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Apriti Sesamo. Quando la chiusura diventa mistero
Cortona (AR), Palazzo Vagnotti
Dal 27 agosto 2011 al 11 settembre 2011

 

 

Assicurare ad un palo la propria bivivletta o moto con un lucchetto è pratica comune, quasi giornaliera. Tuttavia il lucchetto sta vivendo un momento particolare. Da quando Federico Moccia nei suoi libri (“Ho voglia di te” e “3 metri sopra il cielo”) ha trasformato il semplice catenaccio in un pegno d’amore, questo è tornato a rivivere un antico significato simbolico. Una moltitudine di ragazzi hanno serrato il proprio lucchetto al terzo lampione di Ponte Milvio, gettando poi la chiave nel Tevere. La stessa pratica ha uso a Ponte Vecchio a Firenze (e la chiave giù nell’Arno).
Il Catenaccio, in effetti, si compone di due soli elementi: chiave e lucchetto, detti “maschio e femmina”. Tali elementi si rapportano grazie ad una mappa frastagliata, unica e irripetibile: la combinazione del lucchetto. Oggi questi sonop più o meno simili perché prodotti industrialmente, ma nella storia, la produzione del lucchetto era realizzata da esperti ferraioli. Questi artigiani davano all’oggetto, unico, anche un aspetto unico. Ne sono nati pezzi artistici e, se vogliamo, di valore.

In occasione di Cortonantiquaria 49° Edizione Mostra Mercato Nazionale d’Antiquariato, l’Associazione Culturale Terza Esperide di Palermo si presenta con la mostra “Apriti Sesamo. Quando la chiusura diventa mistero”. In essa sono esposti una sessantina di esemplari, curiosi e particolari, provenienti da tutto il mondo e di ogni epoca storica.

In essa troviamo, ad esempio, un piccolo lucchetto medievale per uno scrigno,  battuto in ferro a forma di leone (dalla Germania XII-XIII sec.), dove veniva inserita una chiave frastagliata nelle fauci, aprendolo. Un altro curiosissimo, dalla fattura complessa e preziosa, raffigurante un trilobita. E’ realizzato con una spessa lamina in ferro battuto e rinforzata con fasci, sempre metallici, applicati a caldo e poi sopra inchiodati. Tale lavorazione si ritrova nel Nord Europa medievale (alcuni la fanno risalire all’epoca vichinga).
Un altro pezzo unico, presente nella mostra, proviene dall’India del XIX secolo. La sua particolarità consiste nella complessa combinazione che lo rendeva quasi inviolabile. Esso, infatti, possedeva ben quattro chiavi ed una apertura segreta a molla (se ne ritrovano di simili nell’Europa tra il Settecento ed Ottocento).

Oltre alla forma artistica, particolarmente studiato era il meccanismo, che assicurava l’apertura solo con una precisa chiave e non altre. Così troviamo chiavi traforate al millimetro, oppure dalla forma specifica per far scattare una serie di molle contemporaneamente. Anche l’uso, quindi, del catenaccio lo rende particolarmente pregiato, soprattutto, se si possiede anche la chiave.

Giulio Torta, presidente dell’Associazione Culturale Terza Esperide, così commenta: “Oggetti preservati dalla ruggine e dall’incuria, le cui ferree impronte mostrano una quasi dispersa evoluzione delle arti minori nei secoli”
 

 
 
 
 
 
     
     
     

   
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