Abbiamo visto come la rivolta
indipendentista siciliana del 1848, iniziata
il 12 gennaio,
sia stata la prima insurrezione di tutte quelle di quell’anno,
così travagliato in tutt’Europa. Ma al di là di ciò, nonostante
i Borboni soffocassero la rivoluzione, essa non fu che il canto
del cigno per questi ultimi. Rimase tra i siciliani un malessere
così forte da esplodere nel 1861 con la miccia di nome
Garibaldi. Quella del 1848 fu l’ultima
di quattro rivoluzioni che ebbero luogo in Sicilia tra il 1800
ed il 1849.
Perché così tante rivolte?
Il Regno di Sicilia e il Regno di Napoli, a partire dal Vespro
Siciliano, avevano convissuto del tutto separati. Quando la
Corte Borbonica fu costretta a fuggire da Napoli a Palermo
(protetta dalla marina britannica) a causa della discesa delle
truppe di Napoleone nella penisola, i nobili siciliani avevano
magistralmente convinto il re borbone ad emanare una
Costituzione sul modello di quella inglese, il sistema
Westminster del governo parlamentare. Alla fine delle guerre
napoleoniche, dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando IV di
Napoli e III del Regno di Sicilia, tornato a Napoli, cancellò la
costituzione siciliana. Gli ex regni di Napoli e di Sicilia
vennero, inoltre, riuniti nel regno borbonico delle Due Sicilie.
Il 12 gennaio 1848, giorno del compleanno di Ferdinando II
delle Due Sicilie, nato a Palermo, nel 1810,
durante il periodo napoleonico, come torta gli fu servita
la rivolta della città, tre giorni dopo la distribuzione di
manifesti e volantini. Tirata fuori dal cassetto la
costituzione, emanata da Ferdinando IV, il Parlamento siciliano
decretò la creazione dello Stato di Sicilia con Ruggero Settimo
come capo del governo. I Borboni, perso il controllo dell’isola,
rimanevano asserragliati nei forti messinesi. Come in
tutt’Italia, gli eserciti della restaurazione ebbero alla fine
la vittoria sulle rivoluzioni: il 15 maggio 1849, i soldati
borbonici rientrarono a Palermo, dopo una sanguinosa guerra di
riconquista. Ruggero Settimo riparò a Malta, dove visse in
esilio fino alla morte, avvenuta nel 1863.
Intanto nel sud Francesco II prese il posto, il 22 maggio 1859,
di suo padre re Ferdinando II, morto prematuramente. Giovane ed
inesperto, consigliato da cattivi consiglieri, avviò una
politica piuttosto moderata. Nel frattempo i patrioti
s’infiltrarono nell’esercito e nei gangli vitali dello Stato
borbonico. Nell’aprile del 1860 le rivolte di Messina e
Palermo, anche se soffocate agli inizi, rappresentarono il
segnale dell'insofferenza non solo delle classi dirigenti, ma
coinvolgeva largamente anche la popolazione cittadina e rurale:
i tempi erano maturi per un colpo di mano. I rischi
dell’operazione erano alquanto limitati. L'Austria non poteva,
oggettivamente, riprendere la guerra a meno di un anno dalla
sconfitta di Solferino e San Martino. Oltretutto il Regno di
Sardegna si era rinforzato militarmente: l’esercito piemontese
era passato da cinque a ben quattordici divisioni. Napoleone
III, inoltre, godeva, in quel periodo, di una determinante
influenza politica in Italia, a cui non avrebbe certamente
rinunciato.
Il generale Giuseppe Garibaldi e 1070 volontari, il 5 maggio
1860, partirono da Quarto (oggi un quartiere di
Genova)
su due navi a vapore (il "Piemonte" e il "Lombardo"),
dell’armatore Raffaele Rubattino, acquistate Il
4 maggio
1860 con atto notarile da Garibaldi, in realtà, già pagato in
segreto dallo Stato di Sardegna. Fecero sosta a Talamone, presso
Grosseto, il 7 maggio, dove i Mille si armarono di tutto punto,
in segreto, grazie al presidio piemontese di stanza nel forte di
Talamone e quello di Orbetello. Quì una parte minima di 67
volontari furono inviati verso gli Stati pontifici, per
intorbidire le acque e sviare i sospetti. Vennero poi
intercettati dallo stesso esercito regio, che li rispedì verso
la Sicilia. il 9 maggio vi fu un’ulteriore sosta a Porto Santo
Stefano, per il rifornimento di carbone. Questo venne acquistato
da Garibaldi, probabilmente in veste di maggiore generale del
Regio Esercito. Poi ripresero la navigazione. All'alba dell'11
maggio, i due vapori passarono fra le isole siciliane di
Favignana e Marettimo, apprendendo da un pescatore che le navi
borboniche si erano spostate in direzione sud-est, verso
Sciacca. Il caso volle che un’ingente guarnigione di soldati
borbonici era stata spostata (volontariamente?), il giorno prima
dello sbarco, da Marsala a Palermo a causa di notizie di rivolte
in quest’ultima.
L'11 maggio, presso Marsala vi fu lo storico sbarco dei Mille in
terra siciliana. Lo sbarco avvenne senza problemi, protetto da
due navi inglesi, l'"Argus" e l'"Intrepid", che sostavano a
difesa dei magazzini nel porto e dei molteplici stabilimenti
produttori del famoso “vino marsala”, allora di proprietà di
imprenditori inglesi. Quando navi da guerra borboniche
raggiunsero l’area dello sbarco, non conoscendo il possibile
comportamento degli inglesi, non spararono un colpo. Al calare
della sera, a sbarco effettuato, le navi attuarono un
bombardamento molto circostanziato, a parte le navi serviti ai
garibaldini per giungere in Sicilia.
Intanto la propaganda
piemontese si mise in moto, unendosi a quella europea contro
l'atto di pirateria del "bandito Garibaldi".
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