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Esistono dei modi di dire, come «fare un quarantotto», «combinare un quarantotto» o «è successo un quarantotto», che fanno parte ormai del nostro parlare quotidiano. Il significato delle frasi è “avere una situazione improvvisa di agitazione e tumulto”. Questo modo di dire deriva dai moti del 1848, che misero a soqquadro l’Italia e l’Europa della Restaurazione.
I primi moti rivoluzionari ebbero luogo dal 12 gennaio del 1848 in Sicilia (soprattutto a Palermo e Messina), alla ricerca dell’indipendenza siciliana. A questa seguì, il
27, la rivolta a Napoli. Due giorni dopo i borboni, per sedare la rivolta, concessero la Costituzione (anche se, da lì a poco, Ferdinando II di Borbone tornerà sui suoi passi) promulgata l'11 febbraio. L’esempio fu seguito da Leopoldo II di Toscana lo stesso 11 febbraio. Proprio all’insurrezione siciliana fece eco quella parigina del 22-24 febbraio, la cosiddetta "campagna dei banchetti",  che determinò la nascita della Seconda Repubblica Francese. Nel tentativo di evitare stati di agitazione popolare anche nei loro territori, l’esempio borbonico fu seguito da Carlo Alberto di Savoia il 4 marzo (il famoso Statuto Albertino) e il 14 marzo da Pio IX.
Intanto la notizia della rivolta parigina si diffuse in tutta l’Europa, suscitando moti prima a Vienna, il
13 marzo (che determinerà la caduta di Metternich) e poi a Venezia (il 17 marzo), con la liberazione dei detenuti politici, fra cui Daniele Manin, e a Milano (il 18 marzo) con le notissime  Cinque Giornate di Milano. Nel giro di appena tre mesi era successo, in quasi tutta Europa, un parapiglia inimmaginabile e tale che non poteva che lasciare traccia nello stesso modo di parlare comune.
In Europa si salvarono dalle insurrezioni solo l'Inghilterra vittoriana e la Russia, ma per motivi opposti. In Inghilterra, infatti, le classi borghesi avevano già avuto delle riforme istituzionali, nel 1832, e viveva un periodo di stabilità sociale e di sviluppo economico, Viceversa in Russia, mancando sostanzialmente una classe borghese e un relativo proletariato, erano assenti proprio quei soggetti protagonisti delle rivoluzioni del 1848 nel resto del continente.
Le cause alla base dei moti del 1848 sono molteplici. Dopo le decisioni derivati dal Congresso di Vienna e la relativa restaurazione, sia i riformisti che i radicali borghesi, vivevano una situazione di totale anacronismo politico, scaturita dal notevole sviluppo economico e sociale prodotto dalla prima rivoluzione industriale. Nel periodo nacquero numerose testate giornalistiche, che, inevitabilmente, diffondevano proprio quegli ideali di nazionalismo e giustizia sociale, vera miccia dei successivi accadimenti. In più il periodo che va dal 1846 al 1847 conobbe una breve recessione economica, che non fece altro che aumentare il malcontento.

I moti scoppiati a Venezia e Milano, determinati dall’insofferenza popolare nei confronti del governo austriaco, furono direttamente collegati alla liberazione dall’impero Austro-Ungarico. Infatti, la popolazione veneziana liberò i detenuti politici, tra cui Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, che si posero immediatamente alla testa della rivolta e costrinsero i soldati austriaci a lasciare la città, proclamando la Repubblica. Ugualmente accadde a Milano. Dopo cinque giorni di aspri combattimenti, il feldmaresciallo Radetzky, a capo dell'esercito del Lombardo-Veneto, anch’esso, dovette abbandonare Milano. Parallelamente molte città del Regno entrarono in agitazione e a Como, addirittura, l'intero presidio austriaco si consegnò ai rivoltosi. L’intero nord Italia si era liberato da solo. Carlo Alberto di Savoia non poteva che approfittarne: il giorno dopo la liberazione di Milano, dichiarò guerra all'Austria e passò all’attacco. Aveva inizio la prima guerra di indipendenza.

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