La Befana o Goody Santa Claus: figure folcloriche rappresentative della generosità e della speranza

Katharine Lee Bates, Goody Santa Claus on a Sleigh Ride (1889). Copertina

La Befana è una figura del folclore italiano che incarna la generosità e la speranza. In molte famiglie italiane, la vigilia dell’Epifania è una festa familiare. I bambini lasciano scritti in un biglietto per la vecchina con i loro desideri, e si divertono a vedere cosa troveranno al mattino seguente. La Befana è, infatti, una vecchia signora che distribuisce doni ai bambini in tutta Italia la notte dell’Epifania (la notte del 5 gennaio). Il suo aspetto è sovente descritto come quello di una donna attempata, dal naso aquilino, dal viso rugoso e dalla testa coperta da un fazzoletto spesso bianco. Indossa un abito nero e un grembiule, e impiega una scopa con la quale vola da una casa all’altra.

La storia della Befana è lunga e complessa. Ci sono molte versioni diverse della storia, ma la più comune è quella che segue. C’era una donna gentile che viveva in un piccolo villaggio. Un giorno, tre magi si fermarono al suo villaggio mentre erano in viaggio per trovare Gesù Bambino. La Befana li invitò a cena e a dormire, e loro le raccontarono del neonato. La Befana voleva seguire i magi per vedere Gesù Bambino, ma si addormentò prima che potesse partire. Quando si svegliò, i magi erano già andati via. L’anziana signora si pentì amaramente di non aver seguito i magi, e da allora ha viaggiato per il mondo la notte dell’Epifania, distribuendo doni ai bambini nella speranza che uno di loro sia quel Gesù Bambino, di cui i magi le avevano raccontato.

La Befana è una figura popolare in Italia, e la sua festa è una tradizione importante per molti bambini. La vigilia dell’Epifania, i bambini lasciano le scarpe fuori dalla porta, in altre regioni appendono le calze al camino. In un caso o nell’altro, la Befana le riempie di caramelle, dolci o giocattoli. I bambini che si sono comportati bene durante l’anno riceveranno dei doni, mentre quelli che si sono comportati male riceveranno carbone. Per questo motivo, la Befana è considerata una figura che rappresenta la generosità e la speranza. In altre parole, è il simbolo della fine del periodo natalizio e dell’inizio di un fruttuoso nuovo anno.

Le immagini illustrano il libro della poetessa Katharine Lee Bates

L’aspetto della Befana è spesso descritto come quello di una donna anziana dal naso aquilino, dal viso rugoso e dalla testa coperta da un fazzoletto bianco. Questa descrizione è significativa perché rappresenta la saggezza e l’esperienza della Befana. Il naso aquilino può essere visto come un segno della sua perspicacia, mentre il viso rugoso può essere visto come un segno della sua lunga vita. Il fazzoletto bianco sulla testa può essere visto come un simbolo di purezza e innocenza.

L’abito nero e il grembiule della Befana sono anche significativi. L’abito nero può essere visto come un simbolo del mistero e del soprannaturale, mentre il grembiule può essere visto come un simbolo di domesticità e di cura.

La scopa della Befana è un oggetto importante nella sua storia. È la scopa che usa per volare da una casa all’altra, distribuendo doni ai bambini. La scopa è anche un simbolo di magia e di trasformazione.

Importanza della figura folklorica. La Befana è una figura che ha un significato profondo per molti italiani. È una figura che rappresenta la generosità, la speranza e la nuova vita.

La generosità della Befana è evidente nel fatto che distribuisce doni ai bambini, indipendentemente dal loro comportamento. Questo rappresenta l’idea che tutti i bambini meritano di essere felici e di ricevere dei doni. La speranza della Befana è rappresentata dal fatto che viaggia per il mondo alla ricerca di Gesù Bambino. Questo rappresenta l’idea che la speranza è sempre presente, anche nei momenti più bui. La nuova vita rappresentata dalla Befana è rappresentata dal fatto che la sua festa si celebra alla conclusione delle feste natalizie e all’inizio di un nuovo anno. Questo rappresenta l’idea che la vita è un ciclo di nascita, decadimento e rinascita.

Ma nella tradizione europea non esiste soltanto la Befana. Chi ha sentito parlare della mère Noël (o Madame Noël)? Troviamo la sua presenza nella seguente leggenda che racconta di quando i Magi avrebbero bussato alla porta di una donna per chiederle di portare doni a Gesù insieme a loro. Di tutta risposta lei avrebbe rifiutato. Pochi istanti dopo cambiò idea ma i tre Magi erano già partiti. Riempì allora una borsa di doni e si mise in cammino per raggiungerli, senza successo. Nel tragitto la storia narra che si imbatterà in vari bambini che tuttavia non potranno aiutarla e ai quali distribuirà i doni come ringraziamento. È questa signora che, da allora, torna ogni anno.

Nella cultura popolare sposò persino Babbo Natale, ma questo solo all’inizio del XIX secolo. È generalmente presentata come una donna anziana, robusta, gentile e paziente. La sua immagine oscilla tra la casalinga che prepara i biscotti e tra la nonna responsabile che salva il Natale e partecipa alla distribuzione dei regali.

L’America non è da meno dell’Europa. La moglie di Babbo Natale è menzionata per la prima volta nel racconto A Christmas Legend (1849), di James Rees, un missionario cristiano che viveva a Filadelfia. Nella storia, un vecchio e una donna, entrambi in viaggio con dei pacchi sulle spalle, vengono accolti in una casa la Vigilia di Natale. La mattina dopo, i bambini in casa trovano per loro una serie di regali. Si scopre che la coppia non è Babbo Natale e sua moglie, ma la figlia maggiore scomparsa da tempo del padrone di casa e suo marito.

Mamma Natale fu poi menzionata nelle pagine dello Yale Literary Magazine nel 1851. Il giovane autore, uno studente, raccontò l’apparizione di Babbo Natale a una festa di Natale e suggerì che sua moglie lo aiutasse nel suo lavoro. Storie come questa si susseguiranno in Europa e in America su libri e riviste. Ma fu la scrittrice Katharine Lee Bates a rendere popolare la figura di Mamma Natale, attraverso la sua poesia Goody Santa Claus on a Sleigh Ride (1889). Goody è l’abbreviazione di Goodwife, l’equivalente di “Miss” o “Mrs” oggi, che significa Signora. È un vecchio termine scozzese per “casalinga”. Il titolo della poesia può quindi essere tradotto come “Madame Babbo Natale su una slitta”.

Katharine Lee Bates, Goody Santa Claus on a Sleigh Ride (1889). Frontespizio interno

Nella poesia della scrittrice, Mamma Natale si lamenta del fatto che solo suo marito viene celebrato, mentre lei non riceve mai alcun riconoscimento nonostante il suo duro lavoro nel realizzare i regali. Lei rifiuta di considerarsi una casalinga e prega il marito di portarla con sé sulla sua slitta per distribuire i doni ai bambini. Babbo Natale accetta che lei lo accompagna, tuttavia è riluttante a lasciare che la moglie lasci i regali nelle case. Alla fine, accetta, e Mamma Natale scende da un camino per riparare le pantofole di un povero bambino e riempirlo di regali. Una volta portato a termine il compito, i due coniugi felici e contenti tornano a casa al Polo Nord. 


Emilio Del Giudice – Spesso le grandi scoperte sono frutto di incomprensioni

“La storia è piena delle puttanate dette da grandissimi scienziati”. Così simpaticamente affermava Emilio Del Giudice, per dire che spesso senza neppure saperlo si commettono azioni sleali o semplicemente sciocche. Dopotutto siamo esseri fallibili. A riprova, basti ascoltare questo aneddoto riferito a Guglielmo Marconi, studente di fisica a Bologna, rimproverato dal suo professore riguardo alle onde elettromagnetiche, grazie alle quali Marconi fu il primo a depositare il brevetto d’un sistema di telegrafia senza fili, che gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1909.

IMMAGINE DI APERTURAIl telegrafo (Fonte Wikipedia)

Alessandro Barbero: Peste ed epidemie nella Storia

Una completa ricostruzione storica della peste travalica la semplice storia della medicina. Ancora oggi parole come malattia, contagio e morte spaventano, nonostante nei paesi industrializzati sia stata debellata la maggior parte delle epidemie che in passato hanno colpito l’umanità. La paura e la sofferenza di intere popolazioni annientate da pandemie sono testimoniate fin dai più antichi scritti: se ne trova traccia nei testi geroglifici egiziani e in quelli cuneiformi della Mesopotamia. Violente epidemie funestarono l’antica Cina e imperversarono durante la guerra di Troia, così come fecero la peste nera nell’Europa del 1300 e il vaiolo nel XV secolo. E la storia insegna come le grandi pestilenze si siano presentate con un andamento ciclico a lunghi intervalli di tempo, fino ancora a non molti anni fa. La pratica delle vaccinazioni e l’attenzione per l’igiene pubblica segnano una tappa fondamentale nel XX secolo nella lotta dell’Occidente contro le epidemie. Se oggi appare inscindibile il legame tra epidemia e contagio, ci sono voluti molti secoli prima che medici e studiosi ne cogliessero la relazione. Il libro di William Hardy McNeill è il testo più completo a riguardo, l’opera principale che racchiude anni e anni di ricerca, attraverso l’analisi di dati e testimonianze, del più grande studioso in materia. (Tratto dalla scheda del libro di William H. Mcneill, La peste nella storia. L’impatto delle pestilenze e delle epidemie nella storia dell’umanità.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Alessandro Barbero – La spagnola, grande epidemia del 1918

L’influenza spagnola, altrimenti conosciuta come la grande influenza o epidemia spagnola, fu una pandemia influenzale, insolitamente mortale, che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo, la prima delle due pandemie che coinvolgono il virus dell’influenza H1N1. Essa arrivò ad infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, inclusi alcuni abitanti di remote isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico, provocando il decesso di 50-100 milioni su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi. La letalità le valse la definizione di più grave forma di pandemia della storia dell’umanità: ha infatti causato più vittime della terribile peste nera del XIV secolo.

IMMAGINE DI APERTURA – Infermiera che indossa una maschera come protezione contro l’influenza. 13 settembre 1918. “Sta riempiendo una brocca da un idrante antincendio con un rubinetto attaccato”.

Storie curiose: Alessandro Barbero – La vita sessuale nel Medioevo

La lezione integrale di Alessandro Barbero sulla vita sessuale nel Medioevo – Festival del Medioevo (Gubbio, 25-29 settembre 2019).

IMMAGINE DI APERTURA – Dettaglio di Amore e Psiche, il celebre gruppo scultoreo di Antonio Canova. (Fonte: Wikipedia)

Storie curiose: Alessandro Barbero – Come pensava un uomo del Medioevo: il cavaliere

Jean de Joinville era un cavaliere e un gran signore, vassallo e amico del re di Francia Luigi IX. Non aveva bisogno di nascondere quel che pensava, perché un uomo del suo lignaggio non aveva paura di nessuno. Quando partì per la crociata, ammise di non averne voglia, e per strada continuò a voltarsi verso il suo castello, dove lasciava la giovane moglie; l’onore imponeva di partire, e l’onore era la cosa più importante. Amava il suo re, ma l’idea che fosse un santo gli sembrava buffa. Quando i Saraceni li catturarono tutti, qualcuno suggerì di affrontare il martirio piuttosto che arrendersi; “ma noi non gli demmo mica retta”, commentò candidamente Joinville. Attraverso la sua Vita di San Luigi scopriamo un Medioevo cavalleresco molto più concreto e disincantato di quello che raccontano le canzoni di gesta.

www.festivaldellamente.it

IMMAGINE DI APERTURA – Jean de Joinville presenta la sua Vita di San Luigi a Luigi X, miniatura, 1330-1340. (Fonte: Wikipedia)

Storie curiose: Alessandro Barbero – Come pensava un uomo del Medioevo: il mercante

Dino Compagni era un mercante fiorentino. La città e la sua prosperità erano le uniche cose a cui teneva, e la gente andava divisa in due categorie: le brave persone, che si davano da fare per il bene comune, e i malvagi. Ammirava i gentiluomini capaci di rischiare la pelle in battaglia, ma ne temeva la violenza e trovava giusto che fossero esclusi dal governo della città. Quando parlava del papa o di un re, abbassava la voce, intimidito davanti a personaggi così grandi, e quasi non osava criticarli. Per sorteggio si trovò ad avere responsabilità politiche a Firenze in un momento cruciale, ne fu così sbalordito che si mise a scrivere, in italiano, perché in latino non avrebbe saputo farlo. La sua Cronica mostra la Firenze del tempo di Dante attraverso gli occhi di un uomo del popolo, di quelli a cui solo nei comuni italiani poteva capitare di essere chiamati al governo.

IMMAGINE DI APERTURA – Antonio Cuccinelli, Dino Compagni in San Giovanni predica la pace tra guelfi e ghibellini, tela ottocentesca a palazzo Compagni, Firenze – Particolare (Fonte: Wikipedia)

Storie curiose: Alessandro Barbero – Come pensava un uomo del Medioevo: il frate

Salimbene da Parma era un francescano che si vergognava di chiedere l’elemosina perché, essendo nato nobile, avrebbe dovuto andare a cavallo, divertirsi nei tornei e farsi apprezzare dalle belle donne. Da giovane aveva creduto ciecamente alle profezie sulla fine del mondo, ed era rimasto molto male scoprendo che non erano vere. Si commuoveva fino alle lacrime davanti all’umiltà del re di Francia San Luigi, ma non riusciva a non ammirare il geniale imperatore Federico II, scomunicato. Scriveva in un latino infarcito di citazioni bibliche, ma pensava in dialetto padano. Non aveva riguardi per nessuno, e gli scappavano affermazioni per niente politically correct, come quando definì gli italiani del Sud “homines caccarelli et merdacoli”. Attraverso la sua monumentale Cronaca scopriamo che un frate medievale poteva essere molto più divertente e spregiudicato di quel che ci aspetteremmo.

IMMAGINE DI APERTURA – Particolare della copertina del libro di Salimbene edito da Laterza nel 1942

Storie curiose: Alessandro Barbero – Monaci e Monasteri nel Medioevo

Lectio Magistralis del prof. Alessandro Barbero. Organizzato dall’Associazione Culturale “L’Albero Grande” il 13 maggio 2016 presso l’Abbazia S. Maria di Caramagna. Sono previste altre serate in autunno su storia ad architettura dell’Abbazia.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di ATDSPHOTO da Pixabay 

Storie curiose: Alessandro Barbero – A che ora si mangia?

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento le classi agiate europee hanno modificato l’orario dei pasti, spostando il pranzo da mezzogiorno a metà pomeriggio, in orari che a noi sembrano molto strani: all’epoca in cui scriveva i Promessi Sposi, per esempio, Manzoni pranzava alle 17. “Pranzar tardi” divenne uno status-symbol, col risultato che l’orario del pranzo si è spostato sempre più avanti, fino a raggiungere le 20 o le 21. Le conseguenze linguistiche si avvertono ancora oggi, come la nascita del breakfast inglese, per “rompere il digiuno” troppo prolungato in attesa del pranzo; oppure, in Italia, lo snobismo di chiamare, in certi ambienti, “colazione” quello che per la stragrande maggioranza degli italiani è tuttora il “pranzo” di mezzogiorno. (Cucina d’epoca 2019 domenica 22 settembre – Genova, Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio).

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di photosforyou da Pixabay