Assicurare ad
un palo la propria bivivletta o moto con
un lucchetto è pratica comune, quasi
giornaliera. Tuttavia il lucchetto sta
vivendo un momento particolare. Da quando
Federico Moccia nei suoi libri (“Ho voglia
di te” e “3 metri sopra il cielo”) ha
trasformato il semplice catenaccio in un
pegno d’amore, questo è tornato a rivivere
un antico significato simbolico. Una
moltitudine di ragazzi hanno serrato il
proprio lucchetto al terzo lampione di
Ponte Milvio, gettando poi la chiave nel
Tevere. La stessa pratica ha uso a Ponte
Vecchio a Firenze (e la chiave giù
nell’Arno). Il Catenaccio, in effetti,
si compone di due soli elementi: chiave e
lucchetto, detti “maschio e femmina”. Tali
elementi si rapportano grazie ad una mappa
frastagliata, unica e irripetibile: la
combinazione del lucchetto. Oggi questi
sonop più o meno simili perché prodotti
industrialmente, ma nella storia, la
produzione del lucchetto era realizzata da
esperti ferraioli. Questi artigiani davano
all’oggetto, unico, anche un aspetto
unico. Ne sono nati pezzi artistici e, se
vogliamo, di valore.
In occasione di Cortonantiquaria
49° Edizione Mostra Mercato Nazionale
d’Antiquariato, l’Associazione Culturale
Terza Esperide di Palermo si presenta con
la mostra “Apriti Sesamo. Quando la
chiusura diventa mistero”. In essa sono
esposti una sessantina di esemplari,
curiosi e particolari, provenienti da
tutto il mondo e di ogni epoca storica.
In essa troviamo, ad esempio, un
piccolo lucchetto medievale per uno
scrigno, battuto in ferro a forma di
leone (dalla Germania XII-XIII sec.), dove
veniva inserita una chiave frastagliata
nelle fauci, aprendolo. Un altro
curiosissimo, dalla fattura complessa e
preziosa, raffigurante un trilobita. E’
realizzato con una spessa lamina in ferro
battuto e rinforzata con fasci, sempre
metallici, applicati a caldo e poi sopra
inchiodati. Tale lavorazione si ritrova
nel Nord Europa medievale (alcuni la fanno
risalire all’epoca vichinga). Un altro
pezzo unico, presente nella mostra,
proviene dall’India del XIX secolo. La sua
particolarità consiste nella complessa
combinazione che lo rendeva quasi
inviolabile. Esso, infatti, possedeva ben
quattro chiavi ed una apertura segreta a
molla (se ne ritrovano di simili
nell’Europa tra il Settecento ed
Ottocento).
Oltre alla forma
artistica, particolarmente studiato era il
meccanismo, che assicurava l’apertura solo
con una precisa chiave e non altre. Così
troviamo chiavi traforate al millimetro,
oppure dalla forma specifica per far
scattare una serie di molle
contemporaneamente. Anche l’uso, quindi,
del catenaccio lo rende particolarmente
pregiato, soprattutto, se si possiede
anche la chiave.
Giulio Torta,
presidente dell’Associazione Culturale
Terza Esperide, così commenta: “Oggetti
preservati dalla ruggine e dall’incuria,
le cui ferree impronte mostrano una quasi
dispersa evoluzione delle arti minori nei
secoli”
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