Marsilio Ficino nasce a Figline Valdarno
nel 1433. Suo padre era il medico personale di Cosimo il
Vecchio, che lo fece studiare a Firenze con Luca de Bernardi e
Comando Comandi. Il suo primo docente di filosofia è Niccolò
Tignosi, medico aristotelico di Foligno. Il prodotto di questi
insegnamenti è la sua Summa philosophiae (1454),
dove tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae
multae questiones. Studia Platone, Epicuro e Lucrezio e dal
loro pensiero ne trae diversi saggi (intorno al 1457), per
semplice esercitazione mnemonica e senza alcuna presunzione
sistematica. Tra i vari libri scritti in questo periodo, diversi
non ci sono giunti, mentre per il testo Commentariola in
Lucretium fu lo stesso Ficino a distruggerlo nel 1492.
Sappiamo che ad un tratto, non bastando più le traduzioni
latine, sentì il bisogno di attingere direttamente dal greco il
pensiero di Platone (aveva studiato greco con Francesco
da Castiglione). L'arcivescovo fiorentino Antonino, temendo
potesse trarne qualche eresia, gli consigliò di studiare
medicina a Bologna, oppure di rivolgersi verso le teorie
filosofiche di Tommaso d'Aquino. Ma il suo interesse per la
filosofia platonica e neo-platonica
non diminuì affatto. La sua voglia di riportare alla
luce testi dall’originale greco lo portò ad un impegno severo ma
produttivo. Dopo aver tradotto Alcinoo, Speusippo, i
versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a
Senocrate, gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la
Teogonìa di Esiodo
(siamo intorno al 1460), Cosimo de' Medici gli
donò un codice platonico e una splendida villa a Careggi. Non
solo, incoraggiò il Ficino ad aprirvi l’Accademia Platonica, col
compito di continuare gli studi e diffonderne il sapere. I
Libri ermetici (Corpus hermeticum), portati in Italia
dalla Macedonia da parte di Leonardo da Pistoia,
furono attentamente da lui tradotti, proprio all’Accademia, nel
1463. Queste sue traduzioni ebbero un grande peso culturale in
epoca rinascimentale.
Egli non vede
scontro tra filosofia e cristianesimo. Anzi, il pensiero greco
è, per lui, parte della Rivelazione, una pia
philosophia, che ha solo preceduto quello che si è
realizzato poi nel Cristianesimo. Scrive, nella dedica a Cosimo
de’ Medici, di Ermete Trismegisto: “Per primo fu chiamato
teologo: lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo,
Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone”.
Ficino contrappone, quindi, alle correnti di pensiero atee e
materialiste, la sua «pia filosofia», dove la filosofia greca è
concepita come un’antica tradizione teologica. L’anima, depurata
delle menzogne delle percezioni sensoriali e
della fantasia, può ascendere fino alla mente, percependo
totalmente la verità, cioè l'armonia di tutte le cose, in Dio o
da Lui scaturite, grazie ad una illuminazione divina che glielo
lo rivela.
Continua la sua opera di traduttore, ma anche
quella di diffusore della cultura greca mediata da suoi
commenti. Così, se traduce i dialoghi platonici
(1468) o il Corpus hermeticum (1471), pubblica
anche le sue riflessioni su di essi: al Filebo
(1474),
al Fedro e al Convivio (1484)
al Timeo, e nel 1494 al Parmenide. Negli anni
Ermete Ficino traducendo un’enorme quantità di testi greci,
procurandosi il materiale di prima mano per comporre suoi
trattati sulla filosofia platonica e neoplatonica. Dal
1469 al 1474 scrive il suo trattato maggiore, i diciotto libri
della Theologia platonica de immortalitate animarum, che
dedicherà a Lorenzo de' Medici. Successivamente realizza il
testo la Religione cristiana, in volgare, realizzandone
poi anche la versione latina (De christiana religione).
Fa questo da filosofo e da sacerdote, avendo preso i voti il 18
dicembre del 1473. Dopo di che scriverà la Disputatio contra
iudicium astrologorum (dal 1475 al
1476) e il
Consiglio contro la pestilenza
(1481), un componimento basato su consigli per evitare il
flagello della peste, come quello che aveva colpito proprio
Firenze nel 1478. Egli pubblicherà nell’ultima parte della sua
vita: i dodici libri di Epistulae (nel
1495)
contenenti anche brevi scritti che vanno dal 1476 al 1491, come
il De furore divino, la Laus philosophiae, il
De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae,
il De vita Platonis, i De laudibus philosophiae,
l’Orphica comparatio Solis ad Deum, la Concordia Mosis
et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor.
Nel 1489,
editò i tre libri del De vita, che gli
valsero accuse di magia, a cui rispose con un’Apologia.
Nella sua vita, e l’Accademia platonica con lui, tradurrà
un’enorme mole di testi filosofici, che daranno la sostanza alla
“rinascita” cinquecentesca. Tra questi possiamo citare:
la traduzione delle Enneadi di Plotino,
le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio,
Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia, i Nomi
divini dello Pseudo-Dionigi e i frammenti di Atenagora di
Atene. Sempre per sostenere la sua teoria della “pia filosofia”,
estenderà le sue traduzioni, andando oltre Platone. Tradurrà:
Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio,
Avicebron, Al-Farabi, Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il
Cusano.
Ermete Ficino muore nel 1499, lasciando incompiuta la sua
ultima opera, il Commento a San Paolo.
Essendo il maggiore filosofo fiorentino, esso riposa
nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove la tomba è
arricchita da un monumento che lo celebra.
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