Per lungo tempo i monasteri hanno conservato, non soltanto manoscritti, ma anche le antiche tecniche agrarie. Tecniche sviluppate applicandole alla produzione di medicamenti e farmaci, alla fertilità dei suoli, al miglioramento degli alimenti che costruirono le fondamenta delle cosiddette “cucine locali”.
La Regola di San Benedetto prevedeva un pasto al giorno, ma nella pratica un’applicazione più elastica rimetteva al giudizio dell’abate aggiungere qualche cosa, se lo avesse ritenuto opportuno. Dopo tutto, occorreva nutrire il corpo nel modo più adeguato a meglio servire il Signore Dio Nostro. Non solo i momenti di digiuno e i giorni di magro scandivano la vita dei monasteri. Nel corso delle feste alimenti e bevande aumentavano in quantità e in ricercatezza culinaria. D’altra parte, abati e badesse, monaci e suore, erano spesse volte figli della nobiltà locale, che non per caso, anziché un palazzo, abitavano un convento. Certo, vi erano pure i figli dei mezzadri, ma loro attendevano, zappa in mano, alla cura dei campi, oppure delle stalle e nel caso migliore delle cantine.
Anche le cucine erano affidate a loro fraticelli o monachelle che conoscevano l’arte di rielaborare gustosi piatti, tramandati oralmente o scovati dai colti amanuensi nei vecchi codici manoscritti. Ecco, dunque, che appunti e ricette sono giunti a noi. Col tempo, le pietanze salutari, si arricchirono di sapori grazie all’uso delle spezie e di invenzioni per la lunga conservazione. Nel libro che vi proponiamo si troveranno numerose preparazioni per soddisfare ogni curiosità.
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