Dopo il naturale oblio della sua figura e
del suo pensiero nel periodo seguente la fine della guerra,
alcuni critici sono tornati a riscoprirlo, come Augusto Del
Noce
e Gennaro Sasso, con posizioni, però, dialettiche
su quello che veramente può essere il lascito filosofico di
Giovanni Gentile ai giorni nostri.
Il pensiero di Gentile si caratterizza in
particolare dalla visione unica della coscienza. In essa natura
e spirito coincidono e la fanno il polo
gnoseologico ed ontologico, oltre che sintesi di soggetto e
oggetto. La coscienza per Gentile è la sintesi di un atto in cui
il soggetto pone l’oggetto. Egli nega,
quindi, ogni dualismo o naturalismo. Anche Gentile apprezza e
si rifà, come Croce, ad Hegel. Tuttavia non è attratto dalle
implicazioni storicistiche di Hegel, ma, soprattutto, verso
l'impianto idealistico attenente alla coscienza. Egli ne
critica, tuttavia, la dialettica del pensiero e del pensato,
quest’ultimo caratterizzato dal pensiero determinato e dalle
scienze.
Sostanzialmente egli riforma l’idealismo
nella sua dialettica, con la sua teoria dell'atto puro e la
chiarificazione del legame tra logica del
pensare e logica del pensato Infatti, nella
«logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero
pensato», a suo avviso, la prima è una logica filosofica e
dialettica, la seconda una logica formale. La sua filosofia
dell’atto puro, viene definita dell’ “Attualismo”.
Teorizzando sulla natura dell’arte egli crea una triade, dove
l'atto puro si realizza nella contrapposizione tra la
soggettività, espressa dall'arte (tesi) e l'oggettività, propria
dalla religione (antitesi), che si risolve nella filosofia
(sintesi). In tutto ciò, secondo Gentile, consiste l'intera vita
dello spirito.
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