Le mostre dell’autunno di ARTHEMISIA: a Trieste “ANTONIO LIGABUE”

“ANTONIO LIGABUE”

8 novembre 2023 – 7 aprile 2024
Museo Revoltella, Trieste

In arrivo a Trieste due eccezionali appuntamenti con l’arte.

Palazzo Revoltella ospiterà due mostre straordinarie:
dall’8 novembre la prima mostra antologica di ANTONIO LIGABUE,
e dal 22 febbraio una grande mostra dedicata all’artista più amato al mondo, VINCENT VAN GOGH.

Grazie alla collaborazione tra Arthemisia e il Comune di Trieste, la capitale del Friuli Venezia Giulia è ormai un nuovo punto di riferimento per le grandi mostre in Italia.

Il Museo Revoltella di Trieste ospiterà, a partire da novembre 2023, due mostre eccezionali: la prima, che partirà l’8 novembre, è dedicata ad Antonio Ligabue, uno dei più grandi artisti italiani del ‘900, e la seconda, dal 22 febbraio 2024 è dedicata all’artista più amato di ogni tempo, Vincent Van Gogh.

Due artisti diversi ma accomunati da vite sfortunate, da anime sopraffatte dal dolore e dalla follia, dalla disperata solitudine, capaci di rendere eterne le loro emozioni attraverso una pittura potente ed emozionante.

La pluriennale collaborazione tra il Comune di Trieste e Arthemisia ha portato grandi risultati, facendo diventare Trieste una delle mete culturali più rilevanti in Italia.
Dopo i successi delle mostre Escher, Monet e gli Impressionisti di Normandia, i Macchiaioli, Cracking Art e I Love Lego, questa volta si scommette su due grandi nomi della storia dell’arte, due artisti considerati “borderline” in vita, oggi amatissimi dal grande pubblico.

Antonio Ligabue, uno degli artisti italiani più umani e commoventi del Novecento, con la sua vita così travagliata, escluso dal resto della sua gente, legato visceralmente al mondo naturale e animale e lontano dal giudizio altrui, riuscì a imprimere sulla tela il suo genio creativo; un uomo, talmente folle e unico, che con la sua asprezza espressionista riesce ancora oggi a penetrare nelle anime di chi ammira le sue opere.
Con le sue pennellate così corpose, sfuggenti e cariche di sentimenti ardenti, Antonio Ligabue – con i paesaggi, i galli, le fiere e gli intensi e numerosi autoritratti – dipinge l’esperienza originaria dell’uomo; la sua arte porta in sé la visione di una forza interiore, la dimensione della memoria.
Segnato da una vita tormentata, vive un’inquietudine inesorabile, un disadattamento personale che riesce a superare solo dipingendo, una fuga dall’inferno di una realtà che non lo ha mai accolto e lui stesso non ha mai compreso, si sente escluso da una società creata dagli uomini, vive una solitudine senza appigli che riesce a scongiurare solo attraverso la pittura.
Tutto questo è raccontato perfettamente, attraverso oltre 60 opere, in un percorso cronologico curato da Francesco Negri e Francesca Villanti, in cui sono narrate le diverse tappe dell’opera dell’artista.
La mostra, prodotta da Arthemisia, è promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle politiche della cultura e del turismo, con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau PromoTurismo FVG in collaborazione con Comune di Gualtieri e Fondazione Museo Antonio Ligabue.
La mostra vede come special partner Ricola.

Dal 22 febbraio 2024, invece, aprirà al pubblico la grande mostra su Vincent Van Gogh con una selezione di oltre 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller-Müller di Otterlo, che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere dell’artista.
Prodotta da Arthemisia e promossa dal Comune di Trieste, la mostra è curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti.


Ufficio StampaArthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306 | T. +39 06 87153272 – int. 332

Venezia: “Echi del passato nei miti del presente” alla rassegna CINEMA GALLEGGIANTE – Acque Sconosciute

The Story of Nanka Gulu and Iron Hawk – Chen Zhou

Echoes of the Past in Myths of the Present

a cura di CIFRA
Cinema Galleggiante

Venezia, 4 Settembre 2023

La nuova piattaforma di arte digitale CIFRA partecipa all’edizione 2023 della rassegna culturale CINEMA GALLEGGIANTE – Acque Sconosciute a Venezia il 4 Settembre 2023

CIFRA neonata piattaforma in streaming di Arte digitale internazionale (www.cifra.com) sarà presente per la prima volta alla rassegna culturale  Cinema Galleggiante – Acque Sconosciute, che si svolge sulle acque della Laguna di Venezia dietro l’isola della Giudecca.
Dal 25 agosto al 10 settembre la manifestazione prevede  proiezioni e performance di autrici e autori internazionali e locali su un impianto scenico flottante visibile dalla propria imbarcazione o da una piattaforma galleggiante.

La quarta edizione della manifestazione che ha come sottotitolo Ripensare la città dalla Laguna, indaga l’abitare, la relazione tra l’umano e il non umano e l’impatto antropico sugli ecosistemi.

La sera del 4 Settembre p.v., il programma di CIFRA che avrà titolo Echoes of the Past in Myths of the Present prevede la proiezione di opere di cinque artisti diversi, che esplorano il terreno dell’ignoto per mettere in luce  il ruolo fondamentale dei miti nella nostra percezione del mondo. Facendo rivivere eventi storici, cercano di sondare come la coscienza umana costruisca le immagini. Le opere degli artisti aprono spiragli  verso gli aspetti enigmatici dell’esistenza, rivelando idee che ci avvicinano alla natura e ai suoi misteri

I cinque  artisti di fama internazionale sono il regista e creatore di animazioni  d’avanguardia Jan Švankmajer (Repubblica Ceca), l’artista video Angelika Markul (Francia), il performer , artista e regista Chen Zhou (Cina), il maestro del cinema e regista video d’avanguardia Basim Magdy (Egitto, Svizzera), e l’artista specializzato in film, video e installazioni multimediali Clément Cogitore (Francia).

Ogni narrazione è un universo a sé stante, con tecnologie e tecniche creative che aprono nuove porte all’espressione artistica. La proposta non mancherà di affascinare: il surrealismo si fonde con il naturalismo, il romanticismo si intreccia all’iperrealismo. Lo spettatore sarà invitato a esplorare danze arcaiche, ad incontrare moderne streghe avvolte da serpenti velenosi e a svelare significati profondi attraverso storie uniche create da ciascun artista.

Nell’opera “Darkness, Light, Darkness“, Jan Švankmajer, erede della corrente surrealista e quasi oscurata dallo stato sovietico, dà vita a un Golem che ora è diventato parte dell’immaginario collettivo. Nella visione animata di Švankmajer, il golem è un burattino plasmato interamente in argilla, una sostanza inanimata. Questo breve film racchiude in sé tutti gli elementi che caratterizzano la sensibilità surrealista: in un contesto angusto che ricorda più un appartamento dell’epoca sovietica che un laboratorio magico, l’evocativo spettro di Švankmajer dà vita al burattino Golem. Mani, gambe, occhi e orecchie fanno il loro ingresso nell’appartamento, varcando porte e finestre. Con il passare del tempo, altre parti del corpo e organi si uniscono come se fossero emersi direttamente da un tavolo di autopsie. I nostri occhi assistono all’assemblaggio armonioso di questi elementi, che infine  formano un’immagine comprensibile. Riassemblando il corpo umano, Švankmajer indaga profondamente i misteri della creazione, esplorando i concetti di nascita e morte. L’accompagnamento sonoro unico è stato curato da Brais M. Basalo.

Nel suo lavoro “Deadly Charm of Snakes”, Angelika Markul esplora le teorie di Aby Warburg, storico dell’arte del Novecento, concentrandosi sul simbolismo del serpente e la sua connessione con rituali antichi. L’opera di Markul riflette su mitologia, politica e potere femminile, utilizzando il simbolo del serpente come filo conduttore. Il film trae ispirazione da eventi reali, come il concorso “Miss Snake Charmer”, che rivela le sfumature di violenza annesse all’epoca di Trump, nonché l’abuso inflitto ai serpenti e all’ambiente naturale. Ma l’opera trae pure forza dalla potenza antica del femminile, sottolineando il richiamo all’immagine del serpente, in analogia con la dea serpente minoica.

 Inoltre, l’opera sottolinea come la nostra percezione della natura stia cambiando nell’era dell’Antropocene, in cui la vita biologica diventa una metafora della complessità umana e ambientale.

L’artista Chen Zhou adotta l’ironia come strumento di analisi delle sfide contemporanee. Nel suo lavoro “The Story of Nanka Gulu and Iron Hawk”, Zhou fonde due prospettive contrastanti: una radicata nel mondo mitologico e l’altra nell’ambito tecnologico. Il protagonista principale, Nanka Gulu, si imbatte in un drone fuggito da una fabbrica. Lo battezza “Diemo”, termine che significa ” iniziale consapevolezza”. In uno stile che richiama lo slow cinema cinema lento, l’artista crea un’opera minimalista. Zhou illustra come la modernità possa risultare intricata, ma suggerisce altresì che stabilire un legame con l’ambiente circostante possa costituire una guida per ritrovare la via. Tale processo di connessione consente perfino al drone di fondersi con la natura, ponendoci la domanda: possiamo affermare di essere noi, esseri umani, parte integrante di essa?

L’artista Basim Magdy bilancia con abilità serietà e ironia della vita. Nell’opera “Time Laughs Back at You Like a Sunken Ship“, Magdy trasporta il pubblico in un universo di sogni e ricordi utilizzando un dispositivo speciale, quasi un “occhio guida”, per esplorare il mondo circostante e il suo stesso essere. I ricordi prendono forma nell’opera come oasi illusorie avvolte da una sottile nebbia. La vita si mescola a un mondo onirico, in cui palme danzano in una foschia rossa e piccole imbarcazioni si dissolvono nell’orizzonte al tramonto. Questi elementi creano un contrasto suggestivo con i rilievi storici e le rovine di pietra, formando uno scenario in cui i ricordi sbiaditi contrastano con i frammenti tangibili che resistono all’erosione del tempo.

Magdy esplora il mondo attraverso una sorta di “cinema personale” con lenti ad occhi e superfici riflettenti, sperimentando una sorta di dialogo interiore. Ci uniamo a lui in un vortice di ricordi sfumati, catturati su pellicola 8 mm e proiettati in modo intermittente, graffiati in un modo che ricorda lo stile di Stan Brakhage. Questa rappresentazione rende le immagini del passato particolarmente cariche di significato.

La colonna sonora mistica, curata dall’artista stesso, gioca con suoni crepitanti per incarnare la fugacità dei ricordi. Il film si conclude con una sequenza in cui i ricordi si annebbiano sotto la pioggia, e il protagonista è immerso nell’oscurità, creando un climax emotivo coinvolgente.

Clément Cogitore unisce elementi arcaici e contemporanei  in un’affascinante convergenza. La sua esplorazione della memoria collettiva, dei rituali e della conoscenza spirituale apre le porte a un mondo di idee mistiche, in cui l’arte e la spiritualità superano i confini della scienza. . Attraverso collaborazioni multidisciplinari con diversi esperti,, Cogitore dà vita alle sue opere profonde e ricche di significato. Un esempio di questa sinergia creativa è “Morgestraich”, dove l’artista getta uno sguardo sulla storica processione del Carnevale di Basilea, una tradizione che perdura da oltre cinquant’anni. Attraverso questa opera, Cogitore illumina la connessione tra la storia e l’esperienza personale. Nell’oscurità avvolgente, un gruppo di musicisti avanza, accompagnato dai suoni avvolgenti di flauti e tamburi. Le lanterne posizionate sulle loro teste delineano il percorso, invitando lo spettatore a immergersi nel passaggio dal rigore dell’inverno alla vitalità primaverile, dalla vita alla morte Cogitore, con la sua visione unica e multidisciplinare, continua a sfidare le frontiere dell’arte contemporanea, scavando nelle profondità del passato e del presente creando opere che congiungono passato e presente in un richiamo universale all’umanità.

CIFRA (www.cifra.com) nuova e innovativa piattaforma in streaming di Arte digitale internazionale ove l’Arte si fonde con la Tecnologia, offrendo un palcoscenico unico per artisti, curatori e istituzioni interessati a preservare e presentare le preziose raccolte di media art a livello internazionale. Dopo Cinema Galleggiante, CIFRA sarà presente a Ars Electronica a Linz (Aut)


 
Prenotazioni dal sito www.cinemagalleggiante.it  Programma completo QUI
Apertura ore 18:00 – Imbarco ore 19:10 – Inizio programmazione ore 19:40
 
CONTATTI
 CIFRA.com
 
Ufficio stampa
Cristina Gatti
press@cristinagatti.it
 
Art producer
Anastasia Kozachenko-Stravinsky
a.stravinsky@cifra.com

9- Edmondo De Amicis, Costantinopoli: La vita a Costantinopoli – La cucina

9- La vita a Costantinopoli – La cucina

INDICE

L ’arrivo
Cinque ore dopo
Il ponte
Stambul
All’albergo
Costantinopoli
Galata
Il Gran Bazar
La vita a Costantinopoli
Santa Sofia
Dolma Bagcè
Le Turche
Ianghen Var
Le mura
L’antico Serraglio
Gli ultimi giorni
I Turchi
Il Bosforo

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Volendo fare un po’ di studio anche della cucina turca, mi feci condurre dai miei buoni amici di Pera in una trattoria ad hoc, dove si trova qualunque piatto orientale, dalle più squisite ghiottornie del Serraglio fino alla carne di cammello acconciata all’araba e alla carne di cavallo condita alla turcomanna. L’amico Santoro ordinò un desinare rigorosamente turco dall’antipasto alle frutta, ed io, incoraggiandomi col pensiero dei molti uomini egregi morti per la scienza, mandai giù un po’ di tutto senza emettere un grido. Ci furono serviti più d’una ventina di piatti. I Turchi, come gli altri popoli orientali, sono un po’ in questo come i ragazzi: al satollarsi di poche cose, preferiscono il beccare un tantino di moltissime; pastori d’ieri l’altro, poiché son diventati cittadini, pare che disdegnino la semplicità del mangiare come una pitoccheria da villani. Non potrei rendere un conto esatto di tutte le pietanze poiché di molte non m’è rimasta che una vaga reminiscenza sinistra. Ricordo il Rebab, che è composto di piccolissimi pezzetti di montone arrostiti a fuoco vivo, conditi con molto pepe e molto garofano, e serviti su due biscotti molli e grassi: piatto indicabile per i reati leggieri. Risento ancora qualche volta il sapore del pilav, composto di riso e di montone, ch’è il sine qua non di tutti i desinari, e per così dire il piatto sacramentale dei turchi, come i maccheroni per i napoletani, il cuscussù per gli arabi e il puchero per gli Spagnoli. Ricordo, ed è la sola cosa che ricordi con desiderio, il Rosh’ab, che si beve col cucchiaio in fin di tavola: fatto d’uva secca, di pomi, di prune, di ciliegie e d’altre frutta, cotte nell’acqua con molto zucchero, e aggraziate con essenza di muschio o con acqua di rosa e di cedro. C’erano poi molti altri piattini di carne d’agnello e di montone, ridotta in bricioli e bollita tanto che non aveva quasi più sapore; dei pesci natanti nell’olio, delle pallottoline di riso ravvolte in foglie di vite, della zucca giulebbata, delle insalatine impastate, delle composte, delle conserve, degl’intingoli conditi con ogni sorta di erbe aromatiche, da poterne notar uno in coda ad ogni articolo del Codice penale, per i delinquenti recidivi. Infine, un gran piatto di dolci, capolavoro di qualche pasticciere arabo, fra cui v’era un piccolo piroscafo, un leoncino chimerico e una casettina di zucchero colle sue finestrine ingraticolate. Tutto sommato, mi parve d’essermi vuotata in corpo una farmacia portatile, e d’aver veduto uno di quei desinaretti che preparano per spasso i ragazzi, coprendo una tavola di piattini pieni di mattone trito, d’erba pesta e di frutti spiaccicati, che facciano un bel vedere di lontano. Tutti quei piatti vengono serviti rapidamente a quattro o cinque alla volta, e i turchi vi pescano colle dita, non essendo in uso fra loro altro che il coltello e il cucchiaio; e serve per tutti una sola coppa, nella quale un servitore versa continuamente acqua concia. Così non facevano però i turchi che desinavano vicino a noi nella trattoria. Eran turchi amanti dei propri comodi, tanto è vero che tenevano le babbucce sulla tavola; avevano ciascuno il loro piatto, si servivano bravamente della forchetta, e trincavano liquore a tutto spiano, in barba a Maometto. Osservai di più che non baciarono il pane, da buoni musulmani, prima di cominciare a mangiare, e che non si peritavano a slanciare tratto tratto un’occhiata concupiscente alle nostre bottiglie, quantunque, giusta le sentenze dei muftì, sia peccato anche il fissar gli occhi sopra una bottiglia di vino. Del resto questo «padre delle abbominazioni», del quale basta una goccia a far cadere sul capo del musulmano «gli anatemi di tutti gli angeli del cielo e della terra» va di giorno in giorno guadagnando devoti fra i turchi, e ormai si può dire che è un resto di rispetto umano quello che li trattiene dal rendergli un pubblico omaggio; e io credo che se un giorno scendesse tutt’a un tratto sopra Costantinopoli una tenebra fitta, e dopo un’ora tornasse a splendere il sole improvvisamente, si sorprenderebbero cinquantamila turchi colla bottiglia alla bocca. E anche in questo, come in molti altri traviamenti degli Osmanli, furono la pietra dello scandalo i Sultani; ed è curioso che sia appunto la dinastia regnante sopra un popolo per il quale è un’offesa a Dio il bever vino, quella che forse, fra tutte le dinastie d’Europa, ha dato da registrare alla storia un maggior numero d’ubbriaconi: tanto è parso dolce il frutto proibito anche alle ombre di Dio sulla terra. Fu, si dice, Baiazet I quello che iniziò la serie interminabile delle cotte imperiali, e come nel peccato originale, fu anche in questo prima colpevole la donna: la moglie dello stesso Baiazet, figlia del re dei Serbi, che offerse al marito il primo bicchiere di Tokai. Poi Baiazet II s’ubbriacò di vin di Cipro e di vin di Schiraz. Poi quel medesimo Solimano I, che fece bruciare nel porto di Costantinopoli tutti i bastimenti carichi di vino e versar piombo liquefatto in bocca ai bevitori, morì brillo per mano d’un arciere. Poi venne Selim II, soprannominato il messth, l’ubbriaco, il quale pigliava delle bertucce che duravano tre giorni, e durante il suo regno trincarono pubblicamente uomini di legge e uomini di religione. Invano Maometto III tuona contro «l’abbominazione suggerita dal demonio»; invano Ahmed I fa distruggere tutte le taverne e sfondare tutti i tini di Stambul; invano Murad IV gira per la città accompagnato dal carnefice, e fa cader la testa di chi ha il fiato vinoso. Egli stesso, l’ipocrita feroce, barcolla per le sale del serraglio come un bettolante plebeo; e dopo di lui la bottiglia, piccolo e festoso folletto nero, irrompe nei serragli, si caccia nelle botteghe dei bazar, si nasconde sotto il capezzale dei soldati, ficca la sua testa inargentata o purpurea sotto il divano delle belle, e violata la soglia delle moschee, spruzza le sue spume sacrileghe sulle pagine ingiallite del Corano.

Il capitolo è composto da 24 ritratti della città


Edmondo De Amicis
Leggi su Wikipedia

Edizione elettronica tratta da Liber Liber

Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877

Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it

Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it

Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.

De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali.  Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.

Il Grande Bazar d’Istanbul in un disegno di Cesare Biseo tratto dall’edizione del 1882

L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.