea Nazionale, unica a rappresentare,
non gli Stati, ma il popolo stesso. Gli interessi da difendere
erano quelli di tutta la nazione, con o senza la partecipazione
degli altri due Stati. Il 19 giugno, il Clero, avendo al suo
interno molti parroci simpatizzanti, accettò la verifica,
unendosi all’Assemblea Nazionale.
La nuova assemblea
muovendosi concretamente, cercò di risolvere il problema del
debito pubblico, rivolgendosi ai possessori di capitale, che gli
diedero fiducia. Firmo, quindi, il debito nazionale e le tasse,
ma solo in via provvisoria, che erano state emanate
“illegalmente”. Tutto ciò veniva garantito solo se l’Assemblea
stessa avesse continuato a riunirsi, rimanendo in sessione. Il
problema della povertà e della fame fu affrontato con la
creazione di un comitato di sussistenza. Al rapido succedersi
degli avvenimenti, Necker tentò di stilare un proprio progetto,
tuttavia, alquanto complesso. Fu superato dal rapido sviluppo
della situazione. Anche il Re tentò, con una serie di
provvedimenti, di riportare l’assemblea all’interno degli Stati
Generali, abolire il proprio decreto, separando gli stessi
Ordini. Le decisioni furono da lui emanate da Marly.
Successivamente, il 20 giugno, dispose la chiusura della sala
(la Salle des États), dove si riuniva l’assemblea. Con
grande semplicità quest’ultima si spostò nel campo della
pallacorda del Re, dove effettuò, come abbiamo visto, il
giuramento (il 20 giugno 1789). Il 22 giugno, Luigi XVI vietò
l’uso della sala della pallacorda. L’assemblea, tranquillamente,
si riunì nella chiesa di Saint-Louis. Il giorno seguente, di
fronte l’Assemblea, il Re decretò diversi provvedimenti censori,
tra cui ordinava, a conclusione, a tutti i rappresentanti eletti
di disperdersi. I nobili ed il clero abbandonarono la sala. Il
Terzo Stato rimase ai propri posti. Nonostante tutti i
divieti e tutti i provvedimenti del Re, che tentava di riportare
lo stato delle cose a come era all’inizio, i fatti, ormai, lo
ignorarono. 47 membri aristocratici si unirono all’assemblea,
tra i quali il Duca d'Orléans. Moltissimi del clero, che erano
intervenuti nella chiesa di Saint-Louis, fecero altrettanto.
Persino Necker si riavvicinò, dopo essere caduto in disgrazia
con il Re.
Mentre il conte di Artois, in una lettera al
presidente del partito della nobiltà, scriveva che la vita del
Re era in pericolo, quest’ultimo riunì gli Stati Generali. Il
27 giugno,
all’apertura del consesso, ci si rese conto delle molte
defeziomi, ormai irrecuperabili. Intanto truppe militari si
spostarono verso la capitale.
L’Assemblea,
nella riunione del
9 luglio 1789,
si nominò come Assemblea Nazionale Costituente, avendo
intenzione di promulgare una carta costituente. Nei contatti con
il Re, essa chiese fermamente il ritiro delle truppe affluite a
Parigi. Luigi XVI rispose che la decisione spettava a lui solo.
Le due strade divergevano. L’Assemblea come organo dall'intera
Nazione, accettò il principio illuminista della sovranità
nazionale, di
Diderot. Le
riunioni cominciarono ad essere riportate sui giornali,
spostando il dibattito politico nelle vie e nelle piazze di
Parigi, a cui tutti potevano partecipare. Il Palais Royal
divenne il centro di discussione in città. Molti reggimenti
militari si spostarono a favore del popolo. Necker fu
destituito il 12 luglio ed il 13 Luigi XVI riunì il consiglio
del Re. Gli avvenimenti stavano precipitando. Il popolo,
impaurito, organizzò una manifestazione, non essendoci quel
giorno riunioni dell’Assemblea Nazionale. Soldati, di origine
tedesca, ricevettero l’ordine di caricare e sparare sulla folla:
vi furono feriti e si creò un enorme caos. Il giorno
seguente, il 14 luglio, si erano già formate milizie popolari
con la distribuzione di armi (con 60.000 uomini). L'Assemblea
nazionale invitò il Re ad allontanare i soldati radunati fuori
Parigi, temendo possibili scontri. Il Re rifiutò l’invito. Le
notizie del possibile ingresso delle truppe in città, spinse la
gente, gettata nella disperazione, ad armarsi. Nell'arsenale
dell'Hôtel
des Invalides i parigini si procurarono delle armi, tra cui
dei cannoni. Non avendo, però, polvere da sparo, la massa degli
insorti si diresse verso la prigione reale della Bastiglia, per
procurarsene: era iniziata la Rivoluzione francese.
La Rivoluzione Francese, per
complessità e vastità, è nel suo sviluppo alquanto ingente. Si
consiglia, quindi, per approfondire e conoscerla nella sua
interezza, di continuare la ricerca su Internet. Rimandiamo, a
titolo esemplificativo, alla voce Rivoluzione Francese di
Wikipedia.
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