Conversazione con Hadeel Azeez, l’artista irachena alla guida di un ideale

Hadeel Azeez nel suo studio a Roma

“Un’artista ha il dovere di essere alla guida di un ideale”
Oggi per Hadeel Azeez l’impegno è per libertà, intercultura, sostenibilità e protezione della terra e degli animali

Hadeel Azeez, WATER

In corso a Roma, a Spazio all’Arte, di Capitolium Art, in collaborazione con Blue Factory, la mostra personale di Hadeel Azeez, WATER, curata da Willy Zuco, inaugurata lo scorso 28 giugno e visitabile fino al 7 settembre 2023.

Una visuale della mostra

Finissage della mostra WATER alla presenza dell’Artista
Giovedì 7 settembre 2023 dalle 18,30

Visitabile anche su appuntamento

Spazio all’Arte – Via delle Mantellate 14b

Info: roma@capitoliumart.it

Hadeel Azeez, Willy Zuco, Zaid Tariq Al-Ani addetto culturale Ambasciata Iraq

Conversazione con l’artista

di Diana Daneluz

Come è nata questa mostra e cosa ha portato Hadeel Azeez al racconto, provocatorio, sull’acqua e la urgente necessità di preservarla?

Avevo incontrato Willy Zuco in occasione di una piccola mostra dal titolo Elementi Del Visibile che avevo organizzato lo scorso febbraio. Successivamente ad una sua visita al mio studio mi ha chiamato per proporre la mostra Water. Quando ci siamo incontrati per discutere questo tema è venuto fuori che abbiamo entrambi letto Il Miracolo Dell’Acqua di Masaru Emoto, in cui l’autore spiega attraverso l’analisi della molecola, che l’acqua conserva una memoria delle parole e del linguaggio. Questi generano un impatto sulla struttura molecolare dell’acqua e quindi il suo aspetto cambia a seconda del significato positivo o negativo della parola pronunciata. Una scoperta sensazionale, se pensiamo al potere di un elemento così basilare per la nostra esistenza.

Durante il tempo di creazione delle opere, questo libro è stato un riferimento importante per me, ma presto ho ampliato la visione per inglobare altri elementi legati all’acqua, come gli esseri viventi che ci abitano – dai microrganismi, ai giganti del mare come le balene, alle meduse che stanno popolando i mari per via dell’aumento della temperatura dell’acqua e della pesca intensiva.

Spesso noi umani guardiamo la nostra esistenza come qualcosa di superiore a quella degli altri esseri viventi. Non abbiamo una veduta così ampia da capire che l’universo è un tutt’uno legato con leggi impeccabili ed il crollo di un solo singolo elemento, minaccia l’intero sistema; la nostra esistenza è quella più fragile dell’ecosistema.

Nata in Iraq, vive a Roma. E da sempre sul fiume, il Tigri, prima, il Tevere poi. Quanto c’è dell’ambiente naturale e architettonico che La circonda nelle sue opere?

Penso che la presenza di questi elementi sia inevitabile nel mio lavoro. Se non in modo esplicito lo è nella percezione. Come una nota musicale che doni armonia ed equilibrio ad un brano.

Sono nata a Baghdad ed è il posto della mia infanzia, a 22 anni sono venuta in Italia e ad oggi, dopo 20 anni, penso che il mio animo non conosce più una sola percezione di vita. Vedo le cose con tante sfaccettature e dimensioni. Le mie idee e decisioni sono influenzate da entrambe le culture al contempo. Dentro il mio pensiero, dentro le mie abitudini, nelle cose che amo e persino nelle persone che frequento c’è qualcosa che richiama entrambe le culture in modo diretto o indiretto. Questo si nota nel mio lavoro soprattutto nei movimenti e nei soggetti stessi. Questo sarebbe molto chiaro da vedere se uno pensasse e conoscesse il percorso che l’arte ha intrapreso in Medio Oriente, dagli antichi mesopotamici fino ad oggi. Un miscuglio di diverse cose, ma in una costruzione gentile.

Pianificare qualcosa che può accadere nel futuro mi è sempre stata difficile. Credo che questo sia dovuto alla cultura musulmana in cui sono nata, si affida l’avvenire alle mani di Dio.

Tornerebbe definitivamente, ha in animo di farlo, nella Sua città natale o ormai la Sua vita è qui?

L’idea di tornare a casa non è sradicata dalla mia mente, ma pianificare qualcosa che può accadere nel futuro mi è sempre stata difficile. Credo che questo sia dovuto alla cultura musulmana in cui sono nata, si affida l’avvenire alle mani di Dio. Forse questo pensiero esprime in qualche modo il concetto del vivere qui ed ora. Pianificare il futuro spesso ci mette in uno stato di ansia e ci fa sentire inadeguati nel nostro momento presente, cosa che non accadrebbe se guardassimo al nostro futuro come qualcosa che non è ancora nostro. Vorrei non pianificare mai nulla per il futuro: dove sarò, dove vivrò, sarà sicuramente una sorpresa che avrà il suo sentimento nel suo futuro momento.

Qual è il contributo che sente di dare oggi l’esigenza irrinunciabile di un dialogo interculturale autentico?

Penso che una delle più grandi perdite dell’umanità sia quella di aver creato confini sulla mappa del mondo. Quanti conflitti avremmo potuto evitare, quante cose ci siamo persi, quante ricchezze spirituali e culturali e non solo avremmo potuto imparare solo se non ci fosse stata l’idea del diverso e dello sconosciuto.

Direi che ancora oggi, nonostante si viaggi più facilmente per vedere e conoscere, restiamo chiusi nelle nostre idee giudicando colui che è diverso da noi, mettendolo sempre ad una certa distanza. Si creano delle società magari multiculturali, ma con piccole comunità sparse in cui l’artista, il medico, l’ingegnere è discriminato perché ha un colore di pelle diverso o un accento nel suo parlato…

L’idea dell’uomo moderno è quella di essere il migliore, di vivere seguendo canoni che considera giusti. Per questo abbiamo creato delle società unidimensionali in cui si sparge odio verso colui che è diverso. Guerre infinite e sfruttamento di ogni genere. Questo è stato il nostro modo di fare affari e progredire.

Penso che l’artista abbia, oggi più che in altri tempi, il dovere di mettersi alla guida di un ideale. Come dice il filosofo e scienziato Terence Mckenna, se l’artista non trova la via, allora la via non può essere trovata.

La sua sperimentazione artistica, all’inizio tradizionalmente pittorica, ha subito una decisa deviazione verso l’uso della penna a sfera, il che rimanda alla scrittura. Quando è successo e cosa ha innescato il cambiamento?

In realtà non lo vivo come un cambiamento, ma come un ritorno a qualcosa che avevo trascurato per studiare i metodi accademici della pittura. Dopo diversi anni e durante un periodo di blocco verso la pittura, l’uso della penna a sfera è riaffiorato. Penso per via della sua semplicità, (una penna ed un foglio ed il tempo che si ferma mentre la mia mente si riposa gettando fuori ogni pensiero e sentimento). Ben presto questo mezzo mi ha mostrato una potenzialità degna di qualsiasi altra materia in termini tecnici di chiaroscuro e sfumatura. Ho raggiunto una tecnica che mi permette di realizzare qualsiasi cosa con molta precisione.

Per la mostra Water ho cambiato l’aspetto del mio lavoro in termini di dimensioni creando opere di grande formato, dopo un lungo tempo in cui realizzavo opere di piccole dimensioni. Inoltre, ho realizzato tre opere appositamente per il video intitolato The Three Waves usando la tecnologia dell’immagine in movimento.

Credo che la materia sia solo un mezzo e quello che veramente conta alla fine è l’idea, il pensiero ed il sentimento che l’artista trasmette.

Se dovesse fare il nome, è sempre difficile, di uno o una artista di cui sente di aver subito l’influenza, chi sarebbe?

A questa domanda risponderei con una lista di nomi per ogni periodo della mia vita. Ma se ci penso bene forse Hanaa Malallah, un’artista irachena che ho sempre guardato con ammirazione: il suo lavoro è presente nei più importanti musei del mondo, la sua arte è ricca, ti stupisce e ti colpisce nel profondo. Forse dentro di me sto cercando di trasmettere qualcosa di simile. Qualcosa che sia intimo, ma anche universale.

La stratificazione plurisecolare della storia dell’arte mette un peso sulle spalle degli artisti di oggi, probabilmente questo è il motivo per cui l’arte contemporanea in Italia non è tanto amata.

Cosa pensa della veicolazione e distribuzione dell’arte in Italia, e in particolare qui a Roma?

Dovrei azzardare un’analisi molto personale… Trovo che in generale il sistema dell’arte sia molto complicato. Nella mia piccola esperienza noto che la scena artistica contemporanea in Italia soffre di qualche rallentamento. La stratificazione plurisecolare della storia dell’arte mette un peso sulle spalle degli artisti di oggi, probabilmente questo è il motivo per cui l’arte contemporanea in Italia non è tanto amata. Le gallerie dedicate all’arte contemporanea non sono tantissime, il collezionismo dell’arte contemporanea ancora esita a decollare.

A Roma non credo che la situazione faccia una particolare eccezione, un artista deve armarsi di molto coraggio e tanta tenacia per farsi strada.

In Water, in ragione del tema, dominano, accanto al bianco e nero dell’inchiostro, solo dei bellissimi toni di blu. Più in generale, qual è il Suo rapporto con il colore?

Spesso si pensa che gli artisti usino un determinato colore per una scelta sentimentale, forse qualche volta è così, ma la maggior parte delle volte è il soggetto che implica l’uso di un colore. I colori hanno una profondità prospettica ed una temperatura cromatica e usarli senza badare ai loro canoni fisici sarebbe un errore. Questo concetto ovviamente vale sia per l’arte figurativa sia per l’arte astratta ed io come tanti artisti navigo in entrambi gli stili. Nell’arte figurativa, il pittore è obbligato a riportare fedelmente i colori del soggetto, mentre nell’arte astratta l’artista deve scegliere accuratamente i suoi colori per trasmettere al meglio la propria idea. L’accostamento dei colori è una scelta implicata dalla struttura fisica e chimica dei colori stessi.

In Water, l’uso del colore blu con qualche sfumatura di verde era obbligato poiché viene attribuito alla materia dell’acqua, sicuramente per via del riflesso del cielo azzurro sul mare. Ma sappiamo bene che l’acqua è incolore ed è per questo che anche il bianco è protagonista nella mostra, non solo nello spazio bianco della carta, ma anche nell’uso dello smalto bianco leggermente in rilievo visibile solo sotto una luce in una determinata angolazione.

Dal colore al movimento. Quello delle opere esposte in WATER è implicitamente sensuale, nato da un tratto sinuoso fortemente coinvolgente. Può dirsi il Suo stile? 

Se si percepisce come tale è sicuramente qualcosa che ha a che fare con le mie radici, in particolare la lingua araba: essa scorre senza la presenza del maiuscolo che spezza le sue linee curve e la obbliga ad un aspetto geometrico, tranne per alcuni stili calligrafici.

Per quanto riguarda in particolare le opere in Water, oltre alla natura fluida dell’acqua, ho passato molto tempo a studiare diverse specie di pesci la cui struttura fisica si avvicina a quella sensualità citata nella domanda. Nel mio lavoro c’è sempre la presenza di animali di diverse specie, ma che rappresento in modo da creare una specie inesistente. Come gli esseri fantastici che gli antichi sognavano per costruire le loro storie e persino le religioni.

Sono figlia di una delle più antiche civiltà mai creata dall’uomo, la Mesopotamia. Vivo in una civiltà moderna da cui il mio stile è inevitabilmente influenzato, ma il mio spirito porta strati di storia ed è amalgamato con la terra in cui sono nata.

Quando non è imbrigliata in un tema specifico, cosa c’è alla radice della Sua arte? Quali emozioni o quali “messaggi” Le viene naturale estrinsecare?

Sicuramente lavorare con un tema specifico è una buona abitudine per un’artista, ma nel caso in cui mi manchi l’ispirazione, lavoro alla ricerca di qualche cosa che mi suggerisce un tema sul quale poi continuo sviluppando diverse opere.

Le tematiche, i messaggi che mi vengono naturali, come citavo prima, sono legati ad un mondo che unisce gli esseri viventi in un unico aspetto. Di recente ho creato diverse opere sul tema della libertà, questo progetto è nato da un periodo in cui avevo letto diversi libri sul tema degli uccelli ed il loro significato. Sono stata influenzata da tre grandi libri che avevo letto in quel periodo; il primo che mi ha fatto molto riflettere sulla provenienza delle mie immagini ed il legame visivo con dell’eredità culturale della mia terra d’origine: Si tratta di Il Libro Degli Esseri Immaginari di J.L. Borges in cui descrive ed elenca le strane entità create dagli uomini antichi. Il secondo libro è stato Epistola Dell’Albero E Dei Quattro Uccelli del grande filosofo Sufi Ibn Arabi. Il terzo libro è Il Verbo Degli Uccelli di Farid Addin Attar. Questi grandi interpreti hanno aperto un varco nella mia mente per riflettere non solo sulla mia arte, ma anche sulla mia storia personale e alle diverse tappe della mia vita.

Verso cosa vede dirigersi il Suo percorso artistico nel futuro più prossimo?

In questo momento sono molto presa dall’idea di portare il lavoro sul discorso della sostenibilità, la protezione della terra e degli animali. Penso che dobbiamo essere molto responsabili e trattare questi argomenti con estrema serietà.

Nella mostra Water ho avuto l’idea di inserire il vetro sintetico su un’opera, non solo per un aspetto estetico, ma per fare riferimento all’inquinamento e ai rifiuti soprattutto industriali che costituiscono una vera minaccia per la sopravvivenza di tante specie di animali e vegetali. Prima ho citato l’aumento delle meduse nei mari – una vera e propria esplosione di questi organismi. I dati confermano un aumento delle meduse di almeno 10 volte negli ultimi 10 anni. Questo sicuramente avrà degli effetti enormi su diversi aspetti della nostra vita. Transparency è l’opera dedicata a questo fenomeno.

HADEEL AZEEZ

Una delle opere di Hadeel Azeez in mostra

HADEEL AZEEZ – Artista visiva italo irachena nata a Baghdad, frequenta lì l’Accademia di Belle Arti per poi trasferirsi in Italia nel 2003. Molteplici le sue attività espositive, in molte delle quali si registra l’accostamento di iconografia e scrittura. Una personale del 2013 presso l’Ambasciata irachena a Roma, Sensi, accoglieva un importante corpus delle sue opere. Seguno diverse mostre sempre a Roma, contestuali ad una ricerca appassionata, in cui il suo stile muta, evolve, dando origine a un nuovo linguaggio segnico fatto di infiniti filamenti sinuosi, realizzati prevalentemente con l’inchiostro nero della penna a sfera, che generano masse informi di straordinaria potenza espressiva.  Convinta sostenitrice del dialogo interculturale, prende parte a progetti sperimentali quali il Matri Archivio del Mediterraneo. Grafie e Materie (M.A.M.), una piattaforma digitale finalizzata a conservare la memoria di artiste emergenti, operanti nell’area del Mediterraneo, e a diversi spettacoli teatrali.  Nel 2022 a Palermo la mostra personale “Le figure segrete dietro ogni parola”, le cui opere entreranno nella collezione della Fondazione Orestiadi nell’ottobre dello stesso anno dove saranno esposte nel Museo delle Trame del Mediterraneo. A dicembre 2022 riceve il Franco Cuomo International Award per l’arte. A giugno 2023 realizza 11 opere tra cui tre destinate a diventare un video animazione e un’opera con un meccanismo di rotazione dal titolo Gratitude, per essere esposte nella mostra personale WATER.

Opere di Hadeel Azeez in mostra

I ritratti fotografici di Augusto De Luca dove cogliere effetti inesplorati o del tutto sconosciuti

RITRATTI FOTOGRAFICI DI AUGUSTO DE LUCA

Ritratti di Augusto De Luca 

“Ho sempre avuto dentro di me il germe dell’uomo madre; la creatività mi ha sempre accompagnato… Ho cercato sempre di esprimermi con uno stile ben preciso ma attraverso tutti i materiali e i formati. Desidero scoprire come la mia creatività si manifesta nelle diverse circostanze”.
“La geometria mi serve come grammatica del linguaggio espressivo nell’immagine. Lo scheletro strutturale, la composizione e il taglio geometrico servono a dare una chiave di lettura all’immagine”.
“La luce evidenzia ma, con l’ombra, elimina dando all’immagine valori di profondità, di terza estensione e possibilità sottrattive… Credo che l’impegno e la tecnica si possono raggiungere con la volontà e lo studio mentre l’inventiva e la passione costituiscono qualcosa in più in quanto elementi innati e inesorabilmente speciali”.

Chi è Augusto De Luca? Presto detto: è un famoso fotografo e performer italiano. È conosciuto anche come “Il Cacciatore di Graffiti”, dal titolo di un articolo sul quotidiano Il Mattino che descrive un tratto del suo immaginario artistico. Nel 2011, infatti, per denunciare il degrado della sua città di nascita, ha ideato la Performance – Partita a golf nelle buche stradali di Napoli. «A partire dal 2005, dopo aver trascorso alcuni anni a Roma, tornato a Napoli, mi sono accorto che sui muri della città c’erano tanti disegni colorati su carta che mi ricordavano le opere di Keith Haring, Ronnie Cutrone e Kenny Scharf. Ne sono stato subito colpito. Ancora non sapevo nulla di “Street Art”». Molte persone, ancora oggi, conoscono ben poco questa forma d’arte. De Luca, a differenza, già a partire dagli anni Settanta aveva cominciato a sviluppare la sua passione per l’arte in generale e per la fotografia in particolare. Da allora i suoi scatti fotografici sono presenti in diverse collezioni pubbliche e private: dalla Camera dei deputati a Roma alla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi. Una ricca documentazione in proposito si può trovare visitando i siti web che illustrano una lunga carriera piena di conferme.

«Mi sento navigatore, o meglio, esploratore dell’immenso universo dell’arte», asserisce De Luca, «L’artista è uno scopritore, cerca le chiavi per aprire la porta delle emozioni e delle sensazioni. L’arte è il luogo dove razionalità, fantasia, verità e finzione si sposano creando una miscela esplosiva». La vera arte è sempre esplosiva, ma per farla esplodere occorre che l’artista per primo inneschi emozioni: «Ogni mia foto è filtrata dall’EMOZIONE, dal rapporto che si crea tra me ed il luogo da ritrarre. Quando vedo qualcosa che mi attrae, comincio a girarci intorno per trovare la MIA inquadratura. È un lavoro su di me e sulla città al tempo stesso». Ecco perché, soprattutto ai giovani, De Luca ha sempre indicato cosa guardare attraverso l’obiettivo fotografico e ricorda Henry Bergson quando asseriva: «A che cosa mira l’arte se non a mostrarci, nella natura e nello spirito, fuori e dentro di noi, le cose che non colpirebbero esplicitamente i nostri sensi e la nostra coscienza?». È un modo per intraprendere una esplorazione e una ricerca sul proprio “Esprit de Finesse”, nel senso più ampio del termine.

«Io ho molte anime, che vengono fuori a mesi o anni alterni. Sono fotografo, performer, avvocato, collezionista, musicista. Tutto questo fa parte di me, io non elimino niente, semplicemente permetto alle mie diverse anime di alternarsi… Attraverso le mie foto vengono fuori le mie idee, le mie passioni, i miei mostri, chi sono e cosa penso». De Luca svela così il suo segreto su come conoscere e conoscersi. Un pensiero che s’invera nel guardare attentamente le sue immagini: quando in un viaggio restituisce le sensazioni in lui suscitate dai luoghi o quando nei volti celebri del mondo della cultura e dello spettacolo afferra l’emozione di un momento. Di tali ritratti mostriamo una carrellata in bianco e nero. Una collezione completa del mondo di De Luca compare nei suoi libri fotografici, recensiti sulle principali riviste di settore e sulle più importanti reti televisive, come Rai3 e Rai2. Libri arricchiti da prefazioni e contributi letterari delle maggiori personalità del nostro tempo. Il poeta Mario Luzi, la regista Lina Wertmuller, il compositore Ennio Morricone, lo storico Giovanni Pugliese Carratelli, i giornalisti Maurizio Costanzo e Sandro Curzi, l’architetto Paolo Portoghesi. «Nei miei ritratti c’è la persona da ritrarre e ci sono sempre anche io. Quando fotografo cerco un oggetto e un’inquadratura da poter abbinare al soggetto ed è li che c’è anche qualcosa di mio, la mia firma, la mia anima. Vengono fuori le parti di me più nascoste: è come andare dallo psicologo. Ho scoperto attraverso le mie foto che convivono in me».

In quel preciso istante, fissato nel tempo, emergono sentimenti contrastanti ed estremi che danno vita alle sue molteplici ispirazioni. «La grande fotografia è realizzata al momento giusto, ma ha bisogno anche di un taglio giusto che valorizza quell’attimo… La fotografia deve vivere di contenuto e di forma, quella che vive solo dell’uno o dell’altro non rimane». Come non rimane se fotografi per gli altri, senza fare emergere la propria intima essenza: «Finirai per fare cose che hanno fatto tutti, solo perché sai che piacciono…». A scorrere articoli e note su De Luca ciascun lettore troverà parole di assoluto consenso, che evidenziano la sua poetica. Come queste poche righe, stralciate da ND Magazine, rivista internazionale che ha come mission promuovere fotografia e fotografi: «Con il suo stile ha attraversato molteplici generi fotografici, utilizzando molti materiali, cercando sempre con i suoi scatti di esaltare elementi primari, unità espressive minime che compongono immagini in cui forme e segni si combinano in modo da ricordare atmosfere metafisiche». Le medesime atmosfere metafisiche, che in questa pagina cogliamo in alcuni dei suoi prestigiosi ritratti. Valicano la semplice mimesi del reale, per fare emergere le molteplici stratificazioni del sentire e dell’agire.

Augusto De Luca – Note biografiche

Augusto De Luca

Augusto De Luca, (Napoli, 1° luglio 1955) è un fotografo e performer. Ha ritratto molti personaggi celebri. Studi classici, laureato in giurisprudenza. È diventato fotografo professionista nella metà degli anni ’70. Si è dedicato alla fotografia tradizionale e alla sperimentazione utilizzando diversi materiali fotografici. Il suo stile è caratterizzato da un’attenzione particolare per le inquadrature e per le minime unità espressive dell’oggetto inquadrato. Immagini di netto realismo sono affiancate da altre nelle quali forme e segni correlandosi ricordano la lezione della metafisica. È conosciuto a livello internazionale, ha esposto in molte gallerie italiane ed estere. Le sue fotografie compaiono in collezioni pubbliche e private come quelle della International Polaroid Collection (USA), della Biblioteca Nazionale di Parigi, dell’Archivio Fotografico Comunale di Roma, della Galleria Nazionale delle Arti Estetiche della Cina (Pechino), del Museo de la Photographie di Charleroi (Belgio).

Paolo Pantani e i suoi ospiti presentano il Primitivo, un vino identitario

Presentiamo una nuova puntata della trasmissione di Paolo Pantani, curata per l’emittente partenopea Canale 695. In particolare la nuova serie è dedicata agli incontri con l’Ateneo dei Vini Erranti. Ospiti fissi sono il professore Bruno de Concilis, che dell’Ateneo è il rettore e il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica e segretario dell’influente consesso.

Da sinistra: Paolo Pantani, Bruno de Concilis, Pasquale Persico

Paolo Pantani su Canale 695

IMMAGINE DI APERTURA – Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Paolo Pantani e i suoi ospiti presentano un nuovo vino prestigioso: Alexia Capolino Perlingieri

Presentiamo una nuova puntata della trasmissione di Paolo Pantani, curata per l’emittente partenopea Canale 695. In particolare la nuova serie è dedicata agli incontri con l’Ateneo dei Vini Erranti. Ospiti fissi sono il rettore, professore Bruno de Concilis, e il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica e segretario dell’Ateneo. Oggi si parlerà dell’ottimo Alexia dell’azienda Capolino Perlingieri, che conta 12 ettari di vigneto e 5 di uliveto in agricoltura biologica nel Sannio. 

Da sinistra: Paolo Pantani, Bruno de Concilis, Pasquale Persico

IMMAGINE DI APERTURA – Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Paolo Pantani e i suoi ospiti gustano l’Aglianico di Taurasi

Presentiamo una nuova puntata della trasmissione di Paolo Pantani, curata per l’emittente partenopea Canale 695. In particolare la nuova serie è dedicata agli incontri con l’Ateneo dei Vini Erranti. Ospiti fissi sono il professore Bruno de Concilis, che dell’Ateneo è il rettore e il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica e segretario dell’influente consesso.

Da sinistra: Paolo Pantani, Bruno de Concilis, Pasquale Persico

Paolo Pantani su Canale 695

IMMAGINE DI APERTURA – Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Paolo Pantani e l’Ateneo dei Vini Erranti – Come recuperare la biodiversità perduta?

Continua la trasmissione di Paolo Pantani, condotta per l’emittente partenopea Canale 695 e in modo particolare la nuova serie dedicata agli incontri con l’Ateneo dei Vini Erranti. Ospiti il professore Bruno de Concilis, che dell’Ateneo è il rettore e il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica e segretario dell’influente consesso. Il tema trattato in questa puntata riguarda l’agricoltura biodinamica, basata sulle teorie antroposofiche di Rudolf Steiner (1861-1925). Secondo i sostenitori della biodinamica le intuizioni dello studioso tedesco potrebbero apportare benefici alla produzione agricola, poiché garantiscono il giusto equilibrio con l’ecosistema formato dalla triade uomo/terra/pianta. Tutto ciò vale, a più forte ragione, se si tenessero in conto le possibilità economiche offerte grazie al recupero delle naturalità del Parco Nazionale del Cilento.

Paolo Pantani su Canale 695

IMMAGINE DI APERTURA Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Il vino? Uno strumento di relazione – Paolo Pantani intervista i professori Bruno de Concilis e Pasquale Persico

Paolo Pantani, nella sua rubrica in onda su Canale 695, emittente partenopea, s’intrattiene con i suoi ospiti su di un tema estasiante, nel vero senso della parola. Il professore Pasquale Persico, ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Salerno e il professore Bruno de Concilis, rettore dell’Ateneo di Vini Erranti. Parleranno di terroir, che nel linguaggio degli specialisti dell’enogastronomia, indica il rapporto tra un prodotto agricolo e il territorio in cui è coltivato. Il prodotto in questione è naturalmente il vino e sul vino l’intera trasmissione si svolge, mettendo in luce le molteplici sfaccettature positive, che, se colte nel modo più opportuno, prospettano possibilità economiche migliori per i nostri territori: un vero e proprio passaporto per il futuro.

Paolo Pantani su Canale 695

IMMAGINE DI APERTURA Illustrazione ArtTower da Pixabay 

Laurent Tirard – Le avventure galanti del giovane Molière, 2007

Si racconta che, nel 1645, il drammaturgo e interprete francese Jean-Baptiste Poquelin – che tutti conoscono come Molière – per diverse settimane scomparve dalla vista. Dove è andato a finire? Questo film immagina uno scenario che potrebbe spiegare ogni cosa. Il giovane Molière, con la sua compagnia teatrale itinerante, sta battendo palmo a palmo la campagna francese. Tutti tirano la cinghia e il baldanzoso attore è addirittura imprigionato per debiti non pagati. Un notaio, notate le sue doti lo raccomanda al ricchissimo Jourdain, che ne paga la cauzione e lo ingaggia per impartirgli lezioni di recitazione. L’idea è che vuole fare colpo sulla giovane marchesa Célimène, della quale si è invaghito. Jourdain ha una bellissima moglie, Elmire, e due adorabili figlie. Naturalmente, oltre alle ricchezze, ha anche velleità di autore teatrale e di attore. Per la marchesa ha scritto una breve commedia grazie alla quale vorrebbe dimostrale i suoi sentimenti. Ha bisogno, però, di qualcuno che lo aiuti a rifinire la sceneggiatura e che gli dia le dritte per la corretta recitazione. Molière è l’insegnante giusto. Accetta e assume le mentite spoglie di Monsieur Tartuffe, per tenere segreta la vera identità. Si rende presto conto che il ricco Jourdain ha un rivale in amore, l’affascinante Dorante, che aspira anche lui al cuore di Célimène. Dal canto suo, Molière non è da meno e corteggia la signora Elmire. Insomma, una serie di intrecci amorosi definiscono l’ambiente e la storia. Jourdain incontra Célimène, ma la rappresentazione è un fiasco. Il patto di interesse, per far sposare sua figlia con il figlio di Dorante, va a monte e la ragazza può finalmente coronare il suo vero sogno d’amore. Jourdain ed Elmire rinsaldano nuovamente il matrimonio. Molière riprende il giro con la vecchia compagnia alla conquista del meritato successo che lo porterà fino alla corte reale. A Parigi ritroverà Elmire, morente, che lo perdonerà per avere interrotto la loro promettente storia d’amore.

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IMMAGINE DI APERTURA  – Elaborazione grafica della locandina del film su CHILI

Kate Greenaway: Una torta di mele per i nostri bambini

Kate Greenaway (1846-1901) è stata un’artista e scrittrice britannica, nota per i suoi libri per l’infanzia, come questo abecedario illustrato dalla stessa autrice e inciso su legno da Edmund Evans (1826-1905) che non si limita alle sole lettere, ma racconta una piccola storia dove gli stessi bambini sono protagonisti. La storia, infatti, si intitola “A Apple Pie” e introduce le lettere dalla A alla Z mentre segue le sorti di una torta di mele. Fu pubblicata per la prima volta nel 1886 e continuamente ristampata nel secolo successivo. Come è possibile vedere in queste immagini, i piccoli sono abbigliati con costumi immaginari del XVIII secolo, stile Regina Anna. Queste creazioni ebbero tanto successo da divenire così popolari, sia in Inghilterra che fuori, da influenzare la moda per bambini. Le pubblicazioni di Kate Greenaway furono imitate in Inghilterra, Germania e Stati Uniti.

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Abdellatif Kechiche – Venere nera, 2010

Il film narra la storia vera di Sarah “Saartjie” Baartma, una domestica nera che nel 1808 dal Sud Africa, governata dai coloni olandesi, raggiunse l’Europa nella speranza di trovare una vita migliore. Qui, in effetti, ha goduto di una inattesa fama tra il pubblico, esibita dal suo scopritore e manager, Hendrick Caezar, a Piccadilly Street nello spettacolo reclamizzato come “La venere Ottentotta”. Né più né meno che un’attrazione da baraccone, nuda davanti alla folla, così da essere palpeggiata dagli spettatori incuriositi. Quando sui giornali si sollevano voci che condannano lo sfruttamento di Sarah da parte di Caezar, lei in tribunale dichiara inaspettatamente di agire per spontanea volontà. Dopo Caezar, trova un nuovo impresario, lo showman francese Reaux, ancora meno onesto del primo. È solo un’altra delle tappe umilianti dove è costretta ad esporre il proprio corpo, prima nei carnevali, poi nei salotti aristocratici di Parigi, poi tra i libertini e infine nei bordelli nei quali finisce per fare la prostituta. Dieci anni più tardi è alla mercé di Georges Cuvier, un anatomista, che la usa per i propri esperimenti scientifici. All’Accademia Reale di Medicina di Parigi, ne mette in mostra, infatti, l’insolita conformazione fisica, soltanto per dichiararla quale anello mancante fra la scimmia e l’uomo. Nel 1815, a soli 27 anni, Sarah, già affetta da malattie veneree, morirà sola, a causa di una polmonite.

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