La cucina italiana e la sua tavola in festa

 

“La Cucina Italiana” è una storica rivista nata a Milano il 15 dicembre 1929, con lo scopo di valorizzare e divulgare la tradizione culinaria nazionale. Dal 2014 è editata dall’americana Condè Nast. Pubblica in media 1000 ricette nuove all’anno. Duo punto di forza è che autentici chef sperimentano, preparano e testano, con il contributo della redazione, aspetto e gusto dei nuovi piatti. Tutto ciò naturalmente nel rispetto della tradizione, ma anche considerando ed esaltando i prodotti del territorio, nonché la stagionalità. Sotto Natale la rivista presenta ogni anno una serie di ghiottonerie, belle da vedersi e soprattutto da gustarsi. Sicuro sarà il successo, attribuito dai commensali a coloro che fra i fornelli saranno capaci di mettere in pratica le ricette suggerite. Noi vi proponiamo il numero del Natale passato, per arricchire la tavola del Natale presente unitamente alle proposte che i lettori troveranno nel nuovo numero natalizio in edicola. Come scriveva l’antropologo Piero Camporesi – il quale, con un sapiente connubio fra scrittura erudita e documenti, ha dedicato molti dei suoi libri universitari alla cucina tradizionale – l’augurio migliore è che si possa ancora trovare “nelle vivande… l’alfabeto minuto e sotterraneo affidato ai sensi (il gusto l’olfatto) che conducono, nel profondo, all’anima odorosa delle cose”.

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Venti città che possedevano il senso d’appartenenza

 

“Il filo rosso che accomuna le protocittà alle moderne metropoli è l’aver costituito un mondo a sé, nel quale uomini e donne si sono identificati in valori comuni che hanno generato un senso di appartenenza a una cultura condivisa”. Così scrive Paola Panigas, redattrice di Focus-Storia nel proporre il numero da collezione, dedicato a venti città che hanno fatto la Storia. Nei secoli, queste città hanno saputo superare momenti tragici per poi risollevarsi.

Il numero sia apre con un’intervista allo storico Franco Cardini, medievista esperto di rapporti tra l’Europa cristiana e l’Islam. Segue una serie di servizi accattivanti: da Babilonia, con la sua Torre di Babele, alla Atene di Pericle, dal Faro di civiltà di Alessandria d’Egitto a Roma, metropoli multietnica fin dall’ora, per arrivare alla Londra vittoriana, alla Parigi di Haussmann, alla Vienna della secessione delle arti, per superare infine l’Oceano e approdare alla terra promessa americana, con i suoi grattacieli di Chicago. Venti città capitali di culture differenti, che hanno saputo richiamare e concentrare uomini giusti nel posto giusto, uomini capaci di esprimere per intero la loro genialità.

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Resilienza: unitarietà di procedure d’intervento

 

Il testo “Resilienza e territorio”, che qui presentiamo, è la raccolta degli atti di un convegno svoltosi ad aprile del 2016 all’Università degli Studi di Firenze. Negli ultimi decenni la comunità scientifica internazionale ha fornito molti contributi sull’argomento della resilienza, ovvero la capacità di reagire di fronte a forti traumi, ad inaspettate difficoltà. Ciò ha permesso di migliorare le fasi di messa a punto dei differenti approcci analitici, dando luogo ad un maggiore coordinamento fra gli specialisti, perfezionando così il livello di professionalità e il quadro normativo internazionale. Le esperienze fatte sul campo sono state, quindi, il fattore principale per un lungo ed attento percorso di formazione. Si avverte ora la necessità una interdisciplinarità fra i saperi, come presupposto allo sviluppo della resilienza di sistemi complessi. Occorre individuare una unitarietà di procedure d’intervento, all’interno delle quali le diverse esperienze possano essere collocate. E questo non solo per scopi divulgativi o istruttivi, di mero carattere universitario.

La città di Firenze costituisce un esempio ottimale per l’applicazione di analisi sulla resilienza poiché il suo patrimonio d’arte ho superato le minacce portate dall’alluvione del 1966. Ancora oggi la città conserva fortunatamente le proprie memorie storiche di primaria importanza per la cultura del mondo. Il workshop, di cui il testo che presentiamo è il documento riassuntivo, ha preso spunto proprio dall’alluvione di cui, nel 2016, ricorreva il cinquantenario. In realtà nel 1966 il concetto di resilienza non aveva ancora fatto la sua apparizione nel panorama scientifico. Pur tuttavia, la capacità reattiva della popolazione nel salvare tanti tesori storici ed artistici dalla furia dell’Arno ha dimostrato come si possa agire nel migliore dei modi per salvaguardare il territorio. Oggi quelle azioni e la consapevolezza dell’operare può fornire valide indicazioni sulle quali riflettere.

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Il ritratto del pastaio moderno

 

Ma chi era il pastaio? Non vi è un profilo unico, date le differenze tra città, regolamenti e leggi, senza contare il tipo diverso di specialità e formati prodotti dal singolo imprenditore. Persino nella stessa corporazione troviamo delle differenze. Tratte dai documenti, vi sono diverse storie di pastai. Tanto per cominciare, si rilevano differenze societarie e tipologie di accordo.


Siamo nel 1620, il pastaio Domenico Russo si mette in società col mugnaio Stefano de Agnino, abitanti ambedue ad Avellino. Il primo mette in comune le sue capacità di confezionare la pasta, mentre il secondo fornisce 100 tomoli di grano, unitamente ai capitali necessari a stipendiare alcuni operai e apprendisti, oltre le eventuali altre spese. Si fa, naturalmente, affidamento sulle vendite, per rientrare nei costi ed ottenere il guadagno da dividersi in parti uguali.
Nel 1636, troviamo, invece, la figura nota dell’imprenditore, Felice Vigilante, che investe sull’attività del pastaio, per aumentare il suo capitale. Finanzia la spesa dell’affitto dei locali, posti in piazza Mercato a Napoli, l’acquisto della strumentazione e quello delle materie prime, mentre, un suo parente, Aniello Vigilante, si occupa del restante: cioè la gestione del negozio e della produzione della pasta. Anche qui il guadagno sarà spartito al cinquanta per cento. L’imprenditore, Felice Vigilante, aprirà in seguito un’altra bottega di pasta a Napoli, con la stessa procedura.
Altri tipi di società caratterizzano l’attività, come l’associazione societaria tra mugnai, panettieri e vermicellari. Società a volte non permesse dagli statuti della corporazione a cui si era iscritti.
Ad esempio, a Napoli, due vermicellari e un mugnaio si accordano per la fabbricazione della pasta. Il mugnaio, però, si riserva una parte dei locali per la produzione e la vendita del pane. Questa commistione, in realtà, era malvista dall’ordine dei Panettieri e, se venne tollerata, fu solo per l’autorità raggiunta in città dall’Arte dei Vermicellari.

 

Il museo dell’Acropoli ad Atene

 

Il museo dell’Acropoli ad Atene è stato realizzato dall’architetto svizzero Bernard Tschumi ed inaugurato a giugno del 2009. Raccoglie esclusivamente i reperti archeologici, come sculture e frammenti di decorazione architettonica, rinvenuti sulla rocca dell’Acropoli. Il primo nucleo museale aveva luogo sulla stessa Acropoli già dal 1863; l’attuale costruzione si trova, invece, ai suoi piedi, lungo l’asse viario Dionysiou Areopagitou, che collega fra loro le varie zone del parco archeologico di Atene. Nel museo è possibile ammirare l’evoluzione dell’arte greca dal periodo arcaico alla dominazione romana; sono altresì raccolte tutte le parti originali del fregio del Partenone e le copie attualmente esposte al British Museum di Londra. In questa pagina presentiamo la breve introduzione in lingua italiana al museo e un documentario curato da Paolo Moreno.

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In Sicilia, dialoghi possibili tra arte e moda

 

Il saggio è la tesi di laurea di Valentina Smiriglia (AA 2012-2013) e si intitola “CONTEMPORANEO SICILIANO. Dialoghi possibili tra arte e moda nel solco di Carla Accardi”. A chi sa poco o nulla di arte contemporanea può interessare, in quanto costituisce una panoramica sullo stato di fatto. Ad esempio, quali sono le istituzioni museali presenti sul territorio siciliano, le quali si interessano delle più recenti produzioni artistiche? E quali sono gli artisti? Attraverso tratti sintetici, l’autrice traccia una rassegna critica della contemporaneità. Particolare attenzione è dedicata, poi, a Carla Attardi, la “signora dell’astrattismo”, i cui tratti espressivi sono fonte di ispirazione per portare a compimento il progetto finale d’esame, come per ogni tesi che si rispetti. Questo, per chi sa poco o nulla, dicevamo. Mentre, invece, chi sa molto di più ha due scelte: la prima, saltare a piè pari la lettura; la seconda, rispolverare ogni angolo di memoria, perché alla fine qualche cosa di intrigante salta sempre fuori.

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L’uomo non ha mai smesso di lasciare tracce

 

Maurizio Ferraris è professore ordinario di filosofia teoretica all’Università di Torino: qualche anno fa ha rilasciato questa intervista che non ha perso nulla col correre del tempo: “L’anima è come l’iPad”. Ma davvero? Ricordate le tavolette di cera sulle quali gli antichi scrivevano? i Tablet (e primo fra tutti l’iPad) non solo ricordano quelle tavolette, perché servono a scrivere e soprattutto a leggere, ma conservano la memoria raggiungibile attraverso il web: nelle biblioteche, emeroteche, pinacoteche… e (perché no?) discoteche. Ora, spiega Ferraris, la memoria è l’essenza dell’anima. Lo sa bene chi ha uno dei propri cari colpito dal morbo da “Alzheimer”, patologia neurologica degenerativa che limita proprio il ricordo, conducendo gradualmente  l’ammalato ad un totale stato di dipendenza. Perdere la memoria è perdere sé stessi. Senza ricordi tutto si annulla, non c’è più passato e presente, né tantomeno futuro. L’uomo, non ha mai smesso di lasciare tracce. L’education, per dirla all’inglese, o l’istruzione, per dirla in italiano, raccolgono tali tracce e le riverberano. Il filmato dura solo tre minuti e poco più.

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Entrano in gioco nuovi strumenti di lavorazione

 

La prima strumentazione
A proposito del capovolgimento e del successo della pasta, Emilio Sereni avanza l’ipotesi di una crescita del prezzo della carne, con conseguente abbassamento di quello della pasta. Non solo. Piano piano, nella produzione della pasta, entrano in gioco nuovi strumenti per la lavorazione. Se nel medioevo si utilizzava la gramola a livello professionale, nel XVI secolo questa venne usata non solo da parte dei cuochi, ma anche in ambito casalingo. Lo dimostra il testo del cuoco pontificio Bartolomeo Scappi, che la consiglia ai tecnici del settore, lodandone l’efficacia. In particolare, l’utilizzo sempre più della semola di grano duro nella specifica produzione, anziché della farina (come per il pane), aveva reso più faticoso il compito dell’impastatore. La gramola, invece, dava aiuto proprio in questa fase della lavorazione.
A livello “industriale” furono introdotti nuovi macchinari e attrezzi per le fasi più pesanti e più lunghe del lavoro. Un laboratorio di pastaio, che si rispetti, aveva, in quel tempo, diversi strumenti: tavolati e spianatoi, mattarelli, “ferri da maccaruni” e modellatori. Non potevano mancare, altresì, torchi e gramole a stanga, che Giovanni Branca, nel 1629, chiamerà “gramola da fornaro”.
L’attenzione verso la strumentazione, da questo momento rimane alta. Alessandro Capra, architetto, nel 1683, fornì due nuovi modelli, pensati, in verità, per i fornai. Non riscossero, però, grande successo, essendo complicati e costosi. Proprio l’opposto di una semplice gramola tradizionale. Di questi modelli se ne trovano ancora in Alta Italia, in Sicilia e in Puglia.
Il lavoro di pastaio, non era ovunque lo stesso. I pastai provenzali, ad esempio, confezionavano per lo più, vermicelli di farina di grano tenero, con una lavorazione di mezz’ora. Al contrario, nel napoletano, si preferiva la semola di grano duro, lavorata nell’impasto molto più a lungo (anche tre ore). La tradizione rimase nel sud Italia, per alcuni secoli, fino all’invenzione, negli anni trenta del XX secolo, della “pressa continua”, da parte della società Braibanti, industria metalmeccanica italiana.
La gramola a stanga interveniva a rendere fisicamente meno dura la fase dell’impasto. A questa seguiva, però, la modellazione dei vari formati, che, seppure non pesante, è comunque quella più lunga, poiché fatta a mano. Tra i piccoli strumenti utilizzati per questa delicata fase vi erano il coltello, la chitarra e il ferro da maccheroni. Bartolomeo Scappi, nel 1570, scrive del ferro, delle mollette e dei coltelli da pasta.

IL TORCHIO
Tra i macchinari più semplici, ma più geniali, introdotti nel XVI secolo, vi è il torchio, sul tipo di quello da vino. Il torchio si impose subito. Sebastian Covarrubias, spagnolo, ce ne parla. In pratica, il torchio pressa l’impasto su una machera di metallo traforata, da cui escono automaticamente i fideus, già preformati. Il torchio fu molto utilizzato dai cuochi italiani, che lo accolsero entusiasti, e per questo lo chiamavano ”ingegno per li maccheroni”. Purtroppo, la configurazione e l’aspetto dei tipi originali di torchio non ci è giunta. Le prime immagini risalgono al 1767, nell’opera Art du vermicellier di Paul-Jacques Malouin.
Il torchio si diffuse presto, come per la gramola a stanga, ad iniziare dall’area napoletana. All’inizio del XVII secolo, era ritenuto così importante (così come la trafila di bronzo) da essere richiesto per essere ammessi nella corporazione dei vermicellari. Il marchingegno, a Napoli, è citato in vari atti notarili del 1596. Per il suo uso fu coniata l’espressione “pasta d’ingegno”. I formati di pasta prodotti con il torchio erano definiti: “maccheroni, tagliatelle, vermicelli fatti all’ingegno”. È in questo periodo che la pasta (dato il grande consumo) inizia a diventare l’immagine di Napoli.

Alla scoperta di Gaudí e della sua Barcellona

 

Iniziamo a “Viaggiare” visitando la Catalogna, o per meglio dire, visitando la città di Barcellona (che ne è il capoluogo) e i suoi monumenti più rappresentativi. La Catalogna è una comunità autonoma spagnola situata all’estremità nord-orientale della penisola iberica, tra i Pirenei e il Mediterraneo. È costruita da quattro province: Barcellona, Girona, Lleida e Tarragona. Iniziamo, dunque, a “Viaggiare” sfogliando le pagine di una rivista specializzata, che si intitola “In Viaggio”, mensile dell’Editoriale Giorgio Mondadori, che ha dedicato alla Spagna il numero di febbraio 2017. E se poi l’esperienza vi è proprio piaciuta, sfogliate (e leggete, naturalmente!) anche un numero del mensile “Dove” (RCS Mediagroup), nel quale si descrive la nuova Barcellona.

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Aforismi

 

Le raccolte di massime, sentenze, pensieri, proverbi, epigrammi, rispecchiano l’onestà, lo spirito, il sapere estetico e letterario, che ancora possiamo scoprire nei libri antichi. Spesso riguardano tempi tanto lontani da apparire improponibili; altre volte hanno attraversato il tempo e risultano ancora efficaci. Queste citazioni sono riferibili ad autori precisi e, quindi, a specifiche pagine da cui sono tratte. A metterle ipoteticamente insieme ne risulterebbe un’opera dal carattere morale. Una morale che ha fortificato gli animi e ha spinto a migliorare. Non a caso i titoli di queste raccolte si incentrano su “Considerazioni, massime, riflessioni morali”. Noi le riproponiamo perché tutti possano trovarvi un momento di distrazione, un sorriso, ma anche un incentivo alla riflessione oppure un argomento per lo scambio di vedute in una riunione fra amici. Chissà che non producano un miracolo!