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Per amministrare la Sicilia, gli arabi la divisero in tre zone dette “valli”: la Val di Mazara, che comprendeva la zona occidentale; la Val Dèmone (dall’antica città di Dèmena)  che com­prendeva la zona nordorientale e la Val di Noto, che comprendeva la zona sud-orientale. Queste erano governate da kadì (in dialetto «gaìti»), che sottostavano all’emiro che soggiornava a Palermo. Proprio per essere il capoluogo siciliano, la città conobbe, in questo periodo, un grande sviluppo, raggiungendo una popolazione più grande di trecentomila abitanti.
Sempre a causa dell’amministrazione della Sicilia, i siciliani vennero divisi in classi di diversa tipologia:

indipendente, che conservava i vecchi ordinamenti;

tributaria
, che pagava la «gezia»;
vassalla
, o «dsimmi» assoggettata dalla conquista;
servi della gleba
  o «memluk», legati ai latifondi che coltivavano.

Nonostante quello che si può pensare, i musulmani in Sicilia non perseguirono i cristiani, anzi il loro comportamento fu essenzialmente tollerante. La loro cultura ha lasciato nello spirito dei siciliani importanti tracce. In questo periodo nascono le leggende plutoniche (i tesori nascosti detti «truvature»), e l’apparizione della “maschera” tradizionale di Giufà.
La denominazione dell’Etna che è ancora utilizzata dai siciliani, il Mongibello, ha origini arabe. Il nome è doppio anche in arabo: gebel significa proprio «montagna», e quindi Mongibello ha significato come «il monte-montagna». I siciliani, infatti, soprannominano l’Etna, con grande naturalezza, a montagna, per la sua evidente preminenza.

Nella toponomastica isolana avvengono mutazioni, dovute alla lingua araba, che la caratterizzano tutt’ora:
 
Enna diviene Castrogiovanni (<Kasr-Jan», castello di Enna), e così si chiamerà fino al 1927;
         il fiume Akesines diventa Alcàntara («al Qantara», il ponte);
        
i vari casali divengono Racalmuto, Regalbuto, Ragalna, Mezzojuso (da «mensil Ju­suf», casale di Giuseppe), Misilmen, Mussomeli (da «rahal» e da «mensil»);
        
le diverse fortezze («kalat») sparse nell’isola si trasformano in Ca1tanissetta, Caltagirone, Caltabellotta, Calatafimi («castello di Eufemio», come pure Isola delle Femmine non è che l’«isola di Eufemio»), Calatabiano, Calascibetta;
        
i porti divengono Marsala («porto di Alf») e Marzamemi («porto delle t6rtore»);

Diverse sono le vestigia dell’architettura araba ancora visibili e apprezzabili. Si parte, naturalmente dal Palazzo della Zita a Palermo, poi quello della Cuba, sempre a Palermo, le cupole della Martorana e di San Giovanni degli Eremiti a Palermo, fino ad arrivare alle terme di Cefalà Diana.
La cultura letteraria siciliana d’origine musulmana conta degli artisti validissimi, anche se disconosciuti oggi. Tra questi possiamo annoverare: Ibn-al-Qatta (poeta), al-Ballanubi (poeta),
Ibn-­Hamdis da Siracusa
(poeta) e al-Mazari (giurista).
Nel campo economico diverse sono le innovazioni: furono importate molte coltivazioni come l’arancio, il limone, il riso, la canna da zucchero, e il gelso; con provvedimenti fiscali, come l’eliminazione dell’imposta sugli animali da tiro, si cercò di incentivare la piccola proprietà fondiaria; fu incrementata l’industria della seta e si svilupparono le attività commerciali.


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