Giovan Domenico Campanella, meglio conosciuto come
Tommaso Campanella, nacque in Calabria, a Stilo nel 1568.
La cosa incredibile è che un filosofo e uomo di cultura come
Campanella era figlio di un ciabattino povero e analfabeta, che
certo non poteva affrontare le spese per mandare i figli a
scuola. Dopo il trasferimento nelle vicinanze, a Stignano, il
padre aveva intenzione di mandare Tommaso a Napoli da un
fratello, per fargli dare una sommaria erudizione di diritto.
Tommaso, che invece voleva svolgere studi regolari, decise di
entrare nell’Ordine Domenicano, nel convento della vicina
Placanica.
Una volta intrapresa la via religiosa, l’ascesa culturale di
Campanella fu graduale ma sostanziale: pronunciati i voti nel
convento di San Giorgio Morgeto
(aveva quindici anni), e preso il nome di Tommaso,
svolse gli studi superiori a Nicastro (1585 al 1587)
e, a vent’anni, affrontò lo studio della teologia a Cosenza.
Evidentemente inquieto, il giovane Campanella, non
soddisfatto dagli studi, decise di leggere da sé i testi
riguardanti la filosofia di “Platone, di Plinio, di Galeno,
degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i
Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo
per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le copie
contenessero di vero o di falso”. Fu proprio il De rerum
natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio,
filosofo cinquecentesco anch’esso calabrese, che colpì il
giovane e gli permise di penetrare teorie più attuali della
Scolastica, che studiava nel convento. Scoprì “…che la natura
poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva
essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall’uomo, con i
sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza
schemi precostituiti…”. Proprio nel 1588 morì a Cosenza
Bernardino Telesio, e Campanella, incredibile coincidenza, ne
seguì i funerali.
L’inquietudine di Campanella fu male
interpretata: per “intemperanze”, fu trasferito nel piccolo
convento di Altomonte. Le sue ricerche, comunque, non cessarono.
Quando gli amici gli diedero un piccolo testo, di tale
Jacopo Antonio Marta, scritto contro il pensiero di Telesio, ne
rimase colpito. In difesa dell’amato filosofo calabrese, scrisse
lo studio Philosophia sensibus demonstrata (del
1589),
che verrà stampato a Napoli due anni dopo. Era il suo primo
trattato. Dopo aver confermato la sua adesione al naturalismo
di Bernardino Telesio, egli asserisce che le leggi della natura
sono motivate dall'azione creatrice di Dio.
Quest’affermazione filosofica, invero, è legata più alle teorie
di Marsilio Ficino che a quelle di Telesio, il quale,
contrariamente, sosteneva l’autonomia delle leggi della natura.
Alla fine del 1589, con un colpo di testa, il filosofo abbandonò
il piccolo convento, recandosi a Napoli, ospite a casa dei
marchesi del Tufo. Non abbandonò, tuttavia, l’abito religioso,
anche se era molto più interessato alle sue ricerche
scientifiche e sui neoplatonici. Le cosiddette ricerche
“scientifiche” allora consistevano in pratiche alchemiche e
magiche, in generale.
Nel 1590 iniziò a scrivere il De sensu
rerum et magia, che fu ultimato nel 1592 (era in latino) e
dedicato a Ferdinando I de' Medici
granduca di Toscana. Il Santo Uffizio di Bologna
gli sequestrò il manoscritto e Campanella si vide costretto a
riscriverlo, stavolta, però, in italiano. Il testo fu ultimato
nel 1604, e poi tradotto in latino nel 1609 (il libro fu
pubblicato a Francoforte
nel 1620). In esso cerca di realizzare una filosofia
telesiana e platonica al tempo stesso. Critica Democrito e il
suo ordine universale basato sugli atomi. Critica anche gli
aristotelici, per la mancanza, nelle loro teorie, dell’azione di
Dio nel mondo naturale.
Pur non essendoci nessuna
affermazione eretica, egli pubblica il Philosophia sensibus
demonstrata che inizia a creargli i primi
problemi. Considerato scandaloso nel convento di
San Domenico, con l'accusa di pratiche demoniache, lo si fa
arrestare dalle guardie del Nunzio apostolico, nel 1591. Il
filosofo subisce il primo processo. Viene assolto dall’accusa di
pratiche demoniache, ma rimane tale per “essere un telesiano, di
non tener conto dell'ortodossia filosofica di Tommaso d'Aquino e
di essersene stato per mesi «in domibus saecolarium extra
religionem”. Era il 28 agosto del 1592. Essendo rimasto per un
anno in carcere, la pena non può risultare che blanda: deve
recitare dei salmi e tornare immediatamente al suo convento di
Altomonte. Campanella ha ventiquattro anni, è giovane e deciso a
lasciare segno di sé nel campo culturale e, soprattutto, non ha
voglia di rinchiudersi. Così, invece che
recarsi ad Altomonte, prende la strada opposta, e con una
lettera di presentazione dell’amico Giovanni Battista da
Polistena, padre provinciale di Calabria, per il granduca di
Toscana, parte per Firenze. Sogna d’insegnare a Pisa o a Siena,
ma Ferdinando I prende informazioni su di lui dal cardinale Del
Monte, che ne parla male. Campanella viene dirottato a Bologna,
dove il Santo Uffizio lo tiene sotto stretto controllo. Due
falsi frati gli rubano molti scritti, consegnandoli
all’Inquisizione, per la ricerca di eventuali eresie. Non
andare ad Altomonte non è stata una buona idea: Campanella è
ormai un uomo segnato per l’Inquisizione.
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