9- La vita a Costantinopoli – La Torre del Seraschiere
INDICE
L ’arrivo |
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Stambul |
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Costantinopoli |
Galata |
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Santa Sofia |
Dolma Bagcè |
Le Turche |
Ianghen Var |
Le mura |
L’antico Serraglio |
Gli ultimi giorni |
I Turchi |
Il Bosforo |
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Sentendosi così puri e disposti a riveder le stelle non c’è di meglio che arrampicarsi sopra la testa di quel titano di pietra che si chiama la torre del Seraschiere. Io credo che Satana, se volesse tentare un’altra volta qualcuno coll’offerta del regno della terra, sarebbe sicuro del fatto suo, trasportando la sua vittima su quella cima. La torre, fabbricata sotto il regno di Mahmud II, è piantata sulla collina più alta di Stambul, nel mezzo del cortile vastissimo del ministero della guerra, nel punto che i turchi chiamano l’ombelico della città. È costrutta in gran parte con marmo bianco di Marmara, sul piano d’un poligono regolare di sedici lati, e si slancia in alto, ardita e svelta come una colonna, sorpassando d’un buon tratto i minareti giganteschi della vicina moschea di Solimano. Si va su per una scala a chiocciola, rischiarata da poche finestre quadrate, per le quali s’intravvede, passando, ora Galata, ora Stambul, ora i sobborghi del Corno d’oro; e non s’è ancora a mezza altezza, che già, lanciando uno sguardo fuori, pare di essere nella regione delle nuvole. Qualche volta salendo, si sente un leggero rumore sul proprio capo, e quasi nello stesso punto si vede passare e sparire una larva, che sembra una cosa che precipita piuttosto che un uomo che discende; ed è uno dei guardiani che stanno giorno e notte alla vedetta sulla sommità della torre, il quale ha visto probabilmente in qualche punto lontano dell’orizzonte un nuvolo di fumo sospetto, e ne porta avviso al Seraschierato. La scala ha circa duecento scalini, e conduce a una specie di terrazza rotonda, coperta di sopra e vetrata tutt’intorno, nella quale gira perpetuamente un guardiano, che serve il caffè ai visitatori. Al primo entrare in quella gabbia trasparente, che par sospesa tra il cielo e la terra, al vedere tutt’intorno quell’immenso vuoto azzurro, al sentire il vento che strepita e fa sonare i vetri e scricchiolare gli assiti, s’è quasi presi dalle vertigini e tentati di rinunziare al panorama. Ma alla vista della scaletta appoggiata al finestrino del tetto, il coraggio ritorna, si sale col cuore palpitante, e si getta un grido di meraviglia. È un momento sublime. Si rimane come sfolgorati. Tutta Costantinopoli è là e s’abbraccia tutta con un giro dello sguardo; tutte le colline e tutte le valli di Stambul, dal castello delle Sette Torri ai cimiteri d’Eyub; tutta Galata e tutta Pera, come se lo sguardo vi cadesse a fil di piombo; tutta Scutari, come se fosse lì sotto; tre file di città, di boschi, di flotte, che fuggono a perdita d’occhi lungo tre rive incantevoli, e altre strisce interminabili di villaggi e di giardini che si perdono serpeggiando nell’interno delle terre; tutto il Corno d’oro, immobile, cristallino e picchiettato d’innumerevoli caicchi, che sembrano moscerini natanti; tutto il Bosforo, che par chiuso qua e là dalle colline più avanzate delle due rive, e presenta l’immagine d’una successione di laghi, e ogni lago par circondato da una città, e ogni città è inghirlandata di giardini; di là dal Bosforo, il mar Nero azzurrino che si confonde col cielo; dalla parte opposta, il mar di Marmara, il golfo di Nicomedia, le isole dei Principi, la riva europea e la riva asiatica biancheggianti di villaggi; di là dal mar di Marmara, lo stretto dei Dardanelli, che luccica come un sottile nastro d’argento; oltre i Dardanelli un vago bagliore bianco, ch’è il mare Egeo e una curva oscura che è la riva della Troade; di là da Scutari, la Bitinia e l’Olimpo; di là da Stambul, le solitudini ondulate e giallognole della Tracia; due golfi, due stretti, due continenti, tre mari, venti città, una miriade di cupole inargentate e di guglie d’oro, una gloria di colori e di luce, da far dubitare se quella sia una veduta del nostro pianeta o di un altro astro più favorito da Dio.
Il capitolo è composto da 24 ritratti della città
Edizione elettronica tratta da Liber Liber
Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877
Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it
Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it
Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.
Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.
De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali. Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.
L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.