Credete che sarà felice quest’anno nuovo?

 

A fine d’anno si pensa che la vita cambierà da domani. Eccovi dunque la trascrizione del famoso dialogo tra un venditore di almanacchi e un passante, scritto da Giacomo Leopardi. Di seguito il cortometraggio girato da Ermanno Olmi nel 1954. Davvero l’anno venturo sarà più bello di tutti i precedenti? Forse Leopardi fornisce la giusta e disincantata visione della realtà.

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IL PDF DEL TESTO LEOPARDIANO: Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere
da Operette morali di Giacomo Leopardi

La cucina monacale di Fratel Victor-Antoine

 

Per lungo tempo i monasteri hanno conservato, non soltanto manoscritti, ma anche le antiche tecniche agrarie. Tecniche sviluppate applicandole alla produzione di medicamenti e farmaci, alla fertilità dei suoli, al miglioramento degli alimenti che costruirono le fondamenta delle cosiddette “cucine locali”.

La Regola di San Benedetto prevedeva un pasto al giorno, ma nella pratica un’applicazione più elastica rimetteva al giudizio dell’abate aggiungere qualche cosa, se lo avesse ritenuto opportuno. Dopo tutto, occorreva nutrire il corpo nel modo più adeguato a meglio servire il Signore Dio Nostro. Non solo i momenti di digiuno e i giorni di magro scandivano la vita dei monasteri. Nel corso delle feste alimenti e bevande aumentavano in quantità e in ricercatezza culinaria. D’altra parte, abati e badesse, monaci e suore, erano spesse volte figli della nobiltà locale, che non per caso, anziché un palazzo, abitavano un convento. Certo, vi erano pure i figli dei mezzadri, ma loro attendevano, zappa in mano, alla cura dei campi, oppure delle stalle e nel caso migliore delle cantine.

Anche le cucine erano affidate a loro fraticelli o monachelle che conoscevano l’arte di rielaborare gustosi piatti, tramandati oralmente o scovati dai colti amanuensi nei vecchi codici manoscritti. Ecco, dunque, che appunti e ricette sono giunti a noi. Col tempo, le pietanze salutari, si arricchirono di sapori grazie all’uso delle spezie e di invenzioni per la lunga conservazione. Nel libro che vi proponiamo si troveranno numerose preparazioni per soddisfare ogni curiosità.

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A cinquant’anni anni dal Sessantotto

 

Il 1968 è ricordato come l’anno dell’assassinio di Martin Luther King e come l’anno caratterizzato dal “Maggio francese”, nato come spontanea opposizione sociale, politica, filosofica, tramutatasi in rivolta contro la società benpensante, contro le ideologie capitaliste e imperialiste e, in Francia, contro il potere gollista al tempo dominante. In questo fatidico anno presero avvio e dilagarono per l’Europa una serie di rivoluzioni (piccole e grandi) che hanno modificato i valori della società, ma anche aperto una serie di contraddizioni di cui ancora oggi risentiamo le conseguenze. “È solo un inizio. 1968” con questo titolo Ester Coen ha realizzato, per la Galleria Nazionale d’Arte moderna e contemporanea di Roma, una mostra che raccoglie 60 opere di celebri artisti e ricostruisce il mosaico di idee alla base della nuova interpretazione della modernità e dell’avanguardia. L’articolo apparso sul numero di novembre 2017 di “Arte”, restituisce il clima di questo momento particolare, a dimostrazione «che non esiste una rottura unica ma una trasformazione di linguaggi» come afferma la curatrice stessa. Per questo proponiamo di leggerlo con riguardo, prendendo in considerazione le diverse emozioni-riflessioni che, in presenza, le opere riescono a provocare.

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Città d’eccellenza: Torre Annunziata e Gragnano

 

Il momento di passaggio tra bottega ed industria, registra un ingrandimento produttivo dei pastifici. Si passa dalle piccole società di vermicellari con i mugnai, che ne rendono possibile l’attività, a mugnai che da soli svolgono tutte le varie attività della lavorazione, conquistando la gran parte del mercato. Capita così anche a Napoli. Sebbene la transizione risulti infausta per i vermicellari locali, si viene a potenziare in questo modo la produzione, che porterà alle industrie vere e proprie del futuro. Torre Annunziata e Gragnano, in primis. In queste zone, infatti, esistevano mulini sin dal medioevo, posti lungo il corso dei torrenti, ai piedi del versante nord-occidentale dei Monti Lattari. Con lo sfruttamento di tale sistema idraulico, breve sarà il passo dai mulini ad acqua ai pastifici. Così come breve sarà anche il passo che porterà alcuni nobili a trasformarsi in imprenditori. A Gragnano, troviamo, tra il XVII e il XVIII secolo, la famiglia Quiroga-De Antonio, che possedendo terre e canali, darà vita a circa 25 mulini, tra Gragnano e il lido di Stabia.

Ugualmente, Muzio Tuttavilla, conte di Sarno, proprietario di Torre Annunziata, crea un ampio canale, in seguito denominato il “canale del conte”. Oltre questo, il conte fa costruire diversi mulini idraulici e diventa fornitore di farina e semola per l’Annona di Napoli. Con la realizzazione di un altro canale (il bottaro), lungo il corso del fiume Sarno, verranno costruiti altri mulini, sempre con funzionamento ad acqua. La zona di Torre Annunziata, rifornita di granaglie e farine, supporta perciò la lavorazione della pasta del paese, con la consequenziale crescita del numero di pastai, tanto da originare un ordine autonomo dei pastai della zona, concorrenziale agli altri pastifici delle aree limitrofe. Fra tali aree la stessa Gragnano, che in quel periodo contava solo due pastifici, si svilupperà più lentamente. Tutto sommato, però, tale lentezza permetterà una migliore qualità del prodotto. Anche i vermicellari di Napoli tentarono di boicottare i rivali di Torre Annunziata, con tutti gli espedienti possibili. Nonostante ciò, il paese si imporrà ugualmente. Lo conferma un viaggiatore francese, di passaggio nella città partenopea e nel XIX secolo, Lorenzo Giustiniani, che loda Torre Annunziata per la ricchezza dovuta proprio al successo dei pastai del piccolo paese vesuviano.

La battaglia economica tra Torre Annunziata e Gragnano durerà a lungo. Nel 1859 la presenza produttiva di Gragnano aumenterà notevolmente, riuscendo a contare ben 81 opifici e producendo, già alla data, una pasta considerata da tutti di altissima qualità.

 

Natale dove tutto è possibile

 

Le riviste in edicola realizzano gli speciali sulle Feste. DOVE, rivista dedicata al turismo, nel numero di dicembre propone nuove mete: dal Trentino a Napoli, dalla Londra alternativa a Mosca… tante idee per chiudere il 2017 oppure per ricominciare l’anno nuovo in bellezza. Walter Bonatti, alpinista di grande fama e bravura, diceva: «Chi più in alto sale, più lontano vede; chi più lontano vede, più a lungo sogna». Lui conquistava montagne, noi possiamo provarci. Ma chi lo preferisce può perdersi fra i mercatini di moda vintage a Londra; oppure andare a visitare il Louvre, non quello di Parigi, ma quello di Abu Dhabi, progettato da Jean Nouvelle. È una struttura che aiuta il dialogo fra la cultura occidentale e quella araba. Il brindisi di mezzanotte si può fare anche a Mosca, dove quest’anno si chiudono le celebrazioni della Rivoluzione d’ottobre e il prossimo si aprirà il Mondiale 2018 per gli appassionati di calcio. Però, è anche possibile rimanere a casa nostra, a sentire i botti di fine d’anno. Come i giochi pirotecnici della tradizione partenopea. L’atmosfera natalizia a Napoli è infatti sfavillante, come sono sfavillanti, vetrine-piazze-musei. Se volete “i Jochi di focu” potere seguirli nelle notti di Sicilia, mentre di giorno potere attardarvi fra bancarelle, botteghe e trattorie per scoprire i mille risvolti del presente o del passato.

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Scoperte archeologiche in cerca di Gesù

 

Gesù di Nazareth crebbe nell’omonimo villaggio agricolo nel sud della Galilea. Questa è storia e il suo contesto è rappresentato dagli eventi che interessano l’Impero Romano, conquistatore della Palestina già sessant’anni prima della nascita di Cristo. Chi era costui? Un un agitatore ebreo che denunciava l’usurpatore, benedicendo poveri ed emarginati? Oppure il profeta che gli ebrei attendevano e che mai pensò a dare vita alla religione cristiana, che noi professiamo? In questo numero di National Geographic (dicembre 2017) si ricostruiscono i luoghi in cui visse e operò il Cristo: per i credenti figlio di Dio, per gli scettici una leggenda. Eppure, in Terra Santa ci sono le prove del suo passaggio.

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Il menu vegano per il pranzo di Natale 

 

“Natale vegano 2017” è un menu realizzato espressamente per i golosi che seguono uno stile di vita basato realmente su risorse alimentari non provenienti dal mondo animale. Il testo in formato iBook è distribuito gratuitamente per diffondere questa particolare cultura. Non teorizzazioni ideologiche, ma vere e proprie ricette. Dall’iBook e possibile raggiungere il sito dei vegani golosi, che si naviga in rete così da conoscere tante altre squisitezze. In questo libro che presentiamo scopriamo un pranzo da gustare per le feste. La redazione assicura che chi ben comincia è a metà dell’opera, ma l’antipasto, il primo, il secondo e il dolce, si concluderanno sicuramente con un corale Wow, perché vi possiamo assicurare la fantasia davvero non manca. Il libro è accompagnato da video dove è possibile seguire la preparazione delle ricette da gustare, sughi ghiotti, consigli preziosi, link alle pagine speciali di Natale sul web: una moltitudine di sollecitazioni che potranno guidare verso una nuova esperienza e, magari, decidere di condividere una filosofia di vita.

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A Natale riscopriamo i “Gusti di Sicilia”

 

“Gusti di Sicilia” è una rivista che si occupa di mettere in luce quelle che sono le memorie gastronomiche della bellissima isola. Noi di Experiences ripeschiamo dalla collezione in rete il numero del Natale di due anni fa, che presenta una serie di piatti derivati dalla tradizione delle feste. Piatti che suscitano emozioni, legati non solo al sapore, ma anche a tutto ciò che il gusto riesce a richiamare alla memoria. I sapori fondamentali dei cibi sono quattro: il dolce, l’amaro, l’acido e il salato. Dalla loro combinazione nascono un’infinità di variazioni, che si sono protratte nel tempo: un lungo cammino storico, che merita non solo di essere divulgato, ma soprattutto (attraverso appropriate preparazioni) gustato. In altri termini, anche questo è un modo di “gustare” la Storia.

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L’età d’oro per la manifattura della pasta

 

Il punto critico
Nel XVII secolo, il Consolato dell’Arte dei Pastai, con i suoi iscritti, gioca un ruolo di grande importanza a Napoli. I pastai locali, ma anche quelli provenienti da altre provincie, tendono ad associarsi tra di loro, o con i mugnai (che spesso sono i finanziatori) o con i panettieri. Appaiono pure le prime figure imprenditoriali. La bottega, di solito, non è di proprietà del pastaio, ma possiede le qualità di una prima piccola industria, con attrezzature (gramola a stanga e torchio), materie prime in grande quantità (farine e semole), operai e garzoni (anche se pochi) che vi lavorano. La produzione è elevata come la richiesta, tanto che, ai formati classici si aggiungono altri tipi, come, ad esempio, la pastina (i “millefanti”). Anche se la clientela è ancora locale, appaiono, però, le prime grandi forniture. Il pastaio Salvatore di Avossa, nel 1636, stipula un contratto con la Casa dell’Annunziata di Napoli, per una grossa quantità di pasta bianca.
Dopo un momento di crisi economica e di approvvigionamento, nel 1647, con la rivolta di Masaniello, il prezzo della pasta a Napoli, si riporterà ad un livello adeguato, tanto che il suo consumo la inserirà nella categoria degli alimenti popolari. La diffusione crescente, che prima era cittadina, oltrepassa i limiti di città come Napoli o Genova. In pratica, l’artigianato della pasta si evolve a livello industriale.

A differenza di quello che si potrebbe pensare, la meccanizzazione giova alla qualità. La “pasta d’ingegno”, realizzata con la gramola meccanica e con il torchio a trafila, supera la cosiddetta “pasta da ferro”, cioè, quella fatta a mano. I formati sono perfetti e uguali, ma, soprattutto, in maggiore quantità e in minor tempo. La “pasta d’ingegno” sviluppa la mente. Effettivamente, la trafila permette di inventare e produrre formati impossibili da realizzare a mano. Ma il vero segreto del suo successo, sta nell’utilizzo della semola di grano duro (non più farina) per le paste di qualità.
Nel XVII secolo, si afferma, così, la realtà manifatturiera in città come Napoli. Lo attestano i numerosi viaggiatori stranieri che visitano l’Italia nei secoli successivi. I vermicellari di Napoli e i fidelari liguri primeggiano, creando un successo mitico. Nasce, dall’eccellenza dei loro pastai, la reputazione dei napoletani “mangiamaccheroni”. Si crea un’immagine “tipica”: da una parte, il pastaio con la sua bottega, che realizza i maccheroni e li cucina e, dall’altra, il napoletano che mangia vorace la pasta direttamente con le mani. È una tradizione folkloristica, che i napoletani stessi diffondono, furbescamente per incuriosire i turisti.
La produzione della pasta si allarga a macchia d’olio. Nei piccoli comuni costieri liguri e del napoletano si diffonde la lavorazione della pasta. A Napoli, cittadine intere, come Torre Annunziata e Gragnano, si specializzano, tanto che il loro nome diventa icona e sinonimo dell’ottima fattura della pasta. Ma se la lavorazione interessa città come Napoli, Genova, o le regioni storiche, un po’ in tutta la penisola si diffonde invece il suo consumo. Vengono aperti pastifici anche in Italia settentrionale, dove ancora il successo è un’innovazione tutta da “gustare”.
Siamo nel periodo degli opifici, un periodo che durerà quasi due secoli. Non più botteghe, pur se non ancora vere e proprie industrie. Un tipico modello proto-industriale. All’interno della lavorazione esistono ancora sia la confezione meccanica che quella fatta a mano. Le macchine vengono azionate a forza di braccia dagli uomini (non esistono motori) mentre il confezionamento manuale tocca alle donne. Ma anche i compiti accessori e quelli ingrati, sono loro compito, compresa la pulizia dei locali. È comunque una collaborazione tra i due sessi, in un periodo che non riconosceva l’importanza femminile nel mondo del lavoro.

 

Museo di Messina: l’identità ritrovata

 

Il numero di dicembre di “Bell’Italia” propone un servizio sul MuMe, ovvero il Museo di Messina che dopo oltre un trentennio è stato finalmente aperto ai visitatori, quelli locali (desiderosi di soddisfare una importante esigenza di identità) e soprattutto dei turisti, i quali sbarcano numerosi dalle navi da crociera. La storia del museo inizia nell’Ottocento con le collezioni conservate nel Museo Civico ed è ripresa nel 1914, dopo il disastroso terremoto che ha annientato la grandissima parte della città. Le opere d’arte e i resti delle architetture distrutte dal sisma (come statue e mosaici) hanno trovato provvisoria collocazione nell’ex Filanda Barbera-Mellinghoff, sede storica del Museo Regionale di Messina dall’indomani del terremoto del 1908. Oggi si possono ammirare nella nuova sede museale. Tale sede iniziata nel 1985 è stata definitivamente completata ed aperta a giugno del 2017. Due i livelli espositivi, che si interfacciano con l’esterno, perché i resti di maggiori dimensioni si possono guardare nel giardino che affaccia sullo Stretto. Una bellissima passeggiata nel tempo in cui ci si può soffermare sulle opere di Antonello da Messina, così come ci si può intrattenere col Nettuno di Giovanni Angelo Montorsoli o con Caravaggio che, fuggitivo da Malta, sostò in città nel 1609 per dipingere due dei suoi capolavori. Ora, finalmente, Messina ha una carta in più per far considerare al pubblico la sua storia gloriosa.

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