Vivian Maier, la tata-fotografa che ha conquistato il mondo con il suo sguardo unico

Oltre 10.000 visitatori hanno già attraversato le sale del Centro Culturale Altinate – San Gaetano di Padova per scoprire la straordinaria storia di Vivian Maier, la tata-fotografa che ha conquistato il mondo con il suo sguardo unico. Grazie al grande entusiasmo del pubblico e all’elevato numero di presenze registrate sin dall’apertura, la mostra Vivian Maier. The exhibition sarà prorogata fino al 19 ottobre 2025.

Vivian Maier. The exhibition
Centro Culturale Altinate | San Gaetano, Padova
La mostra è prorogata fino al 19 ottobre 2025

Un successo crescente, fatto di emozioni, sguardi e storie catturate dall’obiettivo di un’artista che ha saputo raccontare la quotidianità con intensità e poesia. Le immagini in mostra – molte delle quali inedite – tracciano un ritratto intimo e potente della società americana del Novecento, ma anche della misteriosa figura di Maier, il cui talento è rimasto nascosto per decenni.

Questa proroga è un’occasione in più per chi non ha ancora visitato l’esposizione e per tutti coloro che desiderano tornare ad ammirare la più ampia retrospettiva mai dedicata a Vivian Maier, conle oltre 200 fotografie tra scatti in bianco e nero e a colori, filmati super 8, oggetti personali, documenti d’archivio e sale esperienziali e immersive.

Prodotta e organizzata dal Comune di Padova e Arthemisia, da un progetto di Vertigo Syndrome e in collaborazione con diChroma photography, la mostra è realizzata con il contributo di AcegasApsAmga e vede come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.

Il catalogo è realizzato da Moebius in collaborazione con Réunion des musées nationaux (RMN) – Grand Palais e Musée du Luxembourg, Paris.

Circondata da un alone di mistero che ha contribuito ad accrescerne il fascino, quella di Vivian Maier (1° febbraio 1926 – 21 aprile 2009) è la storia di una donna che ha fatto della fotografia la sua ragione di vita, senza mai esporsi, ma nascondendosi dietro l’obbiettivo, con il quale catturava immagini indimenticabili, spaccati di vita quotidiana che ha reso eterni.

Tata di mestiere, fotografa per vocazione
, non abbandonava mai la macchina fotografica, scattando compulsivamente con la sua Rolleiflex: la sua strategia era l’anonimato, rubare scatti senza mettere in posa i soggetti, senza costruire messe in scena. Catturando, semplicemente, la vita che aveva intorno, forse senza stare a pensarci troppo. Senza orpelli, né artifici di alcun genere. Ecco allora i suoi scatti che raffigurano bambini – quelli di cui si prendeva cura, ma anche quelli che, per caso, incontrava per la strada, e di cui sapeva catturare e rendere immortali i loro sguardi. Come un selfie ante litteram, come a voler dire “ci sono anche io” in mezzo a tutta questa vita che scorre tra le strade della Grande Mela o in altre grandi città.

Con la scatto silenzioso della sua Rolleiflex Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Dai banchieri di Midtown ai senzatetto addormentati sulle panchine dei parchi, alle coppie che si abbracciavano o, molto spesso, riprendendo se stessa: Gli oltre 150.000 negativi scattati nel corso della sua vita coprono una immensa gamma di soggetti. Dai primi anni Cinquanta fino agli anni Novanta, Vivian Maier si è occupata di documentare meticolosamente ogni aspetto della vita che la circondava, ovunque andasse. Eppure, il suo lavoro è rimasto sconosciuto a chiunque, conservato chiuso dentro centinaia di scatole, quasi fino alla sua morte.

È il 2007 quando John Maloof, all’epoca agente immobiliare, acquista durante un’asta parte dell’archivio della Maier confiscato per un mancato pagamento. Capisce subito di aver trovato un tesoro prezioso e da quel momento non smetterà di cercare materiale riguardante questa misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe.
Maloof ha co-diretto un documentario candidatoall’Oscar, “Finding Vivian Maier” (2014) che ha dato alla fotografa fama mondiale.


Prima sezione – Vivian sono io

La mostra si apre con gli autoritratti dell’artista, tra le opere che più l’hanno resa iconica. Riflessi in specchi, ombre e sagome mostrano la sua visione di sé e il suo approccio sperimentale. In questi scatti, Maier esplora sé stessa con una straordinaria capacità creativa e intuitiva, immortalando la propria immagine in riflessi di specchi, ombre e superfici di vetro. Ogni fotografia non è solo un’affermazione della sua presenza in un momento e luogo specifici, ma rappresenta anche un dialogo con la cultura contemporanea del selfie, rivelando l’attualità del suo linguaggio visivo.

Seconda sezione – Uno sguardo ravvicinato e sincero su un’epoca passata

In questa sezione, siamo condotti per le strade di New York e Chicago, dove Maier amava perdersi tra i quartieri popolari, osservando la vita quotidiana e immortalando con il suo obiettivo i volti, le espressioni e le emozioni di una società in trasformazione. Il suo sguardo acuto e sincero cattura la bellezza e la profondità delle persone comuni, in particolare delle donne. Nella sua esplorazione dell’America del dopoguerra, Maier si concentra su coloro che vivono ai margini del sogno americano, ritratti con una spontaneità che precede il momento in cui, accorgendosi di essere osservati, avrebbero potuto perdere la loro autenticità.

Terza sezione – L’America del dopoguerra e la facciata del sogno americano

Le immagini raccontano di coloro che non hanno trovato il loro posto nel “sogno americano”. Scatti rubati a persone ai margini della società, spesso ripresi di spalle o senza che si accorgessero della sua presenza.

Quarta sezione – Il Super 8 e la vivace trama umana degli spazi metropolitani

Questa sezione esplora le esperienze cinematografiche di Maier. Negli anni Sessanta, Maier si avvicina anche al linguaggio cinematografico, alternando l’uso della sua fotocamera Rolleiflex con la macchina da presa Super 8. Filma frontalmente la realtà che la circonda, senza artifici o montaggi, e cattura la vivace trama umana degli spazi metropolitani. Questo approccio documentaristico arricchisce ulteriormente la sua già vasta produzione fotografica, rendendo ogni scatto un tassello di un mosaico più ampio che racconta la vita urbana in tutta la sua complessità.

Quinta sezione – Tutti i colori della straordinaria vita ordinaria

Qui troviamo rare immagini a colori, scattate nei quartieri operai con una Leica 35 mm. I colori intensi e saturi aggiungono una dimensione inaspettata alla visione di Maier, tipicamente conosciuta per il suo lavoro in bianco e nero. Il colore, per Maier, è un altro strumento potente. Le sue immagini a colori, realizzate con una Leica 35 mm, conferiscono dinamismo e intensità alle scene di vita quotidiana, in particolare nei quartieri operai di Chicago. Qui, il colore diventa il “Blues” che anima le strade della città, in un gioco cromatico che contrasta con la silenziosa profondità del suo lavoro in bianco e nero.

Sesta sezione – Bambini nel tempo

Altro tema centrale della mostra è l’infanzia, un argomento caro a Maier, che per quasi quarant’anni ha lavorato come tata. Le sue fotografie dei bambini di cui si prendeva cura rivelano uno sguardo attento e sensibile, capace di cogliere l’essenza più autentica e genuina della loro vita. Volti, espressioni, giochi e lacrime: ogni immagine è un ritratto vivido dell’infanzia, intriso di un’intensità emozionale rara.
Vivian Maier ha dedicato molti scatti ai bambini, catturandone l’innocenza e l’intensità emotiva. In questa sezione, vediamo le risate e le espressioni dei piccoli soggetti, in uno dei temi più ricorrenti e personali del suo lavoro.

Settima sezione – L’astratto visto da vicino


Sede
Centro Culturale Altinate | San Gaetano
Via Altinate, 71 – 35121 – Padova

Date al pubblico
25 aprile – 28 settembre 2025
(la mostra aprirà il giorno 24 aprile alle ore 15.00)

Orario apertura
Dal martedì alla domenica 10.00 – 19.30
Chiuso il lunedì
(la biglietteria chiude un’ora prima)

Biglietti
Intero € 16,00
Ridotto € 14,00

Info e prenotazioni
T. +39 049 748521
info@arthemisia.it

Info e prenotazioni gruppi e scuole
T. +39 049 748521
didattica@arthemisia.it

Sito
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Social e Hashtag ufficiale
#VivianMaierPadova
@arthemisiaarte

Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Oltre 72mila visitatori al Palazzo dei Diamanti di Ferrara

Sono stati 72.855 i visitatori delle mostre Alphonse Mucha e Giovanni Boldini allestite a Palazzo dei Diamanti dal 22 marzo al 20 luglio 2025.

Attraverso una selezione di 150 opere il pubblico ha potuto conoscere ed approfondire la biografia, il percorso artistico e i molteplici aspetti della produzione di Alphonse Mucha, artista poliedrico che raggiunse fama internazionale nella Parigi fin de siècle e che contribuì all’affermazione della nascente Art Nouveau. La mostra, a cura di Tomoko Sato con il coordinamento scientifico di Francesca Villanti, è stata organizzata da Fondazione Ferrara Arte, Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara eArthemisia, con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e la collaborazione di Mucha Museum e Prague City Tourism.

GRANDE SUCCESSO delle mostre “Alphonse Mucha” e “Giovanni Boldini”

Oltre 72mila visitatori al Palazzo dei Diamanti, Ferrara

Nelle sale dell’ala Tisi di Palazzo dei Diamanti sono state contestualmente presentate oltre 40 opere di Giovanni Boldini – tra dipinti ad olio, pastelli, acquerelli, disegni e incisioni – selezionate fra quelle custodite nel Museo a lui intitolato: un viaggio tra i capolavori del maestro ferrarese per raccontare il suo talento di pittore della “donna moderna” e del suo fascino. La mostra, curata da Pietro Di Natale, è stata organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara.

Sui 72.855 ingressi, i biglietti venduti in prevendita sono stati complessivamente 24.763 mentre i restanti sono stati acquistati presso la biglietteria di Palazzo dei Diamanti. 
Il giorno più visitato è stato il Lunedì dell’Angelo, 21 aprile, con 1.617 ingressi.
Le mostre sono state molto apprezzate dai gruppi scolastici: sono 166 le classi che hanno visitato l’esposizione per un totale di 3.472 studenti coinvolti, provenienti, in egual numero, sia da Ferrara e Provincia sia da altre città.
Ottimo risultato anche per i cataloghi delle mostre: sono state vendute 4.155 copie di quello di Muchae 1.963 di quello di Boldini.

«Il grande successo delle mostre dedicate a Mucha e Boldini conferma, ancora una volta, che Palazzo dei Diamanti è uno dei luoghi della cultura più importanti e attrattivi del nostro paese. È stata davvero una grande emozione vedere le sale affollate da visitatori provenienti da tutta Italia e dall’estero, molti dei quali giunti in città appositamente per visitare le mostre, che dunque, anche per questo, hanno determinato un notevole indotto per l’intera comunità. Ringrazio tutti coloro che, con la consueta professionalità, hanno contribuito a questo risultato straordinario», afferma il sindaco Alan Fabbri.

«Queste due splendide mostre hanno saputo coniugare rigore scientifico e capacità di coinvolgimento, consentendo al pubblico di ammirare i capolavori di due giganti della Belle Époque in un’atmosfera elegante e suggestiva. L’attenzione ricevuta dalle scuole, dalle famiglie e dai visitatori di tutte le età dimostra quanto sia importante continuare a investire in proposte culturali di alto livello che, per la diversità degli argomenti trattati, ampliano costantemente il bacino di utenza. Per questo, da oggi, siamo di nuovo al lavoro con la preparazione della grande mostra su Marc Chagall, che aprirà l’11 ottobre», aggiunge l’assessore alla Cultura Marco Gulinelli.

Il Presidente della Fondazione Ferrara Arte Vittorio Sgarbi dichiara: «La formula della “doppia mostra”, già sperimentata lo scorso anno, quando, su mia indicazione, abbiamo affiancato alla monografica su Escher la mostra-dossier dedicata ai cofanetti in pastiglia del Rinascimento, è stata, ancora una volta, una scelta vincente. Dopo aver conosciuto l’appassionante vicenda biografica e ammirato le tante, straordinarie creazioni di Alphonse Mucha, uno dei padri dell’Art Nouveau, i visitatori hanno avuto infatti l’occasione di immergersi nel mondo di Giovanni Boldini, che, come il ceco, si affermò nella Parigi della Belle Époque ottenendo un successo di portata internazionale. Boldini tornerà protagonista l’anno prossimo a Palazzo Massari, quando, finalmente, riapriremo il museo che porta il suo nome».

Pietro Di Natale, Direttore della Fondazione Ferrara Arte, precisa: «Grazie a un sondaggio condotto durante i primi mesi di apertura abbiamo accertato che il 61,9% degli intervistati è venuto a Ferrara appositamente per visitare le mostre; dato che assume ancor più risalto se consideriamo che il 15,7% del campione risulta residente in città o nei comuni limitrofi. Tutto ciò evidenzia la bontà e l’attrattività della proposta espositiva e indica che mostre di alta qualità come queste oltre ad essere fondamentali momenti di divulgazione culturale e di educazione alla bellezza hanno la capacità di richiamare pubblico “forestiero” generando dunque un impatto più che positivo sui servizi di ospitalità, ristorazione e commercio della città».

«Siamo felicissimi del grande successo riscosso dalle mostre dedicate a Mucha e Boldini: un risultato che ci riempie di orgoglio e conferma il forte interesse per le proposte culturali di qualità. È la seconda volta – afferma Iole Siena, Presidente di Arthemisia – che lavoriamo a Ferrara e abbiamo trovato nuovamente un contesto ideale per realizzare esposizioni di alto profilo, capaci di coinvolgere un pubblico ampio e variegato. Questo successo ci dà ulteriore entusiasmo per il prossimo progetto che ci vede collaborare con la Fondazione Ferrara Arte: l’attesissima mostra su Marc Chagall, che sarà uno degli appuntamenti imperdibili della stagione autunnale».

La programmazione di Palazzo dei Diamanti prosegue dall’11 ottobre con la mostra Chagall, testimone del suo tempo: un percorso espositivo di sorprendente intensità emotiva che invita il pubblico a immergersi nell’universo poetico di uno dei più importanti e amati maestri dell’arte del Novecento.

Com’è andata?
Prenotazioni e prevendite 
In totale i biglietti venduti in prevendita sono stati complessivamente 24.763. Di questi, a usufruire della prenotazione organizzandosi in gruppi sono state 8.824 persone. Le rassegne hanno ottenuto un buon riscontro anche dai gruppi scolastici: 166 le classi in mostra per un totale di 3.472 studenti di cui 1.988 delle secondarie di secondo grado, 774 delle secondarie di primo grado, 420 delle primarie e 290 della scuola dell’infanzia.
Le prevendite online hanno ricevuto gradimento anche dai singoli visitatori, scelte da 15.939 persone.

Iniziative didattiche e culturali
Positivo il bilancio del programma di iniziative didattiche e culturali a cura di “Senza titolo”.
Sono state 37 le attività svolte con le scuole nell’ambito del percorso didattico ideato e realizzato appositamente in occasione delle mostre, per un totale di 900 studenti coinvolti.
La proposta Dentro l’opera ha offerto alle famiglie con ragazzi e ragazze tra i 6 e gli 11 anni cinque visite animate con laboratorio per approfondire il tema dell’ideale femminile nell’effervescente stagione della Belle Époque (in totale 75 partecipanti).
Inoltre, nel mese di giugno, si è tenuta una nuova edizione di Estate a Palazzo dei Diamanti destinata a bambini e bambine dai 6 ai 12 anni.
Il progetto di centri estivi, a cui hanno aderito 36 ragazzi e ragazze, ha approfondito ogni settimana un differente aspetto del tema del Tempo, attraverso laboratori, letture, visite a musei, mostre o luoghi significativi e giochi. Palazzo dei Diamanti è stato una sorta di atelier centrale, punto di partenza per tutte le esplorazioni proposte (dal Museo della Cattedrale allo Spazio Antonioni, da Casa Ariosto al Castello Estense), ma anche luogo dove raccogliere, consolidare e condividere quanto è stato scoperto, compreso e rielaborato sotto la guida di educatori museali.

Grande successo sabato 17 maggio, in occasione della Notte Europea dei Musei, per l’apertura serale straordinaria, dalle 19.30 alle 23.30,che prevedeva un biglietto speciale a 10 €: gli ingressi sono stati 459.
La stessa sera, dalle 19.30, per offrire al pubblico un’ulteriore opportunità, si è tenuto nel loggiato di Palazzo dei Diamanti un concerto gratuito organizzato dal Conservatorio G. Frescobaldi nell’ambito del Festival miXXer con musiche di Montsalvatge, Donatoni, Rosato e Joplin.

Da segnalare infine l’attenzione suscitata dal ciclo di conferenze organizzate presso la Sala Rossetti di Palazzo dei Diamanti:incontri che hanno affrontato vari temi legati alla produzione artistica di Mucha e Boldini (170 presenze).
Inoltre, durante questi mesi, altre prestigiose sedi a Bologna, Rovigo e Padova hanno ospitato incontri dedicati alle due esposizioni di Palazzo dei Diamanti riscuotendo grande interesse (250 presenze).

Visite guidate
Sono state scelte da 199 gruppi, per un totale di 4.209 visitatori, tra adulti e gruppi scolastici. Tra queste sono piaciute molto le visite guidate per i singoli visitatori del sabato, domenica e festivi, riuniti in specifico in 43 gruppi per 957 singoli partecipanti.

Riscontro sui media
Plausi alle mostre sono giunti anche dalla critica, con recensioni sulle maggiori riviste di settore e ampie pagine di approfondimento, sia sulle testate locali, sia sui principali quotidiani nazionali. Sono stati pubblicati circa 420 articoli che parlavano delle mostre, oltre a servizi televisivi e radiofonici.

La mostra sui social
Le mostre dedicate a Mucha e Boldini hanno suscitato un’attenzione significativa anche online: su Instagram si sono registrate oltre 1,6 milioni di visualizzazioni, di cui 475 mila raggiunte senza attività di sponsorizzazione, mentre su Facebook le visualizzazioni complessive hanno superato i 32 milioni, con quasi un milione di copertura organica. Oltre 300 mila accessi al sito di prenotazione testimoniano come l’interesse suscitato dalle opere dei due maestri sia andato ben oltre le sale espositive, coinvolgendo un pubblico ampio e trasversale.


Ufficio Stampa Arthemisia
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Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro | MARGARET BOURKE-WHITE. L’opera 1930-1960

La Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia presenta la mostra Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960, a cura di Monica Poggi e realizzata in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia, dal 25 ottobre all’8 febbraio in programma nelle sale affrescate dei Chiostri di San Pietro.

Un percorso affascinante che attraverso 150 fotografie ripercorre il lavoro, la vita e l’esperienza umana di Margaret Bourke-White (New York, 14 giugno 1904 – Stamford, 27 agosto 1971), testimone instancabile del suo tempo e pioniera capace di superare barriere e confini di genere.

REGGIO EMILIA
CHIOSTRI DI SAN PIETRO
 
Margaret Bourke-White
 L’opera 1930-1960
 
a cura di Monica Poggi 
 
25 ottobre 2025 – 8 febbraio 2026
 
Organizzata da Fondazione Palazzo Magnani
in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

La mostra, divisa in sei sezioni, prende avvio da I primi servizi di ‘Life’, quando nel 1936 la celebre rivista americana per il numero d’esordio scelse una fotografia che Bourke-White scattò alla diga di Fort Peck in Montana, e prosegue con i suoi reportage sulle industrie americane, raccolti ne L’incanto delle fabbriche e dei grattacieliRitrarre l’utopia in Russia ripercorre l’esperienza dell’autrice come prima fotografa ammessa in Unione Sovietica, mentre in Cielo e fango, le fotografie della guerra sono esposte le immagini scattate sui fronti europei, africani e sovietici della Seconda Guerra Mondiale. La mostra prosegue con Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea, dove sono raccolte le fotografie dedicate ai maggiori conflitti degli anni Quaranta-Cinquanta, e si conclude in Oro, diamanti e Coca-Cola, testimonianza visiva delle sempre più marcate differenze sociali che l’autrice immortalò sia in Africa, dove compì diversi viaggi, sia negli Stati Uniti.

Approfondendo i passaggi chiave della carriera di Bourke-White, l’esposizione lascia emergere anche lo spessore umano e personale della fotografa, il suo carattere emancipato e lo stile di vita stravagante – nel proprio studio sul Chrysler Building, a New York, allevava due alligatori – che le permisero di affrontare con tenacia un contesto sociale ad appannaggio maschile e di diventare negli anni Trenta una delle donne più celebri degli Stati Uniti. Dapprima come portavoce delle politiche nazionali sul New Deal, veicolate attraverso uno stile capace di unire esigenze testimoniali e narrative con un’estetica vicina a quella della propaganda di inizio secolo. E successivamente come eroica e avventurosa fotoreporter, motivata dall’interesse documentaristico e dall’impegno sociale a muovere da uno stile più artistico, fatto di echi modernisti e di visioni scenografiche con cui immortalava i complessi industriali, sempre al limite delle possibilità tecniche e logistiche, a un tratto più fotogiornalistico, adatto a raccontare gli individui e la loro esistenza segnata da conflitti e difficoltà.

Negli anni in cui ad ossessionarmi era stata la bellezza delle architetture industriali, nelle mie foto le persone erano state presenze puramente casuali. […] Ora invece, mi interessano solo le persone“, diceva Bourke-White raccontando dei reportage realizzati sulla vita americana negli anni successivi al collasso economico. Indagine sociale che in seguito la conduce in Unione Sovietica, prima fotografa a testimoniare i piani quinquennali di Stalin (1929-1933) e poi a documentare i conflitti sui principali fronti di guerra di metà Novecento, contesti in cui viene accolta come una celebrità e considerata una risorsa cruciale per comunicare ciò che accade durante gli scontri. Tanto da ottenere l’autorizzazione per seguire l’avanzata degli alleati in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale ed entrare, l’11 aprile 1945, nel campo di concentramento di Buchenwald, dove ritrasse i sopravvissuti scheletrici, gli ammassi di corpi, ma anche i volti attoniti dei civili: “Vidi e fotografai pile di corpi nudi senza vita, i pezzi di pelle tatuata usata per i paralumi, gli scheletri umani nella fornace, gli scheletri viventi che di lì a poco sarebbero morti per aver atteso troppo a lungo la liberazione. In quei giorni la macchina fotografica era quasi un sollievo, inseriva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo di fronte”, raccontava la fotografa.

Nonostante la diffusione di macchine fotografiche portatili, leggere e maneggevoli, sono imprese che Bourke-White porta a termine preferendo il medio o grande formato anche nelle situazioni più scomode e pericolose, prediligendone l’alta precisione ottica e la monumentalità che conferivano ai soggetti. Non vi rinuncia nemmeno quando negli anni Quaranta-Cinquanta viaggia tra India, dove ritrae Gandhi, Pakistan e Corea. Anche in questi contesti di conflitto continua a preferire la posa alla presa diretta, più cara ad autori coevi come per esempio Robert Capa o Henri Cartier-Bresson, che impiega per restituire dignità alle persone provenienti dai contesti più umili, trasformati dalle sue immagini in portavoce dei drammi e delle storie dell’intera umanità.

Sensibilità umana e ambizione si uniscono così a comporre il profilo di una fotografa instancabile e impavida, sagace ed estrosa, la cui visione sconfinata emerge da un episodio curioso, risalente al 1955, quando, mentre cercava di combattere il morbo di Parkinson con operazioni sperimentali e terapie innovative, chiese al suo editore Henry Luce di garantirle l’incarico per il primo viaggio sulla luna. “Certo dovrei risolvere il problema del mezzo di trasporto”, scriveva nella lettera. “Forse tra qualche anno troverò la soluzione. Forse saltare la corda non significa che io sia in grado di andare sulla luna, ma la scienza corre così veloce, chissà“.

Un viaggio potente nello sguardo di una donna che ha saputo raccontare la storia attraverso  immagini che ancora oggi parlano con forza al nostro tempo. Per riflettere sull’attualità del suo sguardo e sulla capacità della sua opera di interrogare il presente, la Fondazione Palazzo Magnani propone un programma di incontri pubblici dedicati al cosiddetto “Secolo americano”: quell’insieme di caratteri storici, culturali, ideologici, economici e sociali che hanno segnato il Novecento e che ancora incidono profondamente nella cultura e nelle vicende del presente.


Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960
A cura di Monica Poggi
Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro (Via Emilia San Pietro, 44c)
25 ottobre 2025 – 8 febbraio 2026
 
Organizzata da Fondazione Palazzo Magnani
in collaborazione con CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
 
Informazioni: www.palazzomagnani.it
 
Ufficio stampa Fondazione Palazzo Magnani
Stefania Palazzo s.palazzo@palazzomagnani.it T +39  0522 444409
Elvira Ponzo e.ponzo@palazzomagnani.it T +39 0522 444420
 
Ufficio stampa  mostra
Anna Defrancesco comunicazione
annadefrancesco.com
press@annadefrancesco.com
 
Anna Defrancesco ad@annadefrancesco.com 
Chiara Tavasci chiara@annadefrancesco.com 
Da Anna Defrancesco comunicazione <press@annadefrancesco.com>

A Cremona, la valorizzazione di un maestro poco noto al grande pubblico

Nei 500 anni dalla morte dell’artista il Museo Diocesano di Cremona annuncia, dal 10 ottobre 2025 al 11 gennaio 2026, la prima mostra monografica su Boccaccio Boccaccino (Ferrara?, 1462/ante 22 agosto 1466 – Cremona, 1525). L’evento è organizzato dal Museo Diocesano di Cremona con la collaborazione della Soprintendenza ABAP per le province di Cremona Lodi e Mantova e il patrocinio del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona dell’Università degli Studi di Pavia.

IL RINASCIMENTO DI BOCCACCIO BOCCACCINO
Cremona, Museo Diocesano
10 ottobre 2025 – 11 gennaio 2026
Firenze, Galleria degli Uffizi

La mostra si pone come occasione irripetibile di studio e di ricerca e, al tempo stesso, un momento di valorizzazione di un maestro poco noto al grande pubblico, ma pur sempre di indubbia importanza nell’ambito della cultura figurativa del Rinascimento in Italia settentrionale, tanto da essere definito da Giorgio Vasari, nelle sue celebri Vite, “raro” ed “eccellente pittore”. Grazie alla sua attività, attestata nei più importanti centri del nord Italia, Boccaccino si propose infatti sulla scena come un intelligente interprete della lezione impartita da Leonardo a Milano e da Giorgione a Venezia.

L’idea di mostra scaturisce dalla recente acquisizione, da parte del Museo Diocesano di Cremona, di una tavola del Maestro, frammento di una pala d’altare un tempo nella chiesa di San Pietro al Po a Cremona, che rappresenta l’ultima sua opera, eseguita poco prima della morte. Con questa acquisizione il Diocesano di Cremona può vantare oggi il più cospicuo nucleo museale di opere di Boccaccino, che comprende il frammento di pala (restaurato) già citato, la stupenda Annunciazione Ludovisi (deposito permanente da parte della Fondazione Arvedi Buschini), la Crocifissione e la Sacra famiglia con Maria Maddalena.

Attraverso prestiti di grande rilevanza, concessi da importanti istituzioni museali tra cui le Gallerie degli Uffizi, la Galleria Estense, il Museo di Capodimonte, il Museo Civico di Padova, il Museo Correr, la mostra ripercorre la vicenda artistica di Boccaccino dalle origini sino agli ultimi anni, dando conto della sua attività attestata a Ferrara, Genova, Milano, Venezia, Roma e Cremona, nella cui Cattedrale si conserva lo straordinario ciclo affrescato nella navata centrale. Si potrà così comprendere il rilievo del pittore nel più ampio contesto del Rinascimento italiano tra la fine del XV e i primi tre decenni del XVI secolo.

Il percorso prende avvio dalla prima attività di Boccaccino tramite due importanti testimonianze, l’Adorazione dei pastori del Museo di Capodimonte e la Madonna col Bambino dei Musei Civici di Padova, che consentono di inquadrare le prerogative stilistiche del pittore, suggestionato, alla fine del XV secolo, dai fatti figurativi di ascendenza emiliano-ferrarese e dalla cultura di matrice leonardesca.

A documentare lo spostamento di interessi di Boccaccino, a seguito del suo rocambolesco trasferimento da Ferrara a Venezia, avvenuto nell’anno 1500 dopo un drammatico fatto di cronaca nera, la mostra propone l’Adorazione dei pastori della Galleria Estense di Modena, dove si scorge con maggiore evidenza l’eco del magistero di Giorgione.

Tra le prime opere realizzate a Venezia va ricordata l’ancona per la chiesa di San Giuliano, la cosiddetta ‘pala di San Zulian’, oggi inamovibile, evocata dalla Madonna col Bambino in trono e un donatore di collezione privata, già nella raccolta dei principi di Liechtenstein a Vienna e mai esposta.

Nel corso della permanenza in laguna Boccaccino ebbe modo di mettere a punto un linguaggio raffinato, che si evince dalla stupefacente coppia di Evangelisti e dall’iconica Zingarella delle Gallerie degli Uffizi. Il soggiorno veneziano rappresentò anche l’occasione per confrontarsi con la tipologia della ‘sacra conversazione a mezze figure’, brevettata da Giovanni Bellini e ampiamente diffusa. Un esempio in tal senso è offerto dalla Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria del Museo Correr di Venezia.

Nell’estate del 1506 l’artista giunse a Cremona dove fu incaricato di affrescare il catino absidale del Duomo e l’Annunciazione sull’arco santo, subito replicata nella meravigliosa tavola già in collezione Ludovisi, oggi al Museo Diocesano di Cremona. Allo stesso periodo datano la ‘pala di Sant’Agata’ del 1508 (recentemente restaurata) e la Crocifissione su tela, entrambe conservate al Diocesano. L’impresa più eclatante della carriera di Boccaccino, avviata al ritorno da un soggiorno a Roma, è però rappresentata dalle Storie della Vita della Vergine e dell’infanzia di Cristo sulla parete sinistra della navata del Duomo di Cremona (1514-1519). La prossimità di questo ciclo alla sede della mostra invita a entrare in Cattedrale e ammirare questo memorabile ciclo di affreschi.

L’esposizione cremonese si completa con due opere risalenti all’estrema maturità dell’artista, il Ritratto di gentiluomo di collezione privata, sinora mai esposto al pubblico e ad oggi unico testimone della produzione ritrattistica del pittore, e il frammento restaurato della cosiddetta ‘pala Fodri’. In queste opere, nonostante l’età avanzata, il maestro dimostra di essere aggiornato sulle novità proposte da altri maestri del Rinascimento padano, per esempio da Girolamo Romanino e Altobello Melone, e di essere inserito nei più importanti circuiti cittadini, godendo della stima dei contemporanei.

La direzione scientifica della mostra è affidata al dott. Francesco Ceretti (Università degli Studi di Pavia) e al dott. Filippo Piazza (Soprintendenza ABAP per le province di Brescia e Bergamo), coadiuvati da un comitato scientifico di alto profilo, che annovera il dott. Gabriele Barucca (già Soprintendenza ABAP per le province di Cremona Lodi e Mantova), il prof. Francesco Frangi (Università degli Studi di Pavia), la dott.ssa Maria Cristina Passoni (Pinacoteca di Brera), la dott.ssa Cristina Quattrini (Pinacoteca di Brera) e il prof. Marco Tanzi (Università del Salento).

I risultati delle ricerche confluiranno in un catalogo, edito da Officina Libraria, corredato da saggi a firma dei curatori e di altri studiosi, accompagnati dalle schede delle opere esposte.


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Grazie a Banca Ifis il restauratore Federico Borgogni ha provveduto alla messa in sicurezza

– Nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 luglio, l’opera The Migrant Child di Banksy è stata rimossa dalla facciata di Palazzo San Pantalon a Venezia per completarne il salvataggio e continuare a diffondere il messaggio di inclusione e speranza promosso dall’artista;

– La richiesta di salvaguardia dell’opera era stata promossa dal Ministero dei Beni Culturali e accolta da Banca Ifis per volontà del Presidente Ernesto Fürstenberg Fassio.

L’opera di Banksy sarà nuovamente resa fruibile al pubblico nell’ambito delle progettualità gratuite organizzate da Ifis art in accordo con le Autorità preposte alla tutela del patrimonio artistico veneziano.

Banca Ifis ha completato con successo i lavori di messa in sicurezza e salvataggio di The Migrant Child, l’opera realizzata da Banksy nel maggio 2019 sulla facciata di Palazzo San Pantalon a Venezia. Dopo sei anni di incuria che ne hanno determinato il deperimento di una porzione pari al 30%, l’opera dell’artista britannico è ora salva e pronta per continuare a diffondere il proprio messaggio di inclusione e speranza.

Affidati al restauratore Federico Borgogni, i lavori di messa in sicurezza di The Migrant Child hanno preso il via lo scorso martedì 3 giugno 2025. In questo periodo di tempo, Borgogni ha provveduto a svolgere la fase di depolveratura, i consolidamenti superficiali e di profondità e la pulitura delle superfici, operazioni necessarie per procedere al ristabilimento dell’adesione tra supporto murario e l’intonaco. Quindi ha provveduto a preparare la fase di distacco della porzione di parete su cui è dipinta l’opera. Questa fase si è completa nella notte tra mercoledì 23 e giovedì 24 luglio 2025, con l’asportazione di una parte del muro della facciata del Palazzo.

La scelta di preservare l’opera distaccando la porzione di muro del Palazzo rappresenta una vera e propria innovazione per il restauro a parete in Italia. La tecnica pittorica utilizzata da Banksy, unita alla natura storica della parete del Palazzo su cui è stato raffigurato il Bambino migrante, hanno reso inutilizzabili le tecniche classiche di restauro usate per affreschi e per la street artAttraverso il distacco, dunque, Banca Ifis garantisce la piena conservazione e fruibilità di un’opera unica nel suo genere, che è solo la seconda in Italia ufficialmente rivendicata da Banksy.

La porzione di parete è stata già trasferita in laboratorio per l’esecuzione delle fasi finali di restauro a cura di Federico Borgogni. L’intervento in programma prevede la rimozione selettiva delle aree murarie compromesse, con successivo riposizionamento dell’opera su un nuovo supporto alveolare, idoneo alla conservazione a lungo termine. Seguiranno la stuccatura delle lacune e un’integrazione pittorica a sottotono, condotta con criteri di riconoscibilità e nel rispetto della materia originale.

Al termine di questi lavori, il restauro sarà definitivamente completato e l’opera di Banksy sarà nuovamente resa fruibile al pubblico nell’ambito delle progettualità gratuite organizzate da Ifis art in accordo con le Autorità preposte alla tutela del patrimonio artistico veneziano.

Realizzata sulla facciata di Palazzo San Pantalon nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, The Migrant Child è una delle due sole opere rivendicate da Banksy e presenti su suolo italiano. Il disegno rappresenta la denuncia del misterioso street artist britannico verso il tema delle migrazioni: per farlo, Banksy ha raffigurato un bambino naufrago coi piedi immersi nell’acqua della Laguna veneziana intento a chiamare aiuto attraverso una torcia di posizione che emana un segnale color fucsia.


Situato nel sestiere di Santa Croce a Venezia, Palazzo San Pantalon rappresenta la testimonianza dell’edilizia veneziana pre-ottocentesca. Documentato già nel 1500 da Jacopo de Barbari, l’edificio si sviluppa su tre piani e dispone di una porta d’acqua che riflette la sua funzione storica e consente l’accesso ai canali Rio di Ca’ Foscari e Rio Novo. All’interno, il Palazzo si sviluppa su una superficie totale di circa 400 metri quadri mentre sulla sua facciata esterna è comparso, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, The Migrant Child, una delle sole due opere in Italia riconosciute ufficialmente dallo street artist Banksy.

Attualmente, il Palazzo è disabitato e versa in uno stato di incuria che ne sta mettendo a repentaglio la sicurezza. Accogliendo l’appello del Ministero dei Beni Culturali, nel 2024 Banca Ifis ha rilevato la proprietà del Palazzo per renderlo nuovamente fruibile alla città di Venezia. L’operazione è stata realizzata nell’ambito di Ifis art, il progetto voluto dal Presidente di Banca Ifis, Ernesto Fürstenberg Fassio, che ha l’obiettivo di valorizzare il patrimonio artistico e culturale italiano attraverso iniziative di collaborazione pubblico-private di ampio respiro. In sinergia con la Soprintendenza dei Beni Culturali, il Comune di Venezia e la Regione Veneto, Banca Ifis ha voluto ripristinare il valore dello storico Palazzo per riportarlo ai suoi fasti di un tempo. Per farlo, la Banca ha indetto un bando di gara che ha coinvolto i maggiori studi internazionali, i quali sono stati chiamati a presentare il miglior progetto di tutela e valorizzazione dell’immobile cinquecentesco. La gara è stata vinta da Zaha Hadid Architects che, a partire dal prossimo 3 giugno 2025, si occuperà delle operazioni propedeutiche al recupero totale dell’immobile. L’intervento previsto dallo studio Zaha Hadid Architects combina innovazione e rispetto per il patrimonio storico, con il principale obiettivo di conservare e valorizzare il Palazzo assecondando le sue caratteristiche. Nel disegno di Banca Ifis, una volta terminati i lavori di restauro il Palazzo ospiterà mostre dedicate soprattutto ai giovani artisti, italiani e internazionali, da realizzare in sinergia con la Biennale di Venezia.

***

La promozione e la valorizzazione della cultura italiana e del suo impatto sociale rappresenta uno dei principali ambiti d’azione di Banca Ifis che si esplicita attraverso Ifis art, il progetto di Banca Ifis ideato dal Presidente Ernesto Fürstenberg Fassio per riunire tutte le progettualità della Banca nel campo dell’arte e della cultura. Tra queste, la più significativa è la creazione del Parco Internazionale di Scultura di Banca Ifis, un progetto nato nel 2023 per celebrare i 40 anni dalla fondazione della Banca su idea del Presidente Ernesto Fürstenberg Fassio. Il Parco Internazionale di Scultura si sviluppa all’interno dei 22 ettari di giardino di Villa Fürstenberg a Mestre, ospita 25 opere plastiche di 15 maestri della scultura contemporanea, italiani e internazionali. Il Parco è aperto gratuitamente al pubblico che può prenotare la propria visita tramite la app Ifis art e rappresenta già una case history internazionale in materia di corporate collection e cultural and social responsibility. L’impegno della Banca per proteggere l’opera ha l’obiettivo di tenere vivo questo messaggio. In Ifis art rientra anche l’operazione di acquisto e restauro di dodici busti in gesso realizzati da Antonio Canova di eccezionale valore artistico, dopo il ritrovamento presso Villa Canal alla Gherla, a Treviso. I busti sono alti circa 50-60 cm e datati tra il 1807 e il 1818 e sono attualmente esposti alla Pinacoteca di Brera di Milano. La promozione dell’arte da parte di Banca Ifis riguarda i talenti italiani con la sponsorizzazione del Padiglione Italia alla Biennale Architettura e alla Biennale Arte di Venezia, che viene accompagnata dalla Banca con appuntamenti del Public Program ospitati all’interno della sede di Villa Fürstenberg a Mestre. Nell’ottobre 2024 Banca Ifis ha quindi suggellato la partnership tra la Pinacoteca di Brera e la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma con una grande mostra dedicata a Mario Ceroli (Castel Frentano, 1938) che sarà esposta prima a Milano e poi a Roma. Banca Ifis ha infatti rilevato l’intera collezione di Mario Ceroli e nel corso del 2025 sosterrà la creazione di una Casa Museo dedicata alla conservazione e cura della produzione artistica del Maestro Ceroli.


Davide Pastore
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Il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze accoglie il Frammento Vaticano di Giotto

Dal 29 luglio al 1 novembre 2025 il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze accoglierà, nell’ambito del ciclo “Caring for Art. Restauri in mostra”, un ospite  di importanza straordinaria per il mondo dell’arte e della ricerca:  il cosiddetto Frammento Vaticano, unico resto del ciclo di pitture murali che Giotto e la sua équipe realizzarono nel primo quarto del XIV secolo nell’antica Basilica di San Pietro in Vaticano. Un’opera di eccezionale valore storico e artistico, ora godibile pienamente dopo un complesso intervento di restauro condotto dall’Opificio delle Pietre Dure tra il 2016 e il 2019.

“Caring for art. Restauri in mostra”
SULLE TRACCE DI GIOTTO A ROMA:
il Frammento Vaticano
Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure
29 luglio – 1 novembre 2025

Il Frammento Vaticano rappresenta una rara testimonianza dell’attività romana di Giotto: si tratta di una porzione di pittura murale staccata, attualmente inglobata in un letto di gesso che ne costituisce il supporto, raffigurante due sobrie e potenti figure di santi a lungo identificate,  a torto, con San Pietro e San Paolo.

La storia di questo lacerto è affascinante e segnata da una complessa stratificazione di materie e memorie. L’antica Basilica di San Pietro, eretta nei primi secoli del Cristianesimo, fu progressivamente demolita a partire dal XVI secolo per far posto al progetto di Bramante e Michelangelo. Della decorazione murale trecentesca affidata al più importante pittore del tempo e  la cui memoria è tramandata nelle fonti, questo frammento è l’unica testimonianza materiale, sopravvissuto per il suo valore testimoniale e devozionale e perciò conservato nel tempo con grande cura.

Un’iscrizione sul retro ricorda come, nel 1610, l’opera fu donata da Pietro Strozzi, canonico della basilica vaticana e segretario di Papa Paolo V, a Matteo Caccini. Quest’ultimo, riconoscendone l’importanza, provvide a farlo ornare e a esporlo al culto, non sappiamo in che luogo, nel 1625. 

Poco visto e poco studiato, il dipinto è stato esposto  nel 2015 in occasione della mostra Giotto, l’Italia (Milano, Palazzo Reale), durante la quale emerse con chiarezza l’urgenza di un restauro che potesse  aiutare a comprenderne gli  aspetti tecnici e stilistici.

A partire dal 2016 l’Opificio delle Pietre Dure ha intrapreso una minuziosa campagna di indagini diagnostiche, seguita da un attento restauro. L’intervento ha avuto come fulcro la rimozione di ridipinture e patine sovrapposte nel corso dei secoli, che avevano progressivamente compromesso la leggibilità del pezzo, oscurando la raffinatezza della pittura originaria.

La pulitura ha riportato alla luce stesure delicate e finissime. Le indagini all’infrarosso hanno evidenziato la costruzione delle figure, caratterizzata da ombreggiature nette e profonde. Gli incarnati sono modellati con piccoli tocchi di pigmento – ocre e ossidi – su una base verdaccio, mentre i tratti dei volti, come nasi e labbra, sono marcati da decisi segni neri e rossi. Questa modalità esecutiva, riconoscibile e coerente con le tecniche giottesche, ha permesso di confermare l’attribuzione diretta al maestro stesso, dissipando i dubbi emersi nei decenni precedenti.

L’accurato recupero di questa pittura, oggi leggibile nella sua autenticità, consente di inserirla con maggiore certezza nel corpus delle opere giottesche, stimolando nuove riflessioni cronologiche e stilistiche, nonché confronti con altre prove della sua attività, dalla basilica inferiore di Assisi al Polittico Stefaneschi, fino al Santo Stefano oggi conservato al Museo Horne di Firenze.

Come ebbe a scrivere Serena Romano nello studio di presentazione dell’intervento  “Nella storia dell’arte medievale le certezze sono rare, le datazioni delle opere viaggiano di decenni se non di secoli, le attribuzioni sono difficili e i nomi d’artista, quando esistono, spesso nebbiosi. Quello che presentiamo oggi, dopo il magistrale restauro effettuato dall’Opificio, è invece un miracolo di storia, di conservazione, di tradizione: un miracolo che restituisce alla conoscenza pubblica quello che senza troppe cautele si può definire un grande inedito pittorico di Giotto e, per altri versi, un concentrato di vicende storiche eccezionali, ed eccezionalmente documentate“.

Questa prolungata esposizione offre quindi l’opportunità unica per il pubblico, tanto di studiosi come di semplici appassionati, di  ammirare un frammento giottesco quasi inedito, ma anche di conoscere da vicino i risultati di un progetto di studio, conservazione e valorizzazione condotto con rigore scientifico.

Si tratta di un evento eccezionale, reso possibile dalla generosa disponibilità dei proprietari dell’opera e dall’impegno costante dell’Opificio delle Pietre Dure per il patrimonio artistico italiano. In questo contesto, il ciclo “Caring for Art. Restauri in mostra” si conferma uno spazio di riflessione privilegiato sul valore della cura per l’arte, come atto conoscitivo e civile, che consente di riscoprire capolavori dimenticati e restituirli alla collettività.

Museo dell’Opificio delle Pietre Dure
Via degli Alfani 78 – Firenze
Orari di apertura: lunedì-sabato 8.15-14.00
L’accesso è compreso nel costo del biglietto di ingresso al Museo (intero 6,00 €, ridotto 2,00 €)
 
Aperture straordinarie serali: 1 e 29 agosto, 5 settembre con orario 19:00-23:00
Aperture straordinarie pomeridiane: 4, 11, 18, 25 settembre, 2, 9, 16, 23, 30 ottobre con orario 14:00-18:00
 
Ciclo OPD Caring for Art
Un progetto di Emanuela Daffra
Direzione del Museo: Laura Speranza, Riccardo Gennaioli con Angela Verdiani
Allestimenti: Lorenza Alcaro con Stefania Cacciatore e Pasquale Ieva
Comunicazione: Maria Emilia Masci con Veruska Filipperi 
 
Restauro e apparati per il pubblico
Opificio delle Pietre Dure
Settore Pitture murali e stucchi 
direzione: Renata Pintus 
Progettazione e direzione lavori per gli aspetti storico-artistici: Cecilia Frosinini
Progettazione e direzione lavori per gli aspetti tecnici: Alberto Felici
Esecuzione del restauro del frammento di pittura murale staccata: Alberto Felici 
Esecuzione del restauro della cornice: Alberto Dimuccio, Francesca Brogi 
Direzione indagini scientifiche: Giancarlo Lanterna, Carlo Galliano Lalli
Indagini radiografiche: Andrea Cagnini (lab. Scientifico OPD), con la collaborazione di Ottavio Ciappi
Indagini chimiche: Carlo Galliano Lalli, Giancarlo Lanterna (lab. Scientifico OPD), con la collaborazione di Federica Innocenti; 
Studio spettroscopico non invasivo mediante spettroscopia infrarossa in riflessione: Francesca Rosi, Laura Cartechini, Costanza Miliani (CNR-ISTM, Perugia)
Fluorescenza X: Pietro Moioli, Claudio Seccaroni (ENEA Roma, La Casaccia) 
Analisi georadar: Massimo Coli, Lorenzo Innocenti (Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Firenze), Paolo Papeschi, Fabio Giannino (IDS GeoRadar Srl, Exagon Group, Pisa)
Analisi a immagine multispettrale VIS-NIR: Raffaella Fontana, Jana Striova, Enrico Pampaloni, Alice Dal Fovo, Marco Raffaelli, Marco Barucci (CNR-INO, Firenze)
Diagnostica per immagini e documentazione fotografica: Roberto Bellucci e Ottaviano Caruso

Per informazioni
Opificio delle Pietre Dure, Museo
Via degli Alfani 78 – 50121 Firenze
Segreteria del Museo
tel.: 055 2651323
opd.museo@cultura.gov.it

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Referente Simone Raddi: simone@studioesseci.net 
tel. 049663499
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Conegliano: Ottobre nel segno di Banksy a Palazzo Sarcinelli

Ottobre nel segno di Banksy. È in preparazione a Conegliano, Palazzo Sarcinelli, la mostra “BANKSY e la Street Art” che si terrà dal 15 ottobre 2025 al 22 marzo 2026. Un viaggio, ricco di 80 opere, dentro uno dei movimenti artistici più dirompenti, controversi e affascinanti dell’epoca contemporanea. Curata da Daniel Buso, la mostra è organizzata da ARTIKA in collaborazione con Deodato Arte e la Città di Conegliano.

BANKSY e la Street Art
Conegliano, Palazzo Sarcinelli
Dal 15 ottobre 2025 al 22 marzo 2026

Mostra a cura di Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in collaborazione con Deodato Arte e la Città di Conegliano.

L’esposizione nasce con l’obiettivo di raccontare la street art e la sua parabola sorprendente: da forma espressiva marginale e spesso illegale, a linguaggio globale, riconosciuto, studiato e persino celebrato nelle sedi istituzionali. Il progetto curatoriale si sviluppa attorno a quattro grandi temi — ribellione, pacifismo, consumismo e lotta anti sistema — che attraversano l’opera di Banksy e dei maggiori street artist contemporanei. C’è spazio anche per interrogarsi sulle contraddizioni di questo movimento: può un’arte nata per contestare il sistema essere oggi esposta nei musei, venduta all’asta, diventare oggetto di mercato? Non vengono offerte risposte, ma contributi per stimolare una riflessione personale in ogni visitatore, lasciando spazio a domande aperte e interpretazioni individuali. Perché, in fondo, anche questa è la forza della street art: porre questioni più che dare certezze.

Le radici della street art affondano in tempi e luoghi lontani: dai graffiti rupestri alle pitture murali medievali, dai murales politici del dopoguerra al muralismo messicano. Negli anni ’70, dopo il golpe cileno, l’arte murale si reinventa come mezzo politico e collettivo. In Francia, durante il Maggio ’68, gli slogan diventano arte; mentre a New York, nel sottosuolo della città, nasce il writing: tag, firme e simboli si moltiplicano sui treni e sui muri. Nasce una grammatica visiva nuova, destinata a lasciare un’impronta indelebile.

In questo contesto prende forma la figura più enigmatica e rivoluzionaria della scena contemporanea: Banksy. Di origine britannica, ma dalla biografia ignota, Banksy ha fatto del mistero la sua cifra espressiva. I suoi lavori – spesso realizzati con tecnica stencil – sono interventi fulminei nello spazio urbano: soldati che disegnano il segno della pace, bambini con maschere antigas, ragazzine che abbracciano armi da guerra. Le sue immagini, ironiche e disturbanti, arrivano dritte al cuore della società contemporanea, svelando ipocrisie e contraddizioni. I luoghi scelti per le sue opere sono parte integrante del messaggio: dal muro che divide Israele e Palestina ai palazzi bombardati in Ucraina. Banksy non si limita a rappresentare il conflitto, lo attraversa. È un artista che non c’è, ma lascia ovunque il segno del suo passaggio. La sua comunicazione si muove con intelligenza tra arte e media: i suoi profili social sono il primo canale di diffusione, seguiti da una risonanza globale che trasforma ogni azione in un evento virale. La sua arte è clandestina, abusiva, ma profondamente politica.

La mostra ospita anche opere di altri protagonisti fondamentali della scena urban: Keith Haring, con il suo linguaggio grafico immediato e universale, nato nei tunnel della metropolitana newyorkese degli anni ’80, e Shepard Fairey, in arte Obey, che ha saputo denunciare la manipolazione delle immagini attraverso manifesti iconici. Accanto a loro, artisti contemporanei come Mr. Brainwash e Mr. Savethewall, che esplorano il confine tra arte, comunicazione e cultura pop.

“BANKSY e la Street Art” non è solo una mostra, ma un racconto immersivo e visivamente potente su un’arte che nasce dal basso, si rivolge a tutti e continua a interrogare il nostro tempo. Un’arte che ha rotto gli schemi, ridefinito il concetto di spazio pubblico e trasformato il muro – da superficie neutra – in luogo vivo, parlante, necessario.


Mostra a cura di
Daniel Buso
 
Organizzata da
ARTIKA di Daniel Buso ed Elena Zannoni
 
In collaborazione con
Comune di Conegliano e Deodato Arte
 
Spazio espositivo
Palazzo Sarcinelli, Via XX Settembre 132, Conegliano
 
Inizio mostra
Dal 15 ottobre 2025 al 22 marzo 2026
 
Per informazioni
+39 351 809 9706
e-mail: mostre@artika.it
website: www.artika.it
 
Ufficio Stampa
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
Tel. 049.663499
rif. Roberta Barbaro roberta@studioesseci.net
Elisabetta Rosa elisabetta@studioesseci.net
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La Collezione Peggy Guggenheim presenta Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana

Dall’11 ottobre 2025 al 2 marzo 2026, la Collezione Peggy Guggenheim presenta Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana, prima personale mai realizzata in ambito museale ad essere esclusivamente dedicata alle opere in ceramica di Lucio Fontana (1899–1968), tra gli artisti più innovativi, e a suo modo irriverenti, del XX secolo. Sebbene Fontana sia conosciuto soprattutto per le sue iconiche tele violentemente tagliate e bucate degli anni ’50 e ’60, questa mostra pone l’accento su una parte meno nota ma essenziale della sua produzione: il suo lavoro con l’argilla, iniziato in Argentina negli anni ’20 e proseguito poi per tutto il corso della sua vita. A cura della storica dell’arte Sharon Hecker, si tratta della prima monografica a offrire un esame approfondito della produzione in ceramica di Fontana. Come osserva Hecker: “A lungo associata all’artigianato più che all’arte, oggi la ceramica di Fontana sta ricevendo una nuova attenzione grazie al rinnovato interesse per questo materiale nell’arte contemporanea”.

Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana
11 ottobre 2025 – 2 marzo 2026

A cura di Sharon Hecker

Con circa 70 opere storiche, alcune delle quali mai esposte prima, provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, la mostra intende far luce sull’ampia visione scultorea di Fontana attraverso l’utilizzo di un materiale come l’argilla, rivelando come per l’artista abbia rappresentato, nel corso degli anni, un ricco e generativo terreno di sperimentazione. La sua produzione ceramica si distingue per la varietà di forme, tecniche e soggetti: dalle opere figurative che rappresentano donne, animali marini, arlecchini e guerrieri, fino alle sculture astratte, il suo approccio all’argilla recupera i rituali antichi imposti dalla materia, sui quali interviene in modi innovativi. La sua pratica ceramica si sviluppa nell’arco di decenni e in contesti molto diversi: dal primo periodo in Argentina al ritorno in Italia all’epoca del Fascismo, seguito da un ulteriore lungo soggiorno in Argentina durante la guerra, fino al dopoguerra nuovamente in Italia e alla ricostruzione del paese, durante il boom economico. Fontana realizzò anche oggetti per interni privati, dai piatti ai crocifissicaminetti e maniglie, spesso in collaborazione con importanti designer. Con rinomati architetti milanesi creò fregi ceramici per facciate di edifici e sculture per chiese, scuole, cinema, hotel, circoli sportivi e tombe che ancora oggi ornano la città. In mostra saranno presenti sia pezzi unici realizzati a mano che oggetti prodotti in serie, alcuni dei quali sfumano i confini tra le due categorie. Non mancheranno fotografie d’archivio che ritraggono Fontana al lavoro, testimonianza del ruolo fondamentale della mano nella creazione delle sue ceramiche e del rapporto intimo che sempre instaurò con la materia.

Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana invita il pubblico a riconsiderare Fontana non solo come pioniere dello spazialismo e dell’arte concettuale, ma anche come artista profondamente legato alla materia, attento al potenziale tattile ed espressivo dell’argilla. La mostra vuole inoltre sollevare nuove questioni di ordine storico, materiale e tecnico sulla sua pratica ceramica, che un critico dell’epoca definì come la sua “altra metà” e “seconda anima”. In contrasto con l’immagine consolidata di Fontana come figura solitaria, ipermaschile ed eroica che taglia le sue tele con un cutter, l’esposizione rivela un lato più informale, profondo e collaborativo dell’artista, radicato nella fisicità morbida dell’argilla e plasmato da relazioni durature, come quella con il ceramista e poeta Tullio d’Albisola e la manifattura ceramica Mazzotti di Albisola. Come afferma la curatrice: “L’argilla emerge come un contenitore di sperimentazione vitale, di molteplicità e fertilità”.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo illustrato, edito da Marsilio Arte, che includerà nuovi saggi critici della curatrice Hecker, e di Raffaele Bedarida, Luca Bochicchio, Elena Dellapiana, Aja Martin, Paolo Scrivano, Yasuko Tsuchikane, tutti dedicati alla pratica ceramica di Fontana e ai suoi contesti storici, sociali e culturali.

Completa l’esposizione un articolato programma di attività collaterali gratuite, volte ad approfondire e interpretare la pratica e il linguaggio visivo dell’artista, realizzate grazie alla Fondazione Araldi Guinetti, Vaduz.

Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana è sostenuta da Bottega Veneta.


Peggy Guggenheim Collection
Dorsoduro 701, 30123 Venezia
+39 041 2405411
guggenheim-venice.it
 
Per maggiori informazioni e per ricevere il materiale stampa della mostra:

Maria Rita Cerilli
press@guggenheim-venice.it
041.2405415
 
In collaborazione con
Studio ESSECI
Ref. Roberta Barbaro
+39 049663499
roberta@studioesseci.net
Da Studio ESSECI <segreteria@studioesseci.net>

Giovanni Segantini: la grande mostra a Bassano del Grappa

Dal 25 ottobre 2025 al 22 febbraio 2026 Musei Civici di Bassano del Grappa sono lieti di presentare al pubblico Giovanni Segantini, la grande mostra che celebra la vita e l’opera di uno dei massimi esponenti del Divisionismo italiano e tra i più sensibili osservatori del mondo naturale: Giovanni Segantini (1858-1899).

Promossa e organizzata dal Comune e dai Musei Civici di Bassano del Grappa, con il patrocinio della Regione del Veneto, con il supporto del Segantini Museum di St. Moritz e della Galleria Civica G. Segantini di Arco e in collaborazione con Regione Lombardia Dario Cimorelli Editore, l’esposizione ricostruirà la figura di Giovanni Segantini attraverso un’inedita rilettura della sua opera in confronto all’arte coeva, per raccontare una carriera che in soli vent’anni, dagli esordi “scapigliati” agli ultimi slanci simbolisti di catturare la Natura, ha saputo influenzare i maggiori movimenti artistici del suo tempo.

GIOVANNI SEGANTINI
Museo Civico di Bassano del Grappa
25 ottobre 2025 – 22 febbraio 2026

A cura di Niccolò D’Agati.

Una mostra di alto profilo scientifico che, dopo oltre dieci anni dall’ultima grande esposizione italiana, seguirà in ordine cronologico le tappe fondamentali della parabola del pittore arcense attraverso eccezionali prestiti nazionali e internazionali provenienti da alcuni dei più importanti musei d’Europa.

La mostra si inserisce nel programma ufficiale dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026, un’iniziativa che accompagna i Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali con un ricco calendario di eventi culturali diffusi sul territorio nazionale. In questo contesto, l’esposizione dedicata a Giovanni Segantini rappresenta un’occasione unica per valorizzare il patrimonio artistico italiano ed europeo, offrendo al pubblico internazionale un approfondimento sulla figura di un artista che ha saputo interpretare, con straordinaria sensibilità, il rapporto tra uomo e natura. La partecipazione all’Olimpiade Culturale sottolinea il ruolo centrale della cultura come ponte tra territori, generazioni e linguaggi, in linea con lo spirito dei Giochi.

“Oggi celebriamo non solo un grande artista, ma una visione. La visione di due Regioni – Lombardia e Veneto – che scelgono di fare sistema, mettendo la cultura al centro della preparazione verso un appuntamento storico: le Olimpiadi di Milano Cortina 2026” dichiara Francesca Caruso, Assessore alla Cultura di Regione Lombardia. “Questa mostra è importante anche – e soprattutto – per noi lombardi. Segantini è parte integrante della nostra identità culturale: si è formato all’Accademia di Brera, ha vissuto a Milano e in Brianza, e molte delle sue opere risiedono stabilmente nelle collezioni della nostra Regione – basti pensare alla Pinacoteca di Brera e alla Galleria d’Arte Moderna. Segantini è, a tutti gli effetti, anche un figlio della Lombardia”.

“La cultura è uno strumento straordinario, è sapere, è condivisione e riteniamo sia anche il miglior biglietto da visita per una città e un territorio che vogliano continuare ad aprirsi e farsi conoscere al mondo, a partire dalle proprie eccellenze e dal proprio patrimonio in campo artistico. Un patrimonio composto certamente da opere e luoghi, ma anche da relazioni, visioni e progetti” dichiara Nicola Ignazio Finco, Sindaco di Bassano del Grappa. “Prendercene cura, investire in progetti innovativi, usare con intelligenza le nuove tecnologie per valorizzare il patrimonio ereditato dal passato e allo stesso tempo farlo crescere, sono alcune delle sfide più importati per una Amministrazione che voglia raggiungere importanti risultati a partire dalle proprie caratteristiche e dalle nuove opportunità offerte dal nostro tempo. La mostra dedicata a Giovanni Segantini, artista che nelle sue opere celebra la natura e la montagna, temi strettamente legati al nostro territorio, si inserisce in questa visione ed essere presenti nel programma dell’Olimpiade Culturale Milano Cortina 2026 è per noi motivo di grande orgoglio”.

“L’Olimpiade Culturale è uno spazio di dialogo tra le arti, i territori e le persone, pensato per accompagnare i Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali con un racconto corale della nostra identità culturale” dichiara Domenico De Maio, Education and Culture Director di Milano Cortina 2026. “La mostra dedicata a Giovanni Segantini rappresenta un tassello prezioso di questo mosaico: un progetto che unisce rigore scientifico e visione internazionale, capace di restituire al grande pubblico la forza poetica di un artista che ha saputo interpretare la natura come luogo di bellezza, spiritualità e appartenenza. Siamo orgogliosi che questa iniziativa sia parte del programma ufficiale dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026”.

“La grande mostra dedicata a Giovanni Segantini, si inserisce in una stagione museale e culturale particolarmente importante per la nostra città, premiata dalla Regione del Veneto con il titolo di Città Veneta della Cultura 2025” afferma Giada Pontarollo, Assessore alla Cultura di Bassano del Grappa. “Nel comporne la programmazione, abbiamo voluto fare dialogare fra di loro le eccellenze che Bassano del Grappa sa proporre, per creare sinergie in grado di valorizzare al meglio ogni iniziativa. Nel caso specifico, la mostra sarà preceduta da due appuntamenti teatrali, uno in luglio, l’altro in agosto, inseriti nel calendario di Operaestate Festival Veneto, dedicati proprio a Giovanni Segantini e alla montagna come fonte di ispirazione. Siamo convinti che sia importante valorizzare il nostro patrimonio e in particolare gli artisti di ieri e di oggi che, legati a Bassano e ispirati dal nostro territorio, hanno conquistato successo e gloria nel mondo; ma è altrettanto importante dare spazio e disponibilità alle proposte create e condivise con altre realtà, coinvolgendo soprattutto le giovani generazioni con idee dal sapore contemporaneo”.

Nato ad Arco, ma trasferitosi nel 1865 a Milano, Segantini trascorre nella capitale lombarda un’infanzia travagliata, costretto in un istituto correttivo dal quale tenterà più volte l’evasione. L’arte entrerà lentamente a far parte della sua vita, grazie all’esperienza da garzone presso la bottega del maestro Luigi Tettamanzi – fotografo e pittore di striscioni, insegne e stendardi -, ma soprattutto con la frequentazione dell’Accademia di Brera dal 1875, dove avrà modo di avviare la sua ricerca artistica.

È proprio dal suo esordio a Brera che prende avvio la mostra, con un percorso cronologico-geografico, diviso in quattro sezioni e altrettanti focus tematici, che seguirà gli snodi più importanti della sua vicenda biografica in relazione ai suoi spostamenti tra Milano, la Brianza e la Svizzera, ponendo in luce l’evoluzione della sua pittura.

La fase milanese, oggetto della prima sezione, è segnata dall’incontro con Vittore Grubicy De Dragon – gallerista e sodale che influenzerà radicalmente l’evoluzione del suo percorso e della sua fortuna critica -, nonché dal diretto confronto con l’eredità della Scapigliatura e del naturalismo colorista, i cui esponenti venivano definiti da Segantini “il gruppo della rinascenza”. In questo vivace contesto si definisce la sua innata propensione allo studio delle potenzialità espressive di luce e colore, tramite una sorprendente varietà di soggetti: dai ritratti alle nature morte, dalle composizioni di genere alle vedute paesaggistiche e urbane, sino alle più sperimentali opere di matrice letteraria.

Sul finire del 1880 Segantini lascia Milano per trasferirsi in Brianza e abbracciare una vita di campagna dove definire la propria personalità artistica. Nel contesto di una rinnovata concezione dell’uso del colore e nei suoi valori emotivi e sentimentali, si cimenta con più varianti degli stessi soggetti, dedicandosi ad una pittura pastorale che rifiuta il tradizionale generismo italiano. In questa seconda sezione del percorso espositivo, dedicata alla fase brianzola, si concentrano infatti opere caratterizzate da un crescente interesse per la Natura, che è rappresentata nella comunione tra uomo, paesaggio e animali. All’analisi di questa fase, che rappresenta una delle novità più importanti della mostra, si riconduce anche il forte legame con l’artista francese Jean-François Millet, che apre a significativi confronti con la cultura artistica di fine Ottocento, segnata dall’ascendente millettiano, come accade con la produzione di Vincent Van Gogh e, in maniera più diretta, con le opere degli artisti della Scuola dell’Aja che saranno messi per la prima volta in relazione con la sua pittura.

Il percorso proseguirà con una terza sezione dedicata alla fase svizzera, che prende avvio nel 1886 con il trasferimento di Segantini nella piccola cittadina di Savognin. Durante questo soggiorno l’artista potrà dedicarsi alle sue grandi e celebri composizioni della vita montana, nelle quali si legge la sua personale interpretazione del rapporto panteistico tra Uomo e Natura. Una sperimentazione, quest’ultima, che lo porterà a spiccare tra i maggiori protagonisti del Divisionismo italiano, a partire dalla famosa Esposizione Triennale di Belle Arti di Milano del 1891.

L’ultimo decennio della produzione segantiniana è infine oggetto della quarta e ultima sezione di mostra, quando, a partire dal 1894, Segantini si trasferisce a Maloja e la sua ricerca artistica converge nel tentativo di riscrivere gli spazi naturali in termini pittorici, resi da lui assoluti ed eterni. Un obiettivo che raggiungerà attraverso la peculiare formula del “simbolismo naturalistico”: una sperimentazione in chiave simbolista ancorata, cioè, alla forza evocativa delle scene di vita montana che lo circondano. Sarà proprio questa ricerca ossessiva a portare Segantini ad una morte prematura: con lo scopo di finire il dipinto centrale del suo grande trittico, Natura, il pittore arcense si recherà infatti sulle alte montagne vicino a Schafberg, dove il ritmo frenetico del lavoro, unito all’altitudine elevata, lo farà ammalare di peritonite, malattia che porrà fine alla sua vita a soli 41 anni.

Troppo spesso l’opera di Segantini è stata considerata in una dimensione di romantico isolamentoteso a rispecchiare il mito di un artista eroicamente solitario. L’obiettivo di questa mostra è invece quello di ricondurre la sua opera al quadro di una più ampia indagine dei contesti artistici e culturali che lo influenzarono e che risultano dunque fondamentali alla comprensione di questo grande artista.

Attraverso circa 100 opere tra dipinti, disegni, incisioni, ma anche fotografie e documenti archivistici, la grande esposizione dei Musei Civici di Bassano del Grappa, una delle più complete e ricche di novità degli ultimi anni, potrà contare su importantissimi prestiti nazionali e internazionali provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private italiane ed europee – dal Musée d’Orsay di Parigi al Rijksmuseum di Amsterdam, dalla Kunsthaus di Zurigo alla Galleria d’Arte Moderna di Milano – che permetteranno al pubblico di scoprire, con occhi del tutto nuovi, uno dei più straordinari artisti dell’Ottocento italiano ed europeo.

“Noi siamo molto felici e anche orgogliosi di poter sostenere quest’importante progetto espositivo, che speriamo avrà il successo che merita” afferma Mirella Carbone, Direttrice artistica Segantini Museum di St. Moritz. “Siamo grati al Comune e ai Musei Civici di Bassano del Grappa per il loro interesse a realizzare una mostra su Giovanni Segantini, sebbene l’artista non abbia un legame diretto con la città o la regione. E siamo grati al Dr. D’Agati per il valido progetto scientifico: grazie a quest’esposizione al grande pubblico Segantini verrà presentato finalmente quale artista strettamente legato alle correnti artistiche europee contemporanee, così da sfatare il mito del vate solitario sulle vette alpine”.

“La Città di Arco e la sua Galleria Civica coltivano con dedizione la memoria del pittore Giovanni Segantini, che proprio ad Arco ha avuto i suoi natali” dichiara Giancarla Tognoni, Direttrice della Galleria Civica G. Segantini del Comune di Arco. “Siamo quindi estremamente lieti di contribuire alla realizzazione di questo progetto davvero straordinario proposto dai Musei Civici di Bassano del Grappa, ritenendo che la figura di Segantini sia estremamente significativa per tutti i territori alpini e quindi identitaria in modo trasversale per la cultura europea. Ringraziamo sinceramente il Comune di Bassano del Grappa ed i suoi Musei Civici, nonché il curatore Niccolò D’Agati, per averci coinvolti in questa esperienza che vede anche la qualificatissima partecipazione del Segantini Museum di St. Moritz, con cui abbiamo condiviso numerosi studi e ricerche negli ultimi anni”.

Ad accompagnare la mostra, infine, un importante catalogo scientifico pubblicato da Dario Cimorelli Editore raccoglierà i contributi dei più importanti studiosi dell’opera segantinana, con ampi apparati dedicati alla ricostruzione del suo percorso artistico, alla sua tecnica pittorica e alle indagini diagnostiche più recenti, che saranno restituite in mostra grazie ad apparati tecnologici interattivi, oltre alle schede ragionate delle opere esposte.

“La mostra Giovanni Segantini riporterà all’attenzione del grande pubblico e degli studiosi uno dei più grandi pittori italiani ed europei dell’Ottocento, grazie ad una retrospettiva densa di novità e sorprese; non ultima la possibilità di ammirare, riuniti assieme per la prima volta dopo oltre un secolo, alcuni dei suoi più significativi capolavori rintracciati per l’occasione. Frutto della collaborazione con il Segantini Museum di St. Moritz e con la Galleria Civica G. Segantini di Arco, la mostra sfaterà il mito del genio isolato per consegnarci un Segantini perfettamente integrato nei dibattiti figurativi del proprio tempo, audace sperimentatore di tecniche pittoriche, inventore di un’iconografia della montagna così potentemente evocativa, carica di poesia e sentimento, da risultare eterna e inscalfibile nella sua laica sacralità. Un’eternità oggi messa in discussione dal repentino cambiamento climatico che rende questo soggetto prepotentemente attuale” conclude Barbara Guidi, Direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa.

Promossa e organizzata da Comune Musei Civici di Bassano del Grappa
Nell’ambito dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026
Con il supporto di Segantini Museum di St. Moritz Galleria Civica G. Segantini di Arco In collaborazione con Regione Lombardia e Dario Cimorelli Editore


Ufficio stampa

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Regione Lombardia
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Musei Civici di Bassano del Grappa
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A Palazzo Reale, tutto il genio fotografico di Man Ray

Palazzo Reale presenta “Man Ray. Forme di luce”, una grande retrospettiva dedicata a uno dei protagonisti assoluti dell’arte del Novecento, geniale pioniere di linguaggi visivi che continuano a influenzare l’arte, la fotografia, il design e la cultura contemporanea. Le sue immagini, pervase da ironia, eleganza, provocazione e libertà, restano attualissime e testimoniano il ruolo fondamentale che Man Ray ha avuto nel ridefinire i confini dell’arte del secolo scorso.

L’esposizione, promossa da Comune di Milano – Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale, è curata da Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca e aprirà al pubblico dal 24 settembre 2025 fino all’11 gennaio 2026.

MAN RAY
Forme di luce
Milano, Palazzo Reale
24 settembre 2025 – 11 gennaio 2026

Pittore, fotografo, regista e innovatore, Man Ray (Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976) è stato una figura centrale nelle avanguardie del XX secolo. Nato Emmanuel Radnitsky da una famiglia ebrea di origini russe, adottò lo pseudonimo “Man Ray” – unione di “Man” (uomo) e “Ray” (raggio di luce) – segnando così l’inizio di una vita e di una carriera profondamente votate alla sperimentazione artistica. Formatasi nell’ambiente vivace dell’arte americana di inizio secolo, la sua personalità artistica si sviluppò grazie al contatto con le avanguardie europee e con figure decisive quali Marcel Duchamp, che lo introdusse a linguaggi artistici radicalmente nuovi. Fin dagli esordi, Man Ray affianca alla pittura e al disegno l’assemblaggio di oggetti e l’uso della fotografia, inizialmente per documentare le sue opere e quelle dei suoi amici, e ben presto come mezzo creativo autonomo.

Nel 1921 si trasferisce a Parigi, dove entra in relazione con il gruppo surrealista guidato da André Breton e stringe rapporti con Louis Aragon, Philippe Soupault, Paul Éluard e Robert Desnos. A Montparnasse conosce Alice Prin, nota come Kiki de Montparnasse, cantante e modella, che diviene compagna dell’artista: insieme danno vita a una serie di immagini destinate a diventare icone della storia della fotografia, tra cui Le Violon d’Ingres e Noire et blanche. Kiki appare anche in tre film diretti da Man Ray: Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926) e L’Étoile de mer (1928). È in questi anni che l’artista affina alcune delle sue tecniche più innovative, come la rayografia, procedimento che consiste nell’esporre oggetti direttamente su carta fotosensibile senza l’uso della macchina fotografica. Il termine, coniato da Tristan Tzara, esprime perfettamente l’idea di una composizione creata con la luce, tra sperimentazione e poesia. Alla fine degli anni Venti, con la fotografa Lee Miller – nuova compagna e musa – sviluppa la tecnica della solarizzazione, in cui i contorni delle immagini assumono un’aura luminosa e spettrale, ottenuta attraverso un’esposizione parziale alla luce in fase di sviluppo.

Nel corso degli anni Trenta, Man Ray si dedica anche alla fotografia di moda, rivoluzionando il linguaggio visivo del settore con uno stile sofisticato, ironico e tecnicamente innovativo. Collabora con importanti case di moda e stilisti come Paul Poiret, Elsa Schiaparelli, Jean-Charles Worth e Coco Chanel, pubblicando le sue immagini su riviste internazionali. In parallelo, continua a esplorare le possibilità offerte dal cinema, firmando quattro film fondamentali per la storia dell’avanguardia europea.

Con Meret Oppenheim realizza nel 1933 la celebre serie Erotique-voilée, mentre l’anno successivo conosce Adrienne “Ady” Fidelin, con cui intrattiene una relazione sentimentale e artistica. Dopo la disfatta della Francia nel 1940, Man Ray torna negli Stati Uniti, dove incontra Juliet Browner, ballerina e modella, che diventerà sua moglie e musa. Nel 1951 rientra definitivamente a Parigi, dove continuerà a lavorare fino alla sua morte, avvenuta nel 1976.

La mostra presenta circa trecento opere, tra fotografie vintage, disegni, litografie, oggetti e documenti provenienti da importanti collezioni pubbliche e private.

Il percorso espositivo consente di ripercorrere l’intera parabola creativa dell’artista attraverso i suoi principali temi e motivi ispiratori: gli autoritratti, dove l’artista gioca con la propria identità e costruisce personaggi ambigui e camaleontici; i ritratti degli amici intellettuali e degli ambienti culturali europei e americani tra le due guerre; la figura femminile, incarnata nelle sue muse, che attraversa tutta la sua opera come fonte di ispirazione e oggetto di sperimentazione visiva; i nudi, trattati come forme astratte, frammenti simbolici e composizioni di luce; le rayografie e le solarizzazioni, testimonianza della sua incessante ricerca tecnica e poetica; la moda, linguaggio in cui eleganza e avanguardia si fondono con naturalezza; i multipli e i ready-made, espressione della sua adesione allo spirito dadaista e della sua indifferenza verso l’unicità dell’opera d’arte; infine il cinema, territorio di libertà assoluta e sperimentazione pura, trova ampio spazio nell’esposizione, con la proiezione dei film Le Retour à la raison (1923), Emak Bakia (1926), L’Étoile de mer (1928), Les Mystères du Château de Dé (1929).

Il suggestivo allestimento della mostra è stato progettato dallo Studio ZDA-Zanetti Design Architettura.

Accompagna la mostra un catalogo edito da Silvana Editoriale, curato da Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca, corredato dai testi dei curatori e di Raffaella Perna e da apparati bio-bibliografici.

L’esposizione è inserita nell’ambito dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026. Il programma multidisciplinare, plurale e diffuso che animerà l’Italia per promuovere i valori Olimpici e valorizzerà il dialogo tra arte, cultura e sport, in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali che l’Italia ospiterà rispettivamente dal 6 al 22 febbraio e dal 6 al 15 marzo 2026.

Corriere della Sera e La Lettura sono media sponsor della mostra.  L’esposizione si avvale inoltre della collaborazione degli sponsor tecnici Colli&Vasconi e Dual Italia e del partner Coop Lombardia. Radio Monte Carlo è radio ufficiale della mostra.


Palazzo Reale
Piazza del Duomo, 12 – Milano
 
Informazioni e prenotazioni
T +39 (0)291446160

www.palazzorealemilano.it
www.manraymilano.it
 
Orari
martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10:00 – 19:30
giovedì 10:00 – 22:30
ultimo ingresso 1 ora prima della chiusura
chiuso lunedì
 
Biglietti
Open € 17,00
Intero € 15,00
Ridotto € 13,00 -€ 10
 
Ufficio stampa Mostra
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Simone Raddi, simone@studioesseci.net
 
Ufficio stampa Comune di Milano
Elena Conenna elenamaria.conenna@comune.milano.it
 
Ufficio stampa Silvana Editoriale
Alessandra Olivari alessandra.olivari@silvanaeditoriale.it
Da Studio ESSECI <segreteria@studioesseci.net>