Nel medioevo lo scontro tra platonici e aristotelici non è
da poco. Non si tratta solo di scegliere tra due filosofie
antiche, ma della visione del mondo. Aristotele, infatti,
riteneva l’uomo un sinolo, cioè un complesso indivisibile
di materia e forma, di corpo e anima. Da qui Alessandro di
Afrodisia, massimo studioso dell’antichità della filosofia di
Aristotele, ne aveva dedotto che il maestro ritenesse,
attraverso quella teoria, che l’anima fosse mortale, insieme al
corpo. Platone, invece, precedentemente, aveva diviso anima e
corpo in due diverse entità, in due sostanze, e quindi
differenziando il destino del corpo da quello dell’anima,
riconoscendo all’anima una vita autonoma e separata. Con il
Cristianesimo, sostenitore dell’immortalità dell’anima, la
differenza tra i due filosofi era sostanziale. E’ per questo
che Marsilio Ficino (e tutti i filosofi neoplatonici),
filosoficamente e teologicamente propendevano nettamente per
Platone. Ficino, a maggior ragione con la sua visione della “pia
filosofia”, cioè la continuità tra le teorie platoniche e la
Rivelazione Cristiana, dove il platonismo era stato propedeutico
alla stessa fede cristiana, così scriveva all’inizio del
Theologia platonica o De immortalitate animarum:
« Liberiamoci in fretta,
spiriti celesti desiderosi della patria celeste, dai lacci delle
cose terrene, per volare con ali platoniche e con la guida di
Dio, alla sede celeste dove contempleremo beati l’eccellenza del
genere nostro. »
Anche
la fisionomia dell’universo mutava, mutando i filosofi. Infatti,
sul gradino inferiore dell’universo era posta la materia.
Secondo Averroè essa era vista come pura “quantità”, che non
poteva autogenerarsi dandosi una forma. Secondo Avicebron era
vero il contrario, cioè la forma derivava dalla materia stessa.
Alla materia “quantità” Averroè univa la “qualità”: il
principio formale che plasma le realtà fisiche. Questo
spirito incorporeo è l’anima «che genera la vita e il senso
della vita anche dal fango non vivente». Sopra le anime umane
e il loro intelletto («mobile e parte interrotto e dubbio»),
erano posti gli angeli con il loro intelletto («stabile tutto,
continuo e certissimo»). Sopra tutte le cose era posto Dio,
visto come unità, bontà e verità assoluta. E’ atto e vita
assoluta. Tramite Dio «tutte le cose son fatte, e però Iddio si
trova in tutte le cose e tutte le cose si veggono in lui...
Iddio è principio, perché da lui ogni cosa procede; Iddio è
fine, perché a lui ogni cosa ritorna, Iddio è vita e
intelligenza, perché per lui vivono le anime e le menti
intendono».
Il destino dell’anima è quello di incarnarsi
nella materia, unendo lo spirito e la corporeità. Questa azione
unificatrice si realizza attraverso l’amore, che si diffonde nel
mondo grazie a Dio, produce gli uomini che a loro volta guardano
e aspirano a ricongiungersi a Dio, in un movimento circolare
infinito. Per Ficino l’amore è l'eros di Platone, tramite
tra mondo sensibile e mondo intelligibile. All’eros platoniano,
Ficino, da cristiano, associa all’amore umano l’amore di Dio.
Filosofia e religione, secondo il pensiero di Ficino,
sono, quindi, connettendo tutti gli ambiti del reale,
reciprocamente complementari, tanto che egli usa formule come
«pia philosophia», o «teologia platonica». Congiuntamente
platonismo e neoplatonismo per lui non differiscono, poiché
sopra tutto vi sono le Idee, che trascendono e vanno oltre
qualunque percorso storico.
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