Il tempo. Come guadagnarlo piuttosto che sprecarlo – 3/3

di Sergio Bertolami

Per dare una soluzione concreta all’agire dovremmo, dunque, comprendere la vera natura delle nostre attività. Se siamo capaci di affrontare una grande quantità di impegni possiamo definirci efficienti; ma quante volte riusciamo a completarli nei tempi giusti, così da definirci anche efficaci? La maggior parte di persone, in verità, tranquillizza la propria coscienza facendo solo un mucchio di cose, poco importa se siano produttive o meno. Sicuramente saranno importanti oppure urgenti, perché questi sono i due fattori principali che definiscono le attività. Ma solo l’urgenza è direttamente connessa al tempo, poiché l’importanza è sempre soggettiva: è legata cioè ad una attribuzione di valore. Il valore, scrive Franco Archibugi, «non è una proprietà fissa e inerente delle cose. È piuttosto una proprietà variabile la cui grandezza non dipende dalla natura della cosa in sé, ma da chi la valuta e dalle circostanze in cui è valutata». In altre parole sta ad ogni persona distinguere tra l’essenziale e il superfluo, così da definire le priorità. A questo proposito vale ricordare il principio di Pareto, che qualcuno conoscerà come “Legge 80/20”. Vilfredo Pareto afferma che «la maggior parte degli effetti è dovuta ad un numero ristretto di cause». L’80% degli effetti, vale a dire, è determinato solo dal 20% delle cause. È un principio essenzialmente economico, ma è stato riformulato ed applicato a diverse situazioni. Nel nostro caso possiamo asserire che se il 20% della risorsa tempo genera l’80% del valore, escludendo le ore di sonno, solo per poco più di tre ore al giorno siamo davvero efficienti ed efficaci.

Tale esiguo valore dipende proprio dal modo in cui affrontiamo le attività. Quelle imposte dal sistema in cui agiamo e dagli imprevisti che dovremmo essere capaci di affrontare. Quelle, ben più importanti, inerenti alle scelte cui dare una risposta giusta e adeguata. Per aiutarci a gestire tutto ciò, potremmo richiamarci alla matrice di Dwight Eisenhower, che rappresenta il modo usuale d’impiegare il tempo. Ideata proprio da Ike, il presidente americano, che affermava risoluto: «Ciò che è importante raramente è urgente». La sua analisi si riferisce proprio all’urgenza e all’importanza delle attività. Collocando le urgenze sulle ascisse di una matrice righe per colonne e le rilevanze sulle ordinate, ne scaturiscono quattro criteri guida. Cose importanti e urgenti; cose importanti ma non urgenti; cose non importanti ma ritenute urgenti; cose per nulla importanti e niente affatto urgenti. Queste ultime, va da sé, sono da eliminare, poiché, pur rappresentando un’alta tentazione, producono perdita di tempo che si ripercuote su efficienza ed efficacia. Le urgenti-non-importanti generano solo “rumore”, per cui vanno gestite attribuendo loro il tempo giusto nel momento giusto. Sono materia da negoziare.

Le prime e le seconde attività costituiscono, dunque, quell’ottanta per cento del nostro tempo che non genera valore, ma che brucia quanto di meglio si ha nella vita. A ciò che invece conta davvero dedichiamo solo il venti per cento del tempo. Con un aggravante, determinato dall’urgenza piuttosto che dall’importanza. Per cui siamo immediatamente presi dalle cose urgenti ed importanti, e subito dopo dalle cose urgenti ma non importanti. Terzo interesse è toglierci di torno tutto ciò che in qualche modo crea fastidio. Solo in ultimo dedichiamo attenzione alle cose importanti della vita, le quali, come osserva Ike, non sono affatto urgenti. Queste attività che siamo portati a trascurare rappresentano tutto ciò che dovrebbe essere pianificato nei tempi lunghi. Ma proprio per questo rimandiamo continuamente ogni programma, poiché l’immediato è sempre più assillante. In realtà fare progetti non è avere la testa fra le nuvole, come la maggior parte di persone pensa, ma sapere quale direzione scegliere per costruire il futuro. Perché, senza ricorrere alla chiaroveggenza, questo è l’unico modo per prevederlo. Chi progetta e costruisce sa bene quanto la programmazione sia alla base delle soluzioni corrette. Persino Dio, architetto dell’universo, creò il mondo e tutto ciò che seguì «nel tempo che aveva fissato». Così è scritto nella Genesi. Come, più che scritto, è sottinteso che non solo il lavoro dovrà occupare tutto il nostro tempo. «Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto».

Il tempo. Come guadagnarlo piuttosto che sprecarlo – 2/3

di Sergio Bertolami

Dovremmo utilizzare il tempo come una vera risorsa; ma a differenza di altre, il tempo è la risorsa che sappiamo meno gestire. Proverò a chiarirlo, ricorrendo ad una serie di insegnamenti che teorici contemporanei hanno elaborato. Non sono risolutivi, soprattutto se non siamo inclini a condividerne i principi di fondo, per poi applicarli ai contesti più vari e articolati.

Una risorsa, nei momenti di necessità, fornisce un aiuto. Il tempo è indubbiamente una risorsa “preziosa”, ne abbiamo coscienza quando ci manca. È anche una risorsa “diffusa e democratica”: per tutti, ricchi o poveri, una giornata vale sempre 24 ore del nostro tempo. Per questo motivo è anche una risorsa “necessaria”, lo è sempre, qualunque cosa si faccia. Ma occorre fare attenzione: il tempo va usufruito subito, non possiamo immagazzinarlo, perché è una risorsa “deperibile”; risparmialo oggi non significa poterlo accumulare per adoperarlo domani. Ed è “infungibile”, perché non è una risorsa intercambiabile con altre risorse: può essere sostituito solo da altro tempo. Possiamo utilizzare tecnologie per risparmiare tempo o ricorrere al tempo degli altri per farci aiutare; ma non possiamo acquisire esperienze e saperi se non impegnando il nostro tempo personale in modo diretto. Allora, ci accorgiamo che il tempo è anche una risorsa “limitata”, non basta mai.

Tuttavia, per quanto il tempo sia ristretto, riusciamo a consumarlo senza accorgerci. La legge di Parkinson postula che «il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo a disposizione per completarlo… più tempo a disposizione si avrà, più se ne sprecherà». Un esempio? Un vecchio proverbio diceva: «L’uomo più occupato è quello che ha tempo da perdere». Da questo è possibile comprendere come la gestione del tempo quotidiano sia anzitutto una questione di cultura più che di tecnica. Un’agenda elettronica che notifica un appuntamento va programmata: ciò significa prendere coscienza di come si è deciso d’impiegare il tempo. Quando, poi, l’avviso compare sul monitor, spesso ci rendiamo conto di essere “fuori tempo” e dovere rinviare l’impegno. Ecco allora che siamo portati a giustificare di essere sommersi da mille cose, magari insorte in modo inaspettato, magari da adempiere per una parola data, magari sapendo che sono cose perfettamente inutili ma non abbiamo saputo rispondere di no.

Il tempo. Come guadagnarlo piuttosto che sprecarlo – 1/3

Kairòs, copia ispirata al bronzo di Lisippo
e conservata nel Museo di Antichità di Torino

di Sergio Bertolami

In queste poche righe proverò a parlare del tempo, non certo per dare una risposta ad un tema filosofico universale, quanto piuttosto per riflettere su come più opportunamente potremmo impiegarlo nel quotidiano. Per questo comincerei con la fatidica domanda: «Che cos’è il tempo?». Nelle Confessioni, Agostino d’Ippona così risponde «Quando nessuno me lo chiede, lo so, ma, se qualcuno me lo chiede e voglio spiegarglielo, non lo so più». Agostino concentra le sue considerazioni proprio sul vivere una realtà di per se dinamica, perché, dice, «tre sono i tempi, il presente del passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche modo nell’animo, né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l’attesa». Il tempo è, dunque, un’estensione del tutto umana; concepibile solo all’interno della volontà creatrice di Dio, che a differenza nostra non ha né un “prima” né un “dopo”, ma è eterno. Mentre il tempo che ha principio e fine è una sua creatura ma sta a noi gestirlo. A noi che è dato da vivere, dall’alfa all’omega.

In questi passaggi di riflessione è racchiusa una concezione del tempo che la classicità grecoromana aveva già esplorato, legandola oltretutto alla divinità, come indica Agostino. Per meglio dire, a una poliedricità del divino. Per i greci, Aion rappresenta il tempo infinito dell’eternità; Kronos il tempo sequenziale del passato/presente/futuro. I romani doppiano i greci con Eone e Saturno. Ciò che dell’antichità meraviglia è la profondità che non riusciamo più a percepire, indotti a intendere i protagonisti della mitologia come figurine distanti da noi e spesso risibili. Sono in realtà allegorie, attraverso cui rendere tangibili concetti spesso oscuri. Concetti che al contrario andrebbero approfonditi e spiegati. Se ci riferiamo, per esempio, a un famoso epigramma di Posidippo, ci accorgeremmo che un terzo dio soprassedeva il tempo, oltre ad Aion e Kronos. Lo rappresenta Lisippo nel IV secolo in un bassorilievo in bronzo [nell’immagine una copia in marmo]. Si tratta di Kairòs, divinizzazione  di un concetto centrale nel pensiero greco: il tempo  opportuno e conveniente, il momento propizio. La personificazione romana è declinata al femminile: Occasio, e la divinità antitetica si chiama Pœnitentia, poiché persa la buona occasione, l’opportunità favorevole, non rimane che subirne la conseguente penitenza.

Kairòs ed Occasio sono ambedue numi difficili da riconoscere. Hanno piedi alati, il volto coperto da un folto ciuffo sulla fronte e il capo così raso da rendere impossibile afferrarli dal retro per i capelli una volta sfuggiti. L’immagine allegorica dimostra che, perso il momento propizio, non potremo che rammaricarci. È possibile, però, rimediare, sapendone trarre un’esperienza e capacitarci che le opportunità vanno colte immediatamente. Per farlo occorre riflettere che, se nel passato il tempo era considerato influente in quanto scandito dai ritmi naturali (la notte e il giorno, l’estate e l’inverno, la semina e il raccolto), nel vivere odierno è divenuto imprescindibile.