Abbiamo già detto come il Patrizi aderisse
a posizioni neoplatoniche (e presocratiche) in aperta polemica
con quelle aristoteliche. Egli criticava ad Aristotele d’essersi
basato sulle teorie dei filosofi precedenti criticandole
aggressivamente, senza nessuna gratitudine. Patrizi, in
particolare, oppone alla teoria aristotelica che le cose
originano dal loro contrario, l’osservazione che, piuttosto,
ogni cosa è generata da una simile. Questa posizione, osservava,
era già presente nel pensiero naturalistico presocratico.
Il suo stile di scrittura a metà tra lo sfoggio di
erudizione e quello di retorica, non piacque a Giordano Bruno
che lo qualificò "sterco di pedanti". Lo stesso, invece,
apprezzò il trattato Nova de Universis philosophia, del
1591, esattamente quello di Patrizi che andò all’Indice della
Sacra Inquisizione. Lo scritto, evidentemente particolare,
riportava aggiunte degli oracoli di Zoroastro, Ermete
Trismegisto, Asclepio, e della Teologia Aristotelis
(nel 1519 fu pubblicata in una stampa romana).
Il testo in questione è diviso in quattro sezioni: la prima,
la "Panaugia" o della luce; la seconda, la "Panarchia" o del
fondamento delle cose; la terza, la "Pampsichya" o dell'anima;
la quarta, la "Pancosmia" o del mondo. La sua teoria della luce,
di cui è fonte Dio, sostiene che «semplicissima tra le cose, non
è duplice, sicché in essa vi è forma e materia. Unica, è a se
stessa materia e forma». Partendo dalla luce che si propaga con
il suo calore e la materia fluida per tutto lo spazio,
quest’ultimo, similmente ad essa, deve essere infinito, perché
se la luce è infinita, anche lo spazio deve essere tale, e così
il mondo stesso. «…se lo spazio contiene tutto e
così pure il mondo, mondo e spazio saranno lo stesso per
capacità e determinazione locale. Dunque lo spazio è infinito
sicché anche il mondo sarà infinito».
Anche Patrizi, come
molti altri filosofi, cerca di far incontrare il pensiero
dell’antica Grecia con la religione cristiana. Esso, quindi, fu
propugnatore della similitudine tra filosofia platonica e
teologia, secondo esso già presente nel pensiero di Plotino.
Egli rileva, in particolare, come i Padri del Cristianesimo
«vedendo che con pochi mutamenti i platonici potevano divenire
facilmente cristiani, anteposero Platone e i platonici a ogni
altro e nominarono Aristotele solo con infamia. Ma quasi
quattrocento anni fa i teologi scolastici si sono comportati in
modo opposto fondando la fede sull’empietà aristotelica. Li
scusiamo, perché non poterono conoscere i platonici, non
conoscendo il greco, ma non li scusiamo per aver cercato di
fondare la fede sull’empietà».
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