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Ci è pervenuta di Plinio il Giovane soprattutto la sua raccolta di epistole, molto altro è andato perso (come le sue orazioni nell’avvocatura o liriche redatte  in età giovanile). Queste, composte tra il 96 e il 109, sono 247 ripartite in nove libri, più un decimo libro che contiene altre 121 epistole aggiunte posteriormente (fra cui la cronaca dell'eruzione del Vesuvio). Proprio questo X libro contiene il Panegirico a Traiano, che pubblichiamo, ed è l'unica delle orazioni pervenuteci. In essa Plinio ringrazia l’imperatore per averlo nominato console e lo elogia per il suo comportamento concorde con il Senato e il ceto equestre, esempio da seguire per il bene dell'impero. Il testo, anche se riveduto, corretto e ampliato, è stato effettivamente pronunciato e dimostra che l’epistolario non è un opera letteraria, creata artificialmente (come sostennero alcuni), ma una raccolta di lettere effettivamente spedite e facente parte di un carteggio reale con personaggi reali. E’ vero, invece, che la raccolta fu effettuata su richiesta dell’amico Setticio Claro, che lo spinse a raccogliere le epistole scritte "paulo curatius" (con maggior cura). Era un opera da pubblicare, ma che lo fu solo postuma, su interessamento dell’amico (alcuni avanzano l’ipotesi che lo fu per interessamento dell’imperatore). In effetti, nel X libro sono raccolte le lettere a Traiano e le sue stesse risposte. Il carteggio con esso riguarda il governo della Bitinia, e rappresentano una ricca fonte di informazioni sull’amministrazione romana delle provincie dell’impero.
Molte altre informazioni riguardano il periodo in cui Plinio rivestiva la carica di propretore, incaricato dallo stesso Traiano di reprimere i Cristiani (epistole 96 e 97).
Da un lato abbiamo i cristiani fedeli al monoteismo che rifiutano obbedienza all’imperatore, imposto come semidio, e dall’altra lo scrittore, del tutto convinto della necessità di tornare alla religione politeista romana dei tempi eroici della Repubblica. A lui, avvocato, toccava eseguire gli interrogatori e i processi e, eventualmente, mandarli a morte.
Plinio non passa dalla parte dei Cristiani, come fece, invece, lo scrittore Tertulliano, ma propugna, invece, le ragioni dei Romani a difesa del governo imperiale. La posizione di Plinio non era, tuttavia, di acerrimo e spietato persecutore dei cristiani, perché, amministratore della giustizia, egli vedeva i fedeli come fossero marziani, eccentrici e ridicoli, che “incredibilmente” si rifiutavano di abiurare la propria fede, venerare le immagini degli dei e fare sacrifici a quella dell'imperatore Traiano. Ma mentre i cittadini romani avevano diritto ad essere sottoposti a giudizio a Roma, gli altri (come i cristiani non romani) venivano condannati direttamente sul posto. Ecco allora i dubbi di Plinio, governatore della Bitinia, che chiede spesso consiglio all'imperatore, come, ad esempio, quando egli confessa di non sapere se procedere difformemente con i bambini cristiani, o di interrogare più e più volte coloro che confessavano, dando loro la possibilità di rinnegare il proprio credo, e poi, eventualmente, di mandarli a morte.
Plinio ci riporta degli interrogatori e delle dichiarazioni dei cristiani sulle loro strane usanze religiose (quelle che i delatori chiamavano “le loro colpe"). Essi dichiaravano di incontrarsi in un giorno prestabilito (la domenica) prima che sorgesse il sole, di cantare insieme inni rivolti a Cristo, quindi di lasciarsi, per incontrarsi più tardi per mangiare insieme e proclamare il rifiuto a qualsivoglia delitto.

I cristiani appaiono ai suoi occhi come personaggi misteriosi e pericolosi per la stabilità del governo imperiale romano, da punire senza alcuna pietà. Egli non fa altro che difendere lo status quo, che verrà smentito, però, dalla successiva evoluzione storica.


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