Autori: Giuseppe Giacosa, il librettista di Puccini

Giuseppe Giacosa è noto per i suoi drammi di tipo borghese, ma, soprattutto, per il suo lavoro di librettista insieme a Luigi Illica. Infatti, insieme realizzarono i tre testi per le opere liriche di Giacomo Puccini, che compose tra il 1893 e il 1904: La bohème, Tosca e Madama Butterfly.
Ai suoi inizi, probabilmente ispirato dal movimento del Romanticismo, compose drammi di ambiente storico (La partita a scacchi del 1871, e Il marito amante della moglie del 1871). Pur riscuotendo un certo successo (le sue ricostruzioni erano alquanto dubbie), si concentrò sul dramma borghese. Egli, cogliendo un certo disagio nel mondo borghese, si fa portavoce delle inquietudini di quello. Le sue composizioni, dai toni semplici e misurati, sfociano nel dramma per cause piccole e apparentemente banali e si svolgono in ambientazioni, stavolta, attente e minuziose, anche verso i particolari.

Nella sua collaborazione con Puccini ed Illica, si compone un terzetto di grandi qualità. Giacosa si interessa maggiormente delle parti liriche del libretto. Il suo intimismo di stampo naturalista lo rende perfetto per gli approfondimenti psicologici dei personaggi, specialmente femminili. E’ una vita assai stressante, soprattutto per quanto riguarda scadenze e rifacimenti, oltre che impegnativo per le caratteristiche proprie del teatro musicale. Il suo buon carattere, però, lo fa mediatore nelle liti che scoppiano all’interno di esso (Puccini gli dà, scherzosamente,  il nome di “Buddha” per la sua saggezza e per il suo fisico “ingombrante”).
Alla sua morte (avvenuta il 1 settembre del 1906), fatidicamente il gruppo si scioglie, rendendosi impossibile la collaborazione tra Puccini ed Illica. La perfezione delle opere pucciniane che ci sono rimaste, dimostrano tutta la caratura d’artista di Giacosa.

Autori: Arrigo Boito, il librettista di Verdi

Arrigo Boito (nato a Padova, il 24 febbraio del 1842), scrittore che aderì alla Scapigliatura, incarna la duplice figura di letterato-musicista. Egli, in effetti, presenta un’iniziale formazione come musicista. Infatti, studiò (dal 1853) violino, pianoforte e composizione al conservatorio di Milano, (fu allievo di Alberto Mazzucato). Già innovatore, contestava le convenzioni musicali del tempo, compose, dal 1860 al 1861, la cantata Il quattro giugno e il mistero Le sorelle d’Italia, componendo sia la musica che i testi.
Realizzò il suo primo libretto per la musica dell’amico Faccio, l’Amleto, tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare.

La sua vita fu caratterizzata dal rapporto lavorativo e dall’amicizia con Giuseppe Verdi (come per Giacosa con Puccini). Incontrato a Parigi, nel 1861, dove conobbe anche Rossini e Berlioz, scrisse per lui il testo dell’Inno delle Nazioni, eseguito all’Esposizione Universale di Londra. Superata un’iniziale antipatia, i due composero opere liriche come: l’Otello (1887) e il Falstaff (1893), entrambi rielaborando i relativi drammi di Shakespeare. Modificò, anche, sensibilmente il Simon Boccanegra (1881).

Dal 1887 al 1898 nacque un intenso rapporto affettivo con la famosa attrice di teatro Eleonora Duse, che lo portò a tradurre per lei i drammi shakespeariani Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta e Macbeth.
Nella sua intensa e produttiva attività di librettista collaborò anche con altri musicisti, come: con Amilcare Ponchielli (La Gioconda), con Giovanni Bottesini (Ero e Leandro), con Costantino Palumbo (Pier Luigi Farnese), con Alfredo Catalani (La falce) e con Gaetano Coronaro (Un tramonto).
Arrigo Boito, come abbiamo detto musicista_librettista, compose, anche, un’opera tutta sua: Mefistofele, rielaborando il Faust di Goethe, con musiche d’ispirazione wagneriana. Se la prima, alla Scala di Milano, fu un totale insuccesso (proteste e scontri spinsero a non andare oltre la seconda rappresentazione), rielaborata e messa in scena al Teatro Comunale Bologna, nel 1875, fu un tale successo che ancora si replica ogni volta che viene rappresentata. Unica fra le composizioni di Boito, compose, in realtà, una seconda opera lirica, il Nerone, ma non riuscì a portarla al termine, non essendo interamente strumentato. Fu completato, il più fedelmente possibile a sue indicazioni, da Arturo Toscanini, Antonio Smareglia e Vincenzo Tommasini. Rappresentata per la prima volta alla Scala il 1º maggio 1924 (Boito era morto nel 1918) ottenne un grande successo iniziale. Tuttavia, essa non si è affermata nel gusto, a differenza del Mefistofele, e successivamente è stata poco rappresentata.

I suoi successi lo portarono ad essere, dal 1890 al 1891, il direttore onorario del Conservatorio di Parma (che porta ancora il suo nome) e, nel 1893, a ricevere una laurea honoris causa in musica dall’Università di Cambridge. Fu nominato, infine, senatore del Regno d’Italia nel 1912.

Unitamente all’attività di librettista, egli portò avanti quella di poeta, spesso seguendo i canoni della Scapigliatura. Amico di Emilio Praga, compose la raccolta del  Libro dei versi (1877), e pubblicò un poemetto originalissimo Re Orso (1864), una fiaba dal gusto orrido e inquietante. Su varie riviste tra il 1867 e il 1874, editò diverse novelle, quali: L’Alfier nero, Iberia, La musica in piazza, Il pugno chiuso e Il trapezio. Intensa fu la collaborazione di giornalista e critico con la rivista Figaro, da lui stesso fondata e diretta (nel 1864).

La iatrochimica di Paracelso – 8/8

 

La iatrochimica, branca della chimica e della medicina, originatasi nel Rinascimento, sosteneva che la vita dipendesse dall’equilibrio tra elementi chimici e, quindi, la salute del corpo umano consisteva nell’equilibrio tra i vari fluidi corporei. Quindi la ricerca della chimica, applicata alla medicina, poteva trovare i rimedi farmacologici contro la malattia.
Le ricerche del famoso Paracelso, medico svizzero, e degli iatrochimici, inizialmente molto simili a quelle effettuate contemporaneamente dagli alchimisti, portarono all’individuazione di primi rimedi chimici, tra i quali anche di alcuni ancora oggi utilizzati. Ad esempio, tra questi, citiamo: la tintura di ferro, il laudano, il tartaro emetico, l’acetato ammonico, il colchino, l’etere solforico (o etere dietilico).
La iatrochimica, non ancora pienamente scienza, poggiava sul concetto di fluidi corporei, teorizzati molto tempo prima da Ippocrate. Fu definito, infatti, una scuola filosofica. Apertamente in contrasto con le pratiche mediche vigenti all’epoca, la iatrochimica scomparve proprio a causa delle moderne pratiche mediche, sviluppatesi seguentemente. Il suo periodo di massima diffusione che va dal 1525 al 1660.

La fine dell’Alchimia
Nel XVII secolo, l’Alchimia, ridotta a pseudo-scienza, denunciò la caratteristica filosofica delle sue teorie. Quella che era stata l’Ars magna, condivise lo stesso destino di altre teorie esoteriche, come l’astrologia e la cabala, apparentate tra loro semplicemente dalla superstizione. L’Alchimia si svalutò d’importanza ed uscì dagli studi universitari del tempo.
Tuttavia, il grande credito che l’Alchimia aveva goduto per millenni, non poteva scomparire da un momento all’altro. Soprattutto a livello popolare, non informato delle nuove scoperte scientifiche, l’alchimia continuò ad avere una grande diffusione. Gli alchimisti seguitavano ad avere doti di guaritori e detentori del grande sapere. Molti di questi scrissero libri sulla falsariga dei grandi alchimisti del passato, autocelebrandosi ed autoaffermandosi. Nacquero veri e propri manuali, come i cosiddetti “erbari dei falsi alchimisti”.
Con l’affermazione progressiva della scienza, nel tempo, l’alchimia perse ogni prestigio intellettuale, finendo per scomparire del tutto. Solo verso la fine dell’Ottocento e nei primi decenni del secolo successivo, l’alchimia venne riscoperta, ma più come fenomeno culturale del passato, non certo per la sua “scienza”. Tra le personalità che si interessarono ad essa, vi furono, tra gli altri, lo psicanalista Carl Gustav Jung, mentre tra i primi studiosi che si interessarono all’esoterismo e all’occultismo, e quindi di alchimia, vi furono Julius Evola e Giuliano Kremmerz.

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Paracelso tra Alchimia e Scienza – 7/8

 

Con la nascita della Scienza moderna, supportata dal metodo scientifico formulato da Galileo Galilei, l’improvvisazione dell’Alchimia entra sicuramente in crisi. E’ proprio sul metodo galileiano che si poggiano le ricerche di Robert Boyle (1627-1691), nel XVII secolo. Egli affronta con rigore e meticolosità l’analisi della trasformazione della materia, superando l’eterna ricerca della pietra filosofale. Ugualmente i vari elisir medicamentosi dell’Alchimia vennero ridicolizzati dai primi sviluppi nel campo della chimica organica, uniti ai passi in avanti della medicina, sviluppatasi a partire dalla iatrochimica di Paracelso.

Paracelso
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto per brevità Paracelso (1493 – 1541), è un complesso personaggio, che fu medico, alchimista ed anche  astrologo. Il suo strano appellativo significa “eguale a Celsus”, cioè di Aulus Cornelius Celsus (prima metà del I secolo), autore latino, che compose un trattato di medicina.
Egli fu, a tutti gli effetti, uno spartiacque tra la ricerca alchemica sui metalli preziosi e le teorie magiche (che egli rifiutò) e l’utilizzo di osservazioni empiriche sperimentali mirate alla comprensione del  corpo umano e alla ricerca di medicinali. Notevolmente proteso, quindi, verso il futuro, egli non abbandonò mai le filosofie ermetiche, neoplatoniche e pitagoriche.

Paracelso si laureò all’Università di Ferrara, come il contemporaneo Niccolò Copernico. Quale studioso, aggiunse ai quattro elementi aristotelici, principi che formavano la materia nella concezione classica, ulteriori tre elementi: sale, zolfo e mercurio. Come motore del cambiamento e delle trasformazioni, egli sostenne la presenza di spiriti della natura. I tre elementi, sale, zolfo e mercurio, basilari nei corpi organici ed inorganici, formavano, a suo avviso, un tutt’uno, irriconoscibile. Solo nello stato della malattia essi si separavano, perdendo l’equilibrio del loro rapporto. Nel concetto di malattia e di cura corrispondente, Paracelso sostenne la teoria dei simili, in opposizione alla teoria dei contrari, allora in voga. Egli affermava, infatti, che alla malattia bisognasse opporre la stessa sostanza da cui era stata causata.
Sempre come innovatore, non aderì alla medicina tradizionale, ma fondò la iatrochimica. Quest’ultima rappresenta proprio l’innovazione del sapere alchemico. Paracelso, infatti, rifiutò la ricerca “metallurgica” dei materiali nobili degli alchimisti del tempo, preferendo un’utilità delle ricerche indirizzate sulla salute umana.

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Alchimisti nel Rinascimento – 6/8

 

La “rivoluzione” rinascimentale vede lo sviluppo di tutte le attività filosofiche, letterarie e scientifiche. In un complesso generale, dove alchimia e scienze naturali, astrologia e astronomia, magia e medicina, erano tutte collegate e non ancora distinte tra esse. Esempio di ciò, si evidenzia la personalità dell’alchimista Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim (1486-1535). Costui, infatti si occupò contemporaneamente di ricerche scientifiche, medicina, astrologia e filosofia. Pubblicò diversi testi, molto apprezzati dai suoi colleghi alchimisti (ad esempio, il De occulta philosophia). In un coacervo di filosofia mistica, magia occultista, scienza sperimentale e numerologia, egli si riteneva anche in grado di evocare gli spiriti dell’aldilà.

Nel 1561 a Parigi, fu pubblicata la prima “storia dell’alchimia”, scritta da Robert Duval. Se la pratica alchemica, nel Cinquecento, era misteriosa ed occulta, non bisogna pensare che gli alchimisti operassero marginalmente alla società. Tra essi, infatti, è noto come svolgessero questa pratica personaggi notori, come Caterina Sforza, Cosimo I de’ Medici e Francesco I de’ Medici, che fece dipingere nel suo studiolo di Palazzo Vecchio, da Giovanni Stradano, addirittura delle allegorie alchimistiche. In effetti, i grandi regnanti non erano lontani dall’alchimia. La celebre regina Elisabetta I d’Inghilterra possedeva un proprio “consulente scientifico”, tale John Dee, che si occupava, oltre che di alchimia, anche di astrologia e crittografia. Nel 1564, pure John Dee pubblicò un testo alchemico, Monas Hieroglyphica, facendo riferimenti anche alla Cabala.

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Alchimisti nel Medioevo – 5/8

 

Con la caduta dell’impero romano e l’inizio del medioevo, ogni cultura precedente sembrò scomparire. La cultura alchemica riprese il suo cammino con l’influenza dell’alchimia islamica. E’ in Spagna, che, probabilmente, si realizzò questo nuovo travaso. La cosa avvenne, secondo diversi studiosi, tramite Gerberto di Aurillac, che, in seguito, fu fatto papa, col nome di Silvestro II. Un secolo dopo, nel XII secolo, si distingue l’opera di traduttore instancabile di testi in lingua araba, di Gerardo da Cremona. E’ sua la prima traduzione del filosofo arabo Averroè, e del saggio l’Almagesto. Un altro traduttore molto importante è Roberto di Chester, che tradusse il Liber de compositione alchimia, nel 1144. E’ questa la data in cui gli storici segnano la rinascita dell’alchimia europea.
Nel XIII secolo, operano Alberto Magno, scrittore del De mirabilibus mundi e del Liber de Alchemia,e Tommaso d’Aquino, che arrivò ad affermare che era possibile produrre artificialmente sia l’oro che l’argento. L’alchimista, però, più importante (di quelli noti) fu Ruggero Bacone (1241-1294). Religioso appartenente all’ordine dei francescani, scrisse diverse opere sull’alchimia, divenendo punto di riferimento per tutti gli alchimisti successivi. Verso la fine del XIII secolo, altri due alchimisti si distinguono, Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo. Ad essi è addebitato il corpus alchemico, la complessa dottrina, propria dei ricercatori seguenti.
E’ nel XV secolo che l’alchimia ha una battuta d’arresto. E’ in questo secolo, infatti, che esce l’editto Spondent Pariter, emanato da Papa Giovanni XXII, dove si vieta la pratica dell’alchimia, in particolar modo ai religiosi. Ciononostante, la ricerca alchemica non si fermò, anzi, nacquero figure mitiche in questo settore. E’ il caso di Nicolas Flamel, vissuto tra il 1330 e il 1419. La leggenda narra che entrasse in possesso del Libro di Abramo l’ebreo, ricavandone indicazioni per l’ottenimento della pietra filosofale, unico suo interesse di alchimista. Ebbe una discreta attività editoriale. Dalle sue ricerche sempre la leggenda vuole che scoprì effettivamente la ricetta dell’elisir di immortalità. Insieme alla moglie Perenelle, Flamel sarebbe ancora vivo.
Nella loro ricerca quotidiana della trasmutazione dei metalli, dal piombo all’oro, essi credevano di effettuare un viaggio nella parallela purificazione dell’anima. Tuttavia, la vita dell’alchimista era tutt’altro che semplice. Essendo considerati anche come maghi e incantatori, spesso essi venivano perseguitati come le streghe e le praticanti la magia nera.

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Storia dell’alchimia: nel mondo islamico – 4/8

 

La Biblioteca di Alessandria fu un vero polo culturale dell’antichità. Dopo la sua distruzione il sapere emigrò nel Vicino Oriente. Anche la cultura dell’alchimia fu recepita dalla letteratura islamica. Anzi, le traduzioni in lingua islamica di vecchi testi greci e i nuovi trattati arabi sulle loro ricerche alchemiche ci hanno tramandato notizie più sostanziose sulla misteriosa pratica. All’interno di questa nuova letteratura si distingue l’opera di uno dei più grandi alchimisti, Jabir ibn Hayyan, vissuto nel VIII secolo, che individuò le quattro qualità della materia: caldo, freddo, secco e umido. Teorizzò, inoltre, che la fusione di due metalli avrebbe portato ad un terzo metallo.
L’unico alchimista europeo conosciuto, di questa fase storica, che abbia scritto trattati sulla pratica dell’alchimia, è Zosimo di Panopoli.

Gli alchimisti islamici hanno operato (come faranno poi quelli europei nel medioevo) nel campo della chimica, anche se marginalmente. Ad essi si deve la scoperta dell’acido muriatico, l’acido solforico e l’acido nitrico. Hanno individuato il sodio ed il potassio, oltre ad avere inventato il procedimento di distillazione. All’alchimia araba si deve anche la nomenclatura alchimistica successiva.

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Storia dell’alchimia: le origini – 3/8

 

Il fenomeno dell’alchimia ha importanza e diffusione planetaria, quindi, tutt’altro che marginale. Due sono i filoni di sviluppo: uno in Asia, con l’alchimia cinese, sviluppatasi nel Taoismo, e nelle rispettive zone di influenza (come l’India), ed uno occidentale, nato in Egitto, per poi contaminare le civiltà classiche (Grecia e Roma), e poi il mondo islamico e l’Europa intera. Qui, vi furono rapporti superficiali con le varie religioni, ma l’alchimia occidentale va considerata come cultura autonoma. Se vi sono stati contatti o rapporti tra le due realtà alchemiche, non è noto.

L’alchimia occidentale
Gli stessi alchimisti pongono la nascita della loro arte nell’antico Egitto. Purtroppo non ci sono pervenuti documenti, ma ciò che sappiamo deriva da scritti greci e traduzioni arabe. Se mai fossero esistiti (ma si sostiene di no), essi bruciarono nell’incendio della Biblioteca di Alessandria. Sembra che gli antichi egizi considerassero la metallurgia come pratica mistica per eccellenza. Una leggenda vuole che l’invenzione della metallurgia fosse addebitabile al dio Thot, che, nella cultura greca, divenne Ermes. Questo “creatore” avrebbe scritto ben 42 libri sullo scibile umano, tra i quali uno dedicato all’alchimia. La famosa Tavola di smeraldo del dio Ermes Trismegistus (il tre volte grande), secondo antiche traduzioni arabe, sarebbe alla base della pratica alchemica.

Il complesso dettato alchemico trova le sue origini nella cultura filosofica dei Greci. La cultura greca, infatti, sempre caratterizzata da movimenti filosofici, assunse dalla cultura alessandrina i propri concetti. Tre furono le differenziazioni operate su di essa: quella tecnica, quella filosofica e quella religiosa. Grande importanza ebbe l’alchimia nella filosofie del Pitagorismo, dottrina passata, successivamente, nello Gnosticismo. La filosofia pitagorica, che dava enorme rilevanza ai numeri, secondo loro alla base del creato, si ritrova poi nell’importanza che gli alchimisti davano ai numeri nelle loro ricerche.
Un ulteriore contributo alla cultura alchenica fu recepito dalla filosofia della scuola ionica. Essa riteneva che vi fosse un principio unico e originario nella creazione, da ricercare. Filosofi di questa corrente furono Talete ed Anassimandro. A questo pensiero si rifecero i grandi Platone ed Aristotele. Il loro credo filosofico divenne poi base degli obiettivi alchemici.
In questo periodo storico, l’indagine filosofica analizza la realtà materiale e spirituale dell’universo. Viene posto per primo un concetto: una sola materia prima dà vita a tutto il creato. Il filosofo Empedocle distingue questo unico cardine in quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Aristotele vi aggiunge la “quintessenza”, cioè, l’etere, la materia di cui sono formati i cieli.

Nel successivo periodo romano, l’alchimia acquisisce il carattere di religione esoterica, il mistero e la magia. Nell’età imperiale ed ellenistica si sviluppò, infatti, sull’alchimia una letteratura specifica. Essendo riferita al dio Thot-Ermete, essa venne denominata come “ermetica”. I contenuti vennero mutuati dal Neoplatonismo e dal Neopitagorismo. Più tardi, nel II secolo, fu redatto il testo degli Oracoli caldaici, di cui è rimasto poco, ma che confermava i precedenti della letteratura ermetica. La dottrina alchemica si va a formare in tale periodo.

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Gli alchimisti – 2/8

 

L’alchimista medievale era un uomo “dotto”, un po’ defilato, che aveva conoscenze di molte tematiche, sia chimiche, che spirituali ed astrologiche, magia ed esoterismo. L’alchimista era considerato un serio studioso.
Tra le eminenti personalità che si interessarono all’alchimia, spicca Isac Newton, il grande scopritore della forza di gravità. Mantenne sempre il riserbo sulle sue ricerche in tale campo, ma non diede mai alle stampe né testi filosofici né alchemici. Tali studi vennero pubblicati solo nel 1936 dall’economista John Maynard Keynes, entrato in possesso dei manoscritti originali di Newton.
Tra il XVI e il XVII secolo, molte altre personalità, insospettabili e non, operarono da alchimisti, come, tra gli altri, Ruggero Bacone, Thomas Browne, Giordano Bruno, ma anche San Tommaso d’Aquino.

Il pensiero illuminista ed il materialismo razionale, nel Settecento, incentivarono la ricerca scientifica nei settori dell’astronomia, della fisica, chimica e botanica, che iniziarono e approfondirono la ricerca sulle trasmutazioni della materia, facendo perdere di credibilità all’alchimia, che in tale secolo scomparve del tutto.
La recente riscoperta della tematica dell’alchimia, ha permesso di decifrare i complessi rapporti con la cultura di quei secoli. L’alchimia, oggi, viene collegata, non solo al pensiero eretico e para-filosofico, ma anche alla stregoneria e alle sette mistiche, quali quella dei Rosa Croce.

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La misteriosa Alchimia – 1/8

 

L’alchimia è una filosofia esoterica, che alcuni studiosi fanno risalire addirittura alla civiltà egizia. Si tratta di una specie di chimica, ma pure di fisica, astrologia e medicina, anche se la famosa ricerca della pietra filosofale l’applicò molto alla  metallurgia (la trasformazione dei metalli in oro).
Alcuni studiosi ritengono l’alchimia, soprattutto, il precursore della chimica moderna, nata nel XVII secolo, con l’applicazione del metodo galileiano alla ricerca scientifica.
La ricerca alchemica, essendo una filosofia, anche se pratica, mirava all’ottenimento di obiettivi enormi, come conquistare l’onniscienza; creare una medicina universale per curare tutte le malattie; estrarre un elisir che prolungasse la vita all’infinito e la trasmutazione delle sostanze, in particolare, i metalli in oro. Alla sommità di tutte le ricerche quella della pietra filosofale.

In realtà, tutte queste ricerche erano probabilmente più metaforiche che reali. Questo perché l’applicazione ad una simile “professione” doveva ottenere il raggiungimento di uno stato filosofico e metafisico della conoscenza. L’alchimista segue un percorso immateriale che lo liberi interiormente, cioè uno sviluppo spirituale. Ad esempio il rapporto con i metalli, da un lato il piombo e dall’altro l’oro, sono da considerarsi categorie simboliche dell’essere.

L’alchimia, scienza esoterica, ha sempre goduto di un aura di mistero. Nel medioevo, infatti, non poteva che essere un’attività occulta, per non scontrarsi con i canoni della Chiesa. Il suo fine principale era il cammino spirituale che andava dal piombo (lo stato più negativo) all’oro (lo stato massimamente positivo). La piena consapevolezza personale comportava il raggiungimento di un proprio Dio. Fine che non poteva essere condiviso proprio dalla religione cristiana.
Ciononostante, il cammino verso la verità e la somma perfezione, simboleggiata dall’oro, metallo incorruttibile, erano il fine ultimo dell’umanità, verso cui era diretta. La scoperta dell’elisir che guariva ogni male e la pietra filosofale che trasformava i metalli, erano l’obiettivo da perseguire, perché già implicito e prefissato.
Inoltre, finché non nacque la scienza sperimentale, nel secolo XVII, non potendo avere un rapporto con dati reali di fisica e chimica, la ricerca alchemica era costretta a poggiare sulla magia, ma anche sulla metafisica e la filosofia. La realtà materica, quindi, conviveva, necessariamente, con la metafisica ed il pensiero speculativo. Se nell’antichità si era conformata come una specie di religione parallela metallurgico-medicinale, col tempo acquisì una sorta di misticismo “superiore”, portatore di conoscenze empiriche e di significati filosofici.

L’opus alchemicum o processo alchemico, era alquanto complesso, diviso tra chimica, filosofia e magia. La pietra filosofale veniva cercata attraverso sette procedimenti, divisi in quattro operazioni. Si partiva dalla “materia prima”, che, con l’aggiunta di zolfo e mercurio, veniva riscaldata, in vari momenti e metodi, nel tentativo di ottenere gradualmente la trasmutazione della sostanza in stadi più “elevati” della materia. Le fasi erano variabili da un minimo di tre ed un massimo di dodici. Nel processo avevano importanza i colori, che denotavano il livello raggiunto (nero, bianco e rosso) ed i numeri, sempre ritenuti magici ed essenziali.
Essendo l’alchimia una pratica magica e mistica, possedeva un gran numero di simboli e significati esoterici, che naturalmente, rientravano nella creazione alchemica.

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