Isole Eolie: Stromboli

 

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STROMBOLI

L’isola di Stromboli, di 12,6 km², è l’unica delle Eolie ad avere un vulcano in continua attività. Verso sudovest c’è Ginostra che d’inverno è quasi disabitata. Fa parte anch’essa del comune di Lipari. Gli abitanti vengono chiamati strombolani. Sull’isola troviamo i borghi di San Vincenzo (anticamente l’abitato degli agricoltori), Scari, Piscità e Ficogrande (anticamente l’abitato degli armatori).

A nord è ubicato, a qualche centinaio di metri, uno scoglio denominato Strombolicchio, vulcano nato circa 200.000 anni fa che rappresenta la prima formazione di Stromboli. L’isola principale infatti inizia a crearsi, emergendo dal mare, circa 160.000 anni fa, in una successione di nuovi vulcani e di eruzioni, che danno vita e forma all’isola attuale.

Il vulcano di Stromboli, chiamato affettuosamente dagli abitanti Struògnoli, è costantemente attivo (ha una media di eruzioni di una ogni ora). Soste nell’attività eruttiva sono rarissime, in genere non vanno oltre qualche mese. La sosta maggiore è stata registrata tra il 1908 e il 1910.

Oggi Stromboli presenta tre crateri disposti da nord-est a sud-ovest, compresi nella depressione chiamata Sciara del Fuoco. Questa depressione permette ai vulcani di eruttare al suo interno senza interessare la parte abitata dell’isola. Le rare volte che colate laviche sono fuoriuscite dalla Sciara del Fuoco sono state pericolosissime e mortali. Nel 1919 e nel 1930 la lava lambì i centri abitati (Piscità si salvò per appena 20 metri). Oltre i danni e le vittime, in quelle occasioni si creò uno tsunami che interessò una vasta area fino a Capo Vaticano, in Calabria. L’ultima grande eruzione si è registrata tra il 27 febbraio e il 2 aprile del 2007 con aperture di nuove bocche all’interno della Sciara del Fuoco tra i 400 e i 500 metri sul livello del mare.

Popolata sin dall’antichità remota, Stromboli si è basata da sempre sulla pesca e sull’agricoltura peculiare del Mediterraneo, dedita alla produzione di olive, vite e fichi. Fino al XIX secolo l’isola è stata fiorente, tanto da richiamare 4000 abitanti. Una inversione di tendenza economica iniziò dall’Unità d’Italia, passando per continue eruzioni vulcaniche e terremoti, sino alla quasi distruzione della coltura della vite, dovuta alla peronospera, arrivata negli anni Trenta, che alla fine costrinse la popolazione ad emigrare verso le Americhe e l’Australia.

Nell’arcipelago delle Eolie, con il turismo nato a partire dagli anni Cinquanta-Sessanta anche Stromboli è tornata a ripopolarsi e a rifiorire. L’isola è raggiungibile con traghetti e aliscafi da Lipari, Milazzo, Messina e Napoli. In estate anche da Reggio Calabria, Tropea, Vibo Marina e da Capo Vaticano.

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.

 

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Una Tour Eiffel da record 1/2

 

 

Il nome di Parigi (e della Francia intera) è legato inscindibilmente al nome del suo monumento più famoso: la Tour Eiffel. La sua attrattiva è tale, che registra ben cinque milioni e mezzo di visitatori, ogni anno. Si calcola che dalla sua apertura (1898) ben oltre 250 milioni di persone l’hanno visitata. È infatti, tra i siti più ricercati della Francia (al nono posto), e fra quelli remunerativi perché è a pagamento. È considerata come una delle sette meraviglie del mondo moderno, anche se, tuttora, alcuni ancora la denigrano come fu quando apparve per la prima volta alla vista dei parigini.

La Tour Eiffel fu aperta ai visitatori ad agosto del 1898, in occasione dell’esposizione universale, che si tenne a Parigi a celebrazione del centenario dalla Rivoluzione francese. Venne costruita nel giro di due anni e raggiunse i 324 metri, talmente alta da sovrastare tutte le altre costruzioni parigine. Il suo progettista e creatore fu l’ingegnere Alexandre Gustave Eiffel. La Tour, fino al 1930, fu la costruzione più alta del mondo, superata in quell’anno dal Chrysler Building di New York.
In quanto a modernità la torre espresse anche altre funzioni innovative. E nell’ottica della modernità occorre ricordare che a sud-est della torre Eiffel si trovava una distesa erbosa da dove partivano e atterravano le colossali mongolfiere per i primi viaggiatori dell’aria.

Ciononostante, questa attrazione divenuta subito famosa rischiò, nel 1909, di essere smontata e rimossa. Così voleva l’élite culturale ed artistica francese. Ma la torre fu risparmiata, dal momento che si dimostrò preziosa per posizionare le antenne delle trasmissioni radio (quella che allora si chiamava radiotelegrafia).

Per salire e raggiungere i tre livelli della torre vi sono due vie. La prima con gli ascensori panoramici, azionati ancora con la tecnologia originaria. Oppure si possono salire a piedi ben 1665 scalini complessivi, per raggiungere l’ultimo piano. Qui è collocato un piccolo appartamento-studio, dove Eiffel usava incontrare le personalità dell’epoca. Durante l’esposizione universale, l’ingegnere accolse Thomas Edison, che gli portò un Fonografo di sua invenzione. L’incontro è oggi rappresentato, nello stesso luogo, con dei manichini di cera somiglianti ai personaggi dell’avvenimento.

 

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Tanti mestieri che nessuno vuol fare

 

L’artigianato va scomparendo. Lo gridava ai quattro venti già William Morris, che nel tardo Ottocento diede vita alle Arts and Crafts per fronteggiare i metodi di produzione industriale. Oggi i lavori più ambiti sono: consulenti per la gestione aziendale, progettisti per l’automazione industriale, analisti di procedure informatiche, sviluppatori di software. Per contro nessuno rifiuta le “tipicità”, in dissenso col predominare della omologazione. Nondimeno cosa rispondereste se vostro figlio confessasse, a voi impiegati o professionisti, di voler fare il produttore di sedie, anzi l’impagliatore di divani e poltrone, il riparatore di lustrini di mobili, il corniciaio? Eppure scemano a vista d’occhio le professioni di tradizionale memoria: quelle artigianali o creative, con guadagni limitati, difficili da intraprendere e imporre al mercato consumista. È retorico voler salvare le tradizioni a spese dei singoli mentre le Istituzioni rimangono immobili, se non per poche eccezioni. Ad esempio, si sta riprendendo l’antichissima arte di pizzi, trine e macramè. Questo in seguito al progetto di candidatura del merletto italiano a Patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Nel Biellese, per coltivare gli antichi mestieri del tessile, sono state create scuole superiori, corsi universitari e master. Esistono settori rilevanti, come l’alta moda o il restauro, che fanno capo a filiere che nella tradizione trovano il loro sostegno. Sono alternative parallele ai grandi competitor industriali, volendo sanare una ferita culturale sempre più ampia e fugando persino i timori di Morris: «Fintantoché il sistema della competizione nella produzione e negli scambi continua, continuerà la degradazione delle arti».

 

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Il Marché aux Puces di Saint-Ouen 1/2

 

Chi va a Parigi e non vuole vedere solo luoghi turistici, ma frequentati anche da “parisien”, prenda la linea 4 del “Métro” e raggiunga il capolinea a Porte de Clignancourt, XVIII arrondissement nel dipartimento della Seine-Saint-Denis. È così chiamato perché un tempo il territorio era possedimento dalla gotica Abbazia di Saint Denis. L’opera monumentale, voluta dall’abate Suger per celebrare il primo vescovo di Parigi, non riverbera alcun carattere artistico, perché la cinta fortificata e la porta d’ingresso alla città (una delle diciassette realizzate da Thiers a metà del XIX secolo), non esistono più. Ma dall’attuale piazza si accede all’antico paese di Clignancourt, oggi Saint-Ouen. Questo agglomerato di oltre 39.000 abitanti (annesso alla città di Parigi nel 1859) ha una sua storia minimale, ma ugualmente interessante, perché tra sabato e lunedì di ogni settimana è possibile recarsi “aux Puces”. In questo modo i residenti chiamano il celeberrimo “Marché aux puces” che – insieme all’altro storico mercato delle pulci di Parigi, quello di Porte de Vanves – permette ai collezionisti un tuffo nelle soffitte d’altri tempi, alla ricerca di quel bric-à-brac che ornò mensole e camini delle case borghesi europee a partire da fine Settecento.

Si sbaglia chi pensa ad un mercatino di bagattelle. Sono ben sette acri coperti da oltre 2.000 banchi e bancarelle, ma anche negozi vetrati, che offrono una passeggiata eccentrica in uno spettacolo rutilante di prodotti. Può capitare di trovarsi al secondo piano di un vecchio caseggiato senza neppure rendersene conto, come nel caso del “marché Dauphine”, dov’è il «Carré des libraires», la piazza dei librai, il posto dove amo perdermi. E voi di cosa avete bisogno? Abiti correnti o vintage? Ce ne sono in abbondanza; perché è possibile trovare articoli nuovi ed usati di ogni genere. Calzature, pezzi di ricambio, vecchia ferramenta, libri, bijou e gioielli, giocattoli, lampade e lampadari, brocche e posate, oggetti d’artigianato, attrezzature sportive, scientifiche, tecnologiche…

Si racconta che un tizio, osservando le bancarelle ricolme di tutte queste mercanzie addossate alle mura della città esclamò sbalordito: “Parola mia, questo è un mercato di pulci”, intendendo riferirsi agli insetti che infestavano tappeti e tessuti esposti in vendita. L’espressione tenne a battesimo il nuovo mercato che la cittadinanza, per motivi d’igiene, voleva “extra moenia”. Fu infatti dopo la guerra del 1870, che gli straccivendoli cacciati di Parigi, tra le casematte e le costruzioni spontanee attecchite alla cinta, dettero vita al primo villaggio commerciale della storia parigina. La nascita ufficiale del mercato delle pulci avviene, però, nell’anno 1885, quando la municipalità di Saint-Ouen si mobilita per la pulizia e la sicurezza del quartiere. I puciers – già si chiamavano così i venditori ambulanti – dovranno d’ora in poi pagare una tassa al Comune per l’occupazione del suolo pubblico.

 

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La cucina a Messina, in riva allo Stretto 2/2

 

Non bisogna dimenticare che la cucina di Messina, come quella delle Eolie, e apparentemente in modo paradossale la cucina dell’intera Sicilia e delle sue isole, è essenzialmente una cucina di terra. Il clima favorisce la coltivazione delle verdure, tanto che spostandosi dalla costa all’entroterra collinare, oltre che al pesce, queste verdure si mescolano alle carni. Ecco l’agnello alla messinese, cotto al forno con olive nere e pecorino o, ricordando atavici riti, cosparso di ogni genere di erbe e anticamente cotto in una fossa scavata nel terreno. Gli involtini di vitello, le polpette di carne (e di magro), il manzo e il coniglio in agrodolce, il falsomagro ripieno di salsiccia e tritato, uova sode, salame e formaggio.

La specialità dell'antica cucina messinese chiamata “sciusceddu”.
La specialità dell’antica cucina messinese chiamata “sciusceddu”.

Anche la cotoletta si arricchisce di un gusto più incisivo, dopo una infusione nell’uovo sbattuto ed una ripassata in un composto di pecorino, pane grattato, prezzemolo, sale, pepe, aglio. Poi possiamo scoprire il tipico “agglassato” a base di lacerto, il cui fondo di cottura può essere utilizzato per condire della pasta fresca. Ancora un piatto, per ricordare solo di sfuggita una tradizione gastronomica attraverso la quale siamo in grado di mostrare il legame con il territorio, per reintrodurlo nella ristorazione locale: parliamo del “sciusceddu”, polpettine di carne trita cotte nel brodo, versate in teglia e infornate, dopo avere aggiunto un composto di ricotta fresca, sbattuta con uovo, parmigiano, noce moscata.

E poi i dolci: cannoli e cassata, che a seconda delle province assumono consistenze e fragranze diverse; la frutta martorana, la pignolata messinese bianca e nera, le “sfinci” di San Giuseppe e i gelati, i rosoli, gli sciroppi, i liquori dolci della tradizione, come il nespolino e il liquore di miele.

 

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Isole Eolie: Salina

 

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SALINA

L’isola di Salina è la seconda delle Eolie, sia per estensione (26,8 km²), che per popolazione (2.300 abitanti circa). Di origine vulcanica è caratterizzata da due vulcani spenti di forma conica, i più alti dell’arcipelago: il monte “Fossa delle Felci”, di 961 m dal livello del mare e il “Monte dei Porri”, di 860 m. Proprio a causa dei due monti, l’isola aveva in origine il nome greco Didyme che vuol dire gemelli. Il nome attuale, molto più recente, è dovuto alla presenza sull’isola di una grande cava di sale.
La storia dell’isola è caratterizzata da periodi alterni di sviluppo e spopolamento. I ritrovamenti più antichi risalgono all’età del bronzo, ma i resti archeologici più importanti sono del periodo greco, intorno al IV secolo a. C. Nel VII secolo Salina risultava la più popolata delle Eolie, in quanto a Lipari erano ancora attivi i suoi vulcani, ma già nel periodo della conquista della Sicilia da parte degli arabi, l’isola era, se non deserta, scarsamente popolata. Dal XVII secolo tornò a ripopolarsi fino ad oggi.
Oltre al turismo, sono importanti economicamente la coltivazione della vite, per la produzione del famoso Malvasia e dei capperi, anch’essi tipici dell’arcipelago ed esportati ovunque. Sono stati istituiti sull’isola sia il parco regionale di Salina (1980), sia la riserva naturale di monte “Fossa delle Felci” e di “Monte dei Porri” (1981).

 

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Il tango argentino? Lo ballano a Messina

 

Alla Biblioteca Regionale “Giacomo Longo”, in un piacevole pomeriggio autunnale, ha proprio ragione la direttrice Maria Teresa Rodriquez ad esordire: «Divertirsi non è difficile quando si ha la tessera di una biblioteca». Soprattutto se il clima generoso permette di fruire del chiostro dell’Arcivescovado – lindo e pinto, eccezione non comune nella città accorintiana – e l’evento sembra materializzarsi come le figure tridimensionali dei colorati libri per bambini. A “Tiempo de tango” è stato composto il palinsesto di un incontro fra letteratura, poesia, cinema, e, chiaramente, musica e danza. Perché, fuor di dubbio, i sensuali tanghi e milonghe, dell’affiatata coppia di ballerini argentini Luìs Delgado e Malena Veltri, come l’ondeggiante fisarmonica di Salvatore Galletta, hanno calamitato l’attenzione. Così il pubblico dei presenti s’è ritrovato a fine Ottocento, nelle case da ballo d’oltreoceano, frequentate da povera gente. Quando per stringere una donna s’impiegava un ballabile. Ricordi di cadenze ancestrali, sulle quali intrecciare discorsi ammagliati da Patrizia Danzè, per ascoltare Lilita Pizzi sulla ritmica ispanica dell’Associazione Puerto de Buenos Aires, le pagine di Anna Mallamo, le terapie di coppia di Maria Gabriella Scuderi, le valenze della sceneggiatura filmica di Salvatore Arimatea e Tosi Siragusa per “Ballando il silenzio”. In chiusura, Borges e l’evocazione poetica del tango delle origini. Nato nei vicoli e nei lupanari dei quartieri malfamati, era davvero così poco sensuale e niente affatto sentimentale. I versi di Borges parlano di ammazzati a colpi di coltello e teppisti di periferia. Dopotutto i libri sono qui in biblioteca per questo: per attestare le realtà in evoluzione.

 

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La cucina a Messina, in riva allo Stretto 1/2

 

Il modo più tradizionale per intraprendere un viaggio in Sicilia attraverso itinerari, non solo dell’arte, della cultura, delle tradizioni etniche, ma anche del gusto e dei sapori comincia dalla città dello Stretto. Messina, primo punto di approdo nell’Isola per chi traghetta dal continente, offre al visitatore l’immagine della nuova città eclettica e razionale, ricostruita all’inizio del Novecento, sulla quale spiccano il campanile e la mole del duomo. Ma ben altre sorprese sono riservate al viaggiatore attento, che vuole conoscere usi e costumi non sempre riscontrabili nelle classiche mete turistiche.

Nella città, come in tutte quelle della Sicilia, la giornata inizia con il rito mattiniero della granita al gusto di caffè, o se preferite mandorla, cioccolato, limone, fragola, pesca, albicocche, gelsi neri e bianchi, gelsomino, anguria, cantalupo, pistacchio… Tutti prodotti, colori, sapori e profumi degli incantevoli giardini di Sicilia, accompagnati da fragranti brioches o dalle meno usuali zuccherate.

Il mare entra in tavola proponendo una incredibile varietà di piatti; si tratta dello stoccafisso in insalata o alla messinese, cioè a “ghiotta”, con un intingolo di pomodori, sedano, carota, prezzemolo e patate. Il pesce spada, per la cui pesca si utilizzano delle imbarcazioni tipiche dall’albero altissimo, viene proposto in svariati modi: alla “ghiotta”, alla “stemperata”, ad involtino, impanato o arrosto, spennellato con il “sammurigghiu”, una calda emulsione di acqua, olio, limone, prezzemolo, origano, sale e pepe, cotta a bagnomaria, che serve per accompagnare oltre ai pesci, anche carni alla brace. Ma a Messina e nelle località di riviera, si possono gustare, non solo pesce spada, ma anche tonni, spigole, ricciole, calamari, polpi, cozze… aguglie arrotolate come un bracciale, capone imperiale, pescato solamente nel mare dello Stretto.

 

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Isole Eolie: Panarea

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PANAREA

L’isola di Panarea, pur essendo la più piccola delle Eolie (3,4 km²), è la più antica dal punto di vista geologico. In realtà si tratta di un unico bacino vulcanico di cui rimangono, oltre l’isola, scogli e isolotti. L’antico condotto vulcanico è stato individuato tra lo scoglio La Nave e lo scoglio Cacatu, mentre sulla spiaggia della Calcara rimangono fumarole di vapore caldissimo. Si possono, inoltre, individuare sott’acqua ulteriori tracce di attività vulcanica, per il ribollire delle acque fra l’isolotto di Bottaro e Lisca Bianca. È l’isola meno elevata delle Eolie e il Timpone del Corvo (421 metri) rappresenta il suo livello maggiore.

Il nome attuale è recente ed è l’ultimo di una lunga serie di denominazioni: dal più antico Euonymos (che sta a sinistra), a Hycesia (la supplice), a Panaraion (la distrutta), a Pagnaria (la maledetta) fino a Panaria ed infine a Panarea. Le più antiche testimonianze storiche risalgono all’età del bronzo a sud-ovest dell’isola, sul promontorio di “punta milazzese” (XIV secolo a. C.), attestate dai resti di un villaggio preistorico, attualmente visitabili. Tra i ritrovamenti anche ceramiche d’origine micenea, simbolo dell’antico fervore commerciale delle Eolie.

Come le altre isole dell’arcipelago, storicamente Panarea ha subito un succedersi di dominazioni. Dall’antico periodo neolitico alla dominazione greca, le isole furono soggette a ripetute scorrerie, fra le quali si ricordano quelle etrusche. Nel 264 a.C. le isole decidono di allearsi con i Cartaginesi per difendersi dagli attacchi della flotta romana. Dopo la battaglia navale avvenuta proprio nelle sue acque tra la flotta cartaginese e quella romana, anche le isole subiscono il dominio di Roma su tutta la Sicilia. Alla caduta dell’impero, inizia una fase di progressivo declino che si protrae durante il periodo di dominazione bizantina e araba. Solo all’arrivo dei normanni l’arcipelago recupera la sua antica importanza, lo sviluppo economico e demografico.

È intorno al Cinquecento che riappare il pericolo delle scorrerie, stavolta da parte dei turchi, capitanati, tra gli altri, dal pirata Drauth, che lascerà traccia di sé nel nome della baia e della contrada chiamata, appunto, Drautto. Anche in questo caso la presenza del pericolo porta allo spopolamento di Panarea. Fino al rientro degli abitanti nel XVII secolo, quando toccheranno quota 1000, per poi decrescere alla fine dell’Ottocento, a causa dell’emigrazione verso le Americhe. Oggi l’isola è abitata da 200 persone stabili, che arrivano anche a 2000 nei periodi estivi, grazie al turismo.

 

Tutte le foto presenti nelle Gallery delle Isole Eolie sono tratte dall’archivio di Wikimedia Commons. Per ogni riferimento fotografico consultare il sito.

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