Primo piano Argomenti Schede Anteprime Editoriali
 
 
 
 
   
 
 

 

 
 
 
       CATALOGO DEI PRODOTTI
 
 
 
 

Minisiti

 
 
 
 
 

 

 

 
 

 

 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
    3/3  
 
 

Altre sollevazioni furono organizzate a pioggia, ottenendo, tuttavia, solo una successione di fallimenti e morti . Si provò a Palermo, in Abruzzo, nella stessa Lombardia austriaca e in Toscana. Dal suo esilio londinese Mazzini dolorosamente non voleva credere ai suoi occhi: la tanta agognata rivolta popolare non voleva innescarsi. Ma la strada verso l’unità italiana era giusta e buona. Dopo una profonda analisi di coscienza Mazzini rimase delle proprie idee e continuò nella sua opera politica, rilanciando alla storia.
I mazziniani, infatti, non mancarono di seguire le loro idee e rischiare la propria vita allo scopo di dare origine alla tanto desiderata unità italiana.
I fratelli Bandiera, ad esempio. U
fficiali della Marina da guerra austriaca, convintamente mazziniani, diedero origine ad una loro società segreta: l'Esperia. Credendo nella possibilità di una rivolta popolare, aspettavano un segnale per passare all’azione. Il 15 marzo del 1844, giunse loro, finalmente, la notizia di rivolte a Cosenza. Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera (unitamente al brigante calabrese Giuseppe Meluso, al corso Pietro Boccheciampe e ad altri 17 compagni) partirono da Corfù alla volta della Calabria. Quando giunsero, il 16 giugno 1844, alla foce del fiume Neto, vicino Crotone, ebbero la cattiva notizia che non solo la rivolta era stata sedata sanguinosamente, ma che questa non aveva nessun significato politico. Ciononostante i due fratelli decisero di continuare l’operazione e si misero in cammino verso la Sila. Non tutti ne erano convinti. Pietro Boccheciampe lasciò il gruppo e, probabilmente per salvarsi la vita, andò al posto di polizia di Crotone e denunciò la spedizione. Le guardie borboniche e cittadini, che credevano i Bandiera fossero briganti, intercettarono il gruppo catturandolo (il brigante Giuseppe Meluso si dileguò grazie alla conoscenza dei luoghi). Portati a Cosenza, Emilio e Attilio Bandiera ed altri 7 compagni, il 25 luglio 1844, vennero fucilati nel Vallone di Rovito. La popolazione calabrese venne ringraziata per la fedeltà e premiata da re Ferdinando II di Borbone.

Un’altra delle spedizioni tipicamente mazziniane fu quella condotta da Carlo Pisacane a Sapri nel 1857. Pur non essendo delle medesime idee riguardo alla questione sociale (la questione contadina da risolvere con la riforma agraria), che egli riteneva dovesse essere chiarita prima e non dopo l’unità italiana, come riteneva il Mazzini, il Pisacane adottò il metodo classico mazziniano di sbarco-rivolta popolare fino allora utilizzato. Inizialmente si pensava di accendere un focolaio insurrezionale in Sicilia, dove era diffuso il malcontento verso i Borboni, ma si scelse Sapri, a cavallo tra Campania e Basilicata, dove, raccolti i rivoltosi, sarebbe stato facile marciare su Napoli. Caratterizzava il progetto la tappa che andava fatta a Ponza, dove era situato un importante carcere, per liberare i detenuti politici che vi si trovavano e aggregarli alla spedizione.
Il 25 giugno 1857 iniziò l’avventura con la partenza sulla nave di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Insieme a Carlo Pisacane vi erano altri ventiquattro compagni, tra cui: Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone. Come da progetto il piroscafo il 26 giugno arrivò a Ponza. Sbarcati i venticinque, sventolando tricolori, con facilità liberarono i carcerati, anche se di prigionieri politici non ve ne erano molti, solo poche decine. Pur essendo la maggior parte formata da delinquenti comuni, Pisacane decise di aggregarli tutti all’operazione. Il 28 giugno il bastimento ripartì con a bordo il gruppo e le armi sottratte alla guarnigione borbonica di Ponza. Verso sera giunsero e sbarcarono a Sapri. Non vi era nessuno, nessuna sollevazione. Anzi, dopo l’azione di Ponza la polizia borbonica aveva messo in guardia la popolazione dell’arrivo di una banda di ergastolani evasa da Ponza. Così quei contadini che si aspettavano per la rivolta, il 1º luglio, a Padula, si scagliarono con falci e forconi proprio contro i patrioti. Morirono 25 di loro,e gli altri (un totale di 150) furono tutti catturati e consegnati alla polizia. I rimanenti sfuggiti, tra cui Pisacane, Nicotera e  Falcone, si rifugiarono a Sanza. Temendo sempre il pericolo degli “ergastolani”, i contadini aggredirono i superstiti ancora una volta. Ne morirono 83. Pisacane e Falcone si tolsero la vita con le loro stesse pistole. Chi si salvò fu processato e condannato a morte nel gennaio del 1858. Il re, tuttavia, trasformò la condanna in ergastolo, graziandoli.
Carlo Pisacane prima della partenza, pur non conoscendo il risultato della spedizione, aveva scritto:
ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrifico non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire.

Gli innumerevoli tentativi fino a quello di Sapri del Pisacane tornarono utili, comunque, per la diffusione della problematica legata all’unità nazionale. Lo stesso governo di Vittorio Emanuele II, colse il segnale del pericolo che questi continui tentativi insurrezionali rappresentavano. Ci si convinse a Torino che andava cercata una soluzione, politica e militare al tempo stesso, del problema dell'unità d’Italia. Occorreva la capacità di compromesso politico e di una lenta tessitura degli equilibri propria di un uomo di governo: il caso fu che ci fosse Cavour.



Pagine       

 
   
   
 
  HOME  
 
   

È vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi media, di testi ed immagini, la cui proprietà intellettuale appartiene ai rispettivi autori.

 

   
 
     
 
Experiences S.r.l. - Servizi per la promozione e lo sviluppo di attività culturali e ambientali - Copyright © 2004-2010. Tutti i diritti riservati - E-mail: info@experiences.it - Schermo 1024 x 768