"Tutto deve cambiare affinché non cambi niente"
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
Il gattopardo)
Mack Smith, storico inglese,
ne "I re d'Italia", a proposito del periodo storico
successivo all'unità d'Italia (1861), scrive: "La documentazione
di cui disponiamo è tendenziosa e comunque inadeguata. ... gli
storici hanno dovuto essere reticenti e, in alcuni casi, restare
soggetti a
censura
o imporsi un'autocensura". In effetti, sembra che la
spedizione dei Mille e la conquista del Regno Borbonico, sia
stata trattata in maniera “favolistica”. Episodi come la strage
di Bronte o il Brigantaggio, vengono messi ai margini del Mito
di Garibaldi, eroe buono che, con pochi volontari, combatte e
vince contro il mostro dell’ esercito borbonico enormemente più
numeroso. Alcuni storici, ad esempio, vedono nella presenza
delle navi da guerra inglesi di Lord Palmerston, l’Argus
e l’Intrepid,
ancorate a Marsala, qualcosa di più di una semplice coincidenza.
Grosse quantità di zolfo siciliano venivano acquistate
dall’Inghilterra, perché questo era utilizzato sia come
carburante unito al carbone, sia come elemento base per la
produzione dell’acciaio. Il tutto collegato alla Seconda
Rivoluzione Industriale che viveva in quel periodo la Gran
Bretagna. La presenza delle navi e i rapporti intessuti con gran
parte del comando dell'esercito borbonico, fecero sì che lo
sbarco dei garibaldini a Marsala non si trasformasse in un
fallimento "alla Pisacane". Il Regno delle Due Sicilie era,
poi, tutt’altro che arretrato. Diversi sono i record che
contava, come la
prima
ferrovia in Italia: la
Napoli-Portici.
Molti baroni e latifondisti non si opposero all’impresa
dei garibaldini, perché la proprietà terriera non era in
discussione, come molti contadini vi parteciparono, sognando una
ridistribuzione delle terre demaniali. La strage di Bronte del 4
agosto 1860, che vide Nino Bixio sedare nel sangue una rivolta
di contadini, al di là del merito, dimostra le attese di quella
che era la popolazione meridionale, formata, soprattutto, di
contadini. Questi si scoprirono, invece, a subire tasse più
elevate e la leva obbligatoria (inesistente nell'ancien regime e
ai Borbone), che li costringeva a far fronte alla diminuzione di
braccia all’interno della famiglia per il sostentamento di essa.
Al di là di una memoria “smemorata”, quindi, la spedizione dei
Mille è la chiave di volta per capire la storia dello Stato
unitario italiano e dei problemi che si porterà dietro nei
tempi. Alcuni storici vedono, infatti, nell'impresa dei Mille il
punto di partenza di fenomeni complessi come il brigantaggio
(1861-1865), lo squilibrio nord-sud e la cosiddetta "Questione
meridionale".
Alcuni storici arrivano a definire “guerra civile”, quella che
si suole chiamare “brigantaggio”. A parte il termine
brigantaggio, infatti, il problema apertosi nell’ex Regno delle
due Sicilie, è più ampio e complesso e non può essere limitato a
fenomeno delinquenziale. Al malessere popolare dovuto al
rispetto delle nuove regole, nuove tasse e coscrizione
obbligatoria, si aggiunse la delusione alla mancata approvazione
di nuove libertà o la mancata riforma agraria (contadini in
condizioni disperate di servi della gleba al limite della fame),
e, anche, la resistenza filo borbonica (soprattutto da parte di
soldati rimasti fedeli alla dinastia borbonica), che,
ovviamente, continuò attivamente nei territori meridionali. Il
tutto formò una miscela esplosiva che non poteva che detonare.
Il nuovo Regno d'Italia affrontò duramente il fenomeno, con
un’aspra repressione. Furono impiegati ben 140.000 militari. Vi
fu la sospensione dei diritti costituzionali (la Legge speciale
Pica, del 1863), la legge marziale nei territori del Mezzogiorno
e l’applicazione del diritto di rappresaglia sulla popolazione
civile. I soldati, alla caccia dei rivoltosi, operarono
devastazioni, saccheggi e la distruzione di interi paesi (come a Pontelandolfo e Casalduni).
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