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Sergio Bertolami
e Rosa Manuli -
EX AQUA -
Il braccio di San Raineri
Pagine 240
Versione brossura
Formato 15,24 x 22,86
Editrice - Experiences Srl
 

Costo Brossura:
Euro 16,00

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  LA FILOSOFIA IN ITALIANO
 
 
 

 

 

Marsilio Ficino nasce a Figline Valdarno nel 1433. Suo padre era il medico personale di Cosimo il Vecchio, che lo fece studiare a Firenze con Luca de Bernardi e Comando Comandi. Il suo primo docente di filosofia è Niccolò Tignosi, medico aristotelico di Foligno. Il prodotto di questi insegnamenti è la sua Summa philosophiae (1454), dove tratta di fisica, di logica, di Dio e di aliae multae questiones. Studia Platone, Epicuro e Lucrezio e dal loro pensiero ne trae diversi saggi (intorno al 1457), per semplice esercitazione mnemonica e senza alcuna presunzione sistematica. Tra i vari libri scritti in questo periodo, diversi non ci sono giunti, mentre per il testo Commentariola in Lucretium fu lo stesso Ficino a distruggerlo nel 1492. Sappiamo che ad un tratto, non bastando più le traduzioni latine, sentì il bisogno di attingere direttamente dal greco il pensiero di Platone (aveva studiato greco con Francesco da Castiglione). L'arcivescovo fiorentino Antonino, temendo potesse trarne qualche eresia, gli consigliò di studiare medicina a Bologna, oppure di rivolgersi verso le teorie filosofiche di Tommaso d'Aquino. Ma il suo interesse per la filosofia platonica e neo-platonica non diminuì affatto.
La sua voglia di riportare alla luce testi dall’originale greco lo portò ad un impegno severo ma produttivo. Dopo aver tradotto
Alcinoo, Speusippo, i versi attribuiti a Pitagora e l'Assioco attribuito a Senocrate, gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teogonìa di Esiodo (siamo intorno al 1460), Cosimo de' Medici gli donò un codice platonico e una splendida villa a Careggi. Non solo, incoraggiò il Ficino ad aprirvi l’Accademia Platonica, col compito di continuare gli studi e diffonderne il sapere.
I Libri ermetici (Corpus hermeticum), portati in Italia dalla Macedonia da parte di Leonardo da Pistoia, furono attentamente da lui tradotti, proprio all’Accademia, nel 1463. Queste sue traduzioni ebbero un grande peso culturale in epoca rinascimentale.

Egli non vede scontro tra filosofia e cristianesimo. Anzi, il pensiero greco è, per lui, parte della Rivelazione,
una pia philosophia, che ha solo preceduto quello che si è realizzato poi nel Cristianesimo. Scrive, nella dedica a Cosimo de’ Medici, di Ermete Trismegisto: “Per primo fu chiamato teologo: lo seguì, secondo teologo, Orfeo, poi Aglaofemo, Pitagora e Filolao, maestro del nostro divino Platone”. Ficino contrappone, quindi, alle correnti di pensiero atee e materialiste, la sua «pia filosofia», dove la filosofia greca è concepita come un’antica tradizione teologica. L’anima, depurata delle menzogne  delle percezioni sensoriali e della fantasia, può ascendere fino alla mente, percependo totalmente la verità, cioè l'armonia di tutte le cose, in Dio o da Lui scaturite, grazie ad una illuminazione divina che glielo lo rivela.

Continua la sua opera di traduttore, ma anche quella di diffusore della cultura greca mediata da suoi commenti. Così, se traduce i dialoghi platonici (1468) o il Corpus hermeticum (1471), pubblica anche le sue riflessioni su di essi: al Filebo (1474), al Fedro e al Convivio (1484) al Timeo, e nel 1494 al Parmenide.
Negli anni Ermete Ficino traducendo un’enorme quantità di testi greci, procurandosi il materiale di prima mano per comporre suoi trattati sulla filosofia platonica e neoplatonica.
Dal 1469 al 1474 scrive il suo trattato maggiore, i diciotto libri della Theologia platonica de immortalitate animarum, che dedicherà a Lorenzo de' Medici. Successivamente realizza il testo la Religione cristiana, in volgare, realizzandone poi anche la versione latina (De christiana religione). Fa questo da filosofo e da sacerdote, avendo preso i voti il 18 dicembre del 1473. Dopo di che scriverà la Disputatio contra iudicium astrologorum (dal 1475 al 1476) e il Consiglio contro la pestilenza (1481), un componimento basato su consigli per evitare il flagello della peste, come quello che aveva colpito proprio Firenze nel 1478. Egli pubblicherà nell’ultima parte della sua vita: i dodici libri di Epistulae (nel 1495) contenenti anche brevi scritti che vanno dal 1476 al 1491, come il De furore divino, la Laus philosophiae, il De raptu Pauli, le Quinque claves Platonicae sapientiae, il De vita Platonis, i De laudibus philosophiae, l’Orphica comparatio Solis ad Deum, la Concordia Mosis et Platonis, gli Apologi de voluptate quattuor.
Nel 1489, editò i tre libri del De vita, che gli valsero accuse di magia, a cui rispose con un’Apologia.

Nella sua vita, e l’Accademia platonica con lui, tradurrà un’enorme mole di testi filosofici, che daranno la sostanza alla “rinascita” cinquecentesca. Tra questi possiamo citare:
la traduzione delle Enneadi di Plotino, le opere di Giamblico, Proclo, Prisciano, Porfirio, Sinesio, Teofrasto, Michele Psello, la Mistica teologia, i Nomi divini dello Pseudo-Dionigi e i frammenti di Atenagora di Atene. Sempre per sostenere la sua teoria della “pia filosofia”, estenderà le sue traduzioni, andando oltre Platone. Tradurrà: Dionigi Areopagita, Agostino, Apuleio, Boezio, Macrobio, Avicebron, Al-Farabi, Avicenna, Duns Scoto, Bessarione e il Cusano.

Ermete Ficino muore nel 1499, lasciando incompiuta la sua ultima opera, il Commento a San Paolo. Essendo il maggiore filosofo fiorentino, esso riposa nel duomo di Santa Maria del Fiore, dove la tomba è arricchita da un monumento che lo celebra.

   
   
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