Roma (Pigneto), Spazio Urano: “Quel che resta”, personale di Mauro Romano

Tre opere di Mauro Romano, da sinistra:
Quel che resta, dopo un bombardamento, olio su tela e cementite, 90×120, 2023
Quel che resta, dopo un litigio, olio su tela e cementite, 80×120, 2023
Quel che resta, dopo un naufragio, olio su tela e cementite, 90×120, 2023

Quel che resta
Personale di
Mauro Romano

A cura di Simona Pandolfi

9 – 19 settembre 2023

Inaugurazione 9 settembre 2023, ore 18.30

Spazio Urano, via Sampiero di Bastelica 12 – Roma (Pigneto)

Dopo la chiusura estiva, l’attività espositiva di Spazio Urano riprende con la personale di Mauro Romano, pittore e fotografo romano.
In mostra la serie pittorica “Quel che resta”, in cui l’artista cerca una maggiore relazione emozionale tra le proprie impressioni e la superficie pittorica. Come in una sorta di diario personale, le tele diventano “finestre” sull’attimo dopo qualcosa di significativo, che si fa traccia di un sentire energico e al tempo stesso evanescente: quel che resta dopo un litigio, dopo un ballo, dopo una fuga, dopo un naufragio, etc.

In questo meccanismo ideativo, l’artista è inconsapevolmente influenzato dalla sua attività di fotografo, professione che si imbatte quotidianamente con lo spectrum dell’immagine, per usare un termine caro a Roland Barthes. Come dichiara lo stesso Romano, ogni opera della serie vuole infatti raccogliere «il “fotogramma” di quel momento in cui il movimento e i turbamenti sono e stanno per finire ma al tempo stesso indicano una rinascita».

Le composizioni della serie, in prevalenza astratte, sono caratterizzate da un’istintiva stesura della pittura ad olio e dalla presenza, sempre in alto a destra, di grandi forme-colore irregolari, luminose e di colore bianco, dietro alle quali si intravedono ancora residui figurativi dell’immagine reale.

Mauro Romano – Breve biografia

Mauro Romano nasce a Roma nel 1977. Diplomatosi in graphic design presso l’Istituto Federico Cesi di Roma nel 1999. Manifesta da sempre propensione per le arti visive, la sua ricerca artistica spazia tra disegno, pittura, fumetto, fotografia, computer grafica. Vive e lavora a Roma, il suo studio si trova presso City Lab 971 in via Salaria 971.


Informazioni
La mostra sarà visitabile fino al 19 settembre 2023
Visitabile su appuntamento: tel 3290932851 e-mail info@spaziourano.com 

Bologna, MAMbo, Foyer: Giovanni Zaffagnini. I libri e il fango nella Romagna allagata

I libri e il fango

Giovanni Zaffagnini
I libri e il fango nella Romagna allagata
8 agosto – 24 settembre 2023

MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna | Foyer

Via Don Minzoni 14, Bologna

www.mambo-bologna.org

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna è lieto di ospitare negli spazi del foyer la mostra I libri e il fango nella Romagna allagata, visibile dall’8 agosto al 24 settembre 2023, nella quale 22 fotografie scattate da Giovanni Zaffagnini raccontano l’impatto devastante della recente alluvione in Romagna sui libri. Accartocciati, gonfi, resi illeggibili, ricoperti di fango, i volumi messi a disposizione per le foto dalla Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza, dalla Biblioteca Comunale Fabrizio Trisi di Lugo e dalla Libreria Alfabeta di Lugo, ci mostrano al contempo fragilità e resilienza.

Dalle immagini, nel corso della mostra, sarà realizzata una pubblicazione catalogo edita da Danilo Montanari Editore, con prefazione di Marco Sangiorgi. Il ricavato dalla vendita del libro e delle fotografie sarà devoluto alle biblioteche danneggiate dall’alluvione del maggio 2023 in Romagna.

I libri e il fango

Su questi “ritratti” di libri infangati Giovanni Zaffagnini spiega: “Archiviati i momenti riservati alla cronaca in diretta, si avverte l’esigenza di  un approccio diverso, meno frenetico, più riflessivo. Ritratti di libri sopraffatti dal fango, nella morsa di un’agonia lenta e implacabile. Lo sfondo neutro delle immagini non contempla alcun contesto e indica senza indugi  il soggetto prescelto; «quasi abbozzo di scultura» scrive Marco Sangiorgi nella prefazione del volume. Chi gestisce la raccolta dei rifiuti ci informa sul destino riservato ai libri alluvionati: finiranno triturati e macinati nell’ambito del programma di riciclo. Nuova vita dunque? torneranno libro? o saranno “retrocessi” a carta da pacchi o altro? Queste immagini potrebbero essere le ultime foto-ricordo di libri ancora tali sebbene deformati e sporchi. Il pensiero mi accompagna fin dal primo scatto; chi ama leggere su carta capirà”.     

I libri e il fango

Giovanni Zaffagnini – Note biografiche

Giovanni Zaffagnini vive e lavora a Fusignano (Ravenna).
Dalle ricerche etnografiche concluse nel corso degli anni ottanta, è passato a una fotografia rivolta prevalentemente ai linguaggi e alla sperimentazione, spesso legata ad altre forme di espressione.
Nel 1986, su progetto di Gianni Celati, è stato fra i curatori della mostra itinerante e del volume Traversate del deserto (Ravenna, Essegi Editore); nel 2016 ha curato la mostra e il volume Abitare il deserto (Ravenna, Osservatorio fotografico).
Ha esposto i suoi lavori in mostre personali e collettive in Italia e all’estero.
Ha pubblicato monografie con vari editori fra i quali: Charta, Silvana Editoriale, Danilo Montanari, Editrice Quinlan, Pequod Edizioni.
I suoi lavori fanno parte delle collezioni di: Bibliothèque Nationale de France, Paris; Canadian Centre for Architecture, Montreal; Galleria Civica, Modena; Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, Bologna; Archivio Italo Zannier, Venezia; Fondo etno-fotografico G. Zaffagnini, Biblioteca Malatestiana, Cesena.
www.giovannizaffagnini.it


Informazioni generali
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don Minzoni 14 | 40121 Bologna
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9- Edmondo De Amicis, Costantinopoli: La vita a Costantinopoli – I Greci

9- La vita a Costantinopoli – I Greci

INDICE

L ’arrivo
Cinque ore dopo
Il ponte
Stambul
All’albergo
Costantinopoli
Galata
Il Gran Bazar
La vita a Costantinopoli
Santa Sofia
Dolma Bagcè
Le Turche
Ianghen Var
Le mura
L’antico Serraglio
Gli ultimi giorni
I Turchi
Il Bosforo

20


Quanto è difficile riconoscere a occhio l’armeno, altrettanto è facile riconoscere il greco, anche non badando al vestire; tanto egli è diverso di natura e d’aspetto dagli altri sudditi dell’Impero, e principalmente dal turco. Per rendersi ragione di questa diversità, o piuttosto di questo contrasto, basta osservare un turco ed un greco, che si trovino seduti l’uno accanto all’altro in un caffè o in un piroscafo. Hanno un bell’essere pressappoco della stessa età e dello stesso ceto, e vestiti tutt’e due all’europea, ed anche somiglianti di viso; non è possibile sbagliare. Il turco è immobile, e tutti i suoi lineamenti riposano in una specie di quiete senza pensiero, che somiglia a quella d’un animale satollo; o se il suo viso rivela un pensiero, pare che debba essere un pensiero immobile come il suo corpo. Non guarda nessuno, non dà segno d’accorgersi d’esser guardato; il suo atteggiamento mostra una profonda noncuranza di tutti coloro e di tutto quello che ha intorno; il suo viso esprime qualcosa della tristezza rassegnata d’uno schiavo e dell’orgoglio freddo d’un despota; un che di duro, di chiuso, di cocciuto, da far disperare alla prima chi si proponesse di persuaderlo di qualche cosa o di rimuoverlo di una risoluzione. Ha, insomma, l’aspetto d’uno di quegli uomini tutti d’un pezzo, coi quali pare che non si possa vivere altrimenti che obbedendoli o comandandoli; e che per quanto tempo ci si viva insieme, non si debba mai poterci prendere una famigliarità intera. Il greco invece è mobilissimo, e rivela con mille sfuggevoli guizzi dello sguardo e delle labbra tutto quello che gli passa nell’anima; scuote la testa con movimenti di cavallo indomito; il suo volto esprime un’alterezza giovanile, e qualche volta quasi fanciullesca; se si vede guardato, s’atteggia; se non è guardato, si mette in mostra; par sempre che desideri o che fantastichi qualche cosa; spira da tutta la persona l’accorgimento e l’ambizione; e inspira simpatia, anche se ha la faccia d’un cattivo soggetto, e gli si darebbe la mano anche quando non si vorrebbe affidargli la borsa. Basta veder vicini questi due uomini, per capire che l’uno deve parere all’altro un barbaro, un orgoglioso, un prepotente, un brutale; che questi deve giudicar quello un uomo leggiero, falso, maligno, turbolento; e che debbono disprezzarsi e detestarsi reciprocamente con tutte le forze dell’anima; e non trovar la via di vivere d’accordo. La stessa differenza si osserva tra le donne greche e le altre donne levantine. In mezzo alle turche e alle armene belle e floride, ma che toccano quasi più i sensi di quello che parlino all’anima, si riconoscono alla prima, con un sentimento di grata meraviglia, i visi eleganti e puri delle greche, illuminati da due occhi pieni di pensiero, dei quali ogni sguardo fa venir sulle labbra il verso d’un ode; e i bei corpi maestosi insieme e leggeri, che ispirano il desiderio di stringerli fra le braccia, piuttosto per metterli sopra un piedestallo, che per portarli nell’arem. Se ne vedono di quelle che portano ancora i capelli cadenti, all’antica, in lunghe ciocche ondulate, e una grossa treccia ravvolta intorno alla testa in forma di diadema; così belle, così nobili, così classiche, che si piglierebbero per statue di Prassitele e di Lisippo, o per giovanette immortali ritrovate dopo venti secoli in qualche valle ignorata della Laconia o in qualche isoletta dimenticata dell’Egeo. Sono però rarissime queste bellezze sovrane anche tra le greche, e oramai non se ne trova più esempio che fra la vecchia aristocrazia dell’impero, nel quartiere silenzioso e triste del Fanar, dove s’è rifugiata l’anima dell’antica Bisanzio. Là si vede ancora qualche volta una di quelle donne superbe affacciata a un balcone a balaustri, o all’inferriata d’una finestra altissima, cogli occhi fissi nella strada solitaria, nell’atteggiamento d’una regina prigioniera; e quando il servidorame dei discendenti dei Paleologhi e dei Comneni, non sta oziando dinanzi alle porte, si può, contemplandola di nascosto, credere per un momento di veder per lo squarcio d’una nuvola il viso d’una dea dell’Olimpo.

Il capitolo è composto da 24 ritratti della città


Edmondo De Amicis
Leggi su Wikipedia

Edizione elettronica tratta da Liber Liber

Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877

Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it

Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it

Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.

De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali.  Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.

Il Grande Bazar d’Istanbul in un disegno di Cesare Biseo tratto dall’edizione del 1882

L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.