Tommaso d'Aquino (1225-1274),
frate domenicano, definito Doctor
Angelicus dai suoi contemporanei, fu canonizzato da papa
Giovanni XXII nel 1323. Nel 1567 (11 aprile) venne dichiarato
dottore della Chiesa da papa Pio V, con la bolla Mirabilis
Deus.
Discepolo di Alberto Magno, è forse
l’apice della filosofia Scolastica del XIII secolo.
Quest’importanza è dimostrata dal consenso che tutt’ora riscuote
il suo metodo d’indagine aperto ad ogni possibile contributo.
Egli operò procedendo dalla Bibbia agli autori pagani,
dagli ebrei ai musulmani, senza pregiudiziali o diffidenze, a
parte la centralità della Rivelazione cristiana, da cui,
peraltro partivano tutti i filosofi del medioevo. Questo perché
egli era assertore del fatto che la verità può avere origini
diverse, ma non è mai in contrasto con la Rivelazione, dato che
ambedue sono il prodotto della Volontà Divina. Sempre per questo
motivo non vi può essere contraddizione tra fede e
ragione, e si può giungere a sentire l'esistenza di Dio, sia per
mezzo della fede, che attraverso l’esperienza sensoriale.
Tommaso d’Aquino, come il suo maestro Alberto Magno, s’interessò
al greco Aristotele. Questi basava il suo ragionamento
filosofico sullo studio della natura, dell'intelletto e
della logica, ideando degli universali sempre validi, come
lui stesso affermava, in ogni epoca o luogo. E’ evidente
come il pensiero aristotelico e di Tommaso convergessero. Nel
mondo reale delle scienze naturali, in infinito passaggio
dalla potenza all'atto, era presente, secondo il
domenicano, una stratificazione gerarchica, piramidale, che va
dalle piante agli animali, da questi all’uomo, dall’uomo agli
angeli e infine a Dio, l’Essere supremo, motore immobile
dell'universo. La sua opera principale è la Summa
Theologiae, in cui egli cerca di rendere
chiari alla ragione i fondamenti della fede. In esso Tommaso
tratta sistematicamente del rapporto tra fede e ragione ed altre
grandi questioni teologiche. Fede e ragione sono in un circolo
ermeneutico: "credo per comprendere e comprendo per credere", ma
non sullo stesso piano. Secondo Tommaso:
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“Pensiero
e ragione si possono conciliare, anzi, la ragione serve
agli esseri umani per interrogarsi anche su alcuni
enigmi di fede. Lo scopo della fede e della ragione è lo
stesso, se poi la ragione si trova in contrasto con la
fede deve cedere a questa.”
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Purtroppo il
testo rimase incompiuto (l'ultimo trattato è il De
Poenitentia).
Bonaventura di Bagnoregio
L’alter ego di Tommaso d'Aquino, totalmente
speculare, fu il suo contemporaneo Bonaventura di Bagnoregio,
che, ispirandosi alla religiosità di San Francesco d'Assisi,
sosteneva la superiorità del sentimento mistico. Se, infatti,
l’anima sensibile può, attraverso la realtà empirica, giungere
ai concetti universali, solo con l’illuminazione della grazia
divina, si può arrivare ai massimi principi spirituali.
L’illuminazione permette, perciò, all’uomo di salire a Dio e
cogliere la sua essenza eterna. Questo balzo verso l’Alto porta
alla sinderesi, cioè alla tendenza pratica al bene. Si
intuisce, dietro questo, tutto il mondo ideale di Platone e il
suo valore etico e conoscitivo. Bonaventura di Bagnoregio è,
infatti, il massimo esponente della corrente neoplatonica del
XIII secolo.
Ruggero Bacone
Sia Tommaso d’Aquino che Bonaventura di
Bagnoregio insegnarono alla scuola di Parigi. Contemporaneamente
altre scuole crebbero d’importanza, come Oxford e Colonia. In
quella inglese insegnò il celebre Ruggero Bacone, il quale,
riprendendo la divisione degli aristotelici fra scienza e fede,
pose altre due origini di conoscenza: la ragione e l’intuizione.
Se la ragione poggia su un sapere mediato, l’intuizione va
direttamente al dato. Quest’ultimo, a sua volta, si divide in
due: il dato mistico (proprio della teologia) e il dato
sperimentale (proprio della verità del mondo naturale). E’
questa la novità di Bacone (pur se anticipata dalla scuola di
Chartres), anche perché nel tempo, posta la distinzione, questi
ultimi due elementi tenderanno a divergere sempre di più.
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