9- Edmondo De Amicis, Costantinopoli: La vita a Costantinopoli – Gli Ebrei

9- La vita a Costantinopoli – Gli Ebrei

INDICE

L ’arrivo
Cinque ore dopo
Il ponte
Stambul
All’albergo
Costantinopoli
Galata
Il Gran Bazar
La vita a Costantinopoli
Santa Sofia
Dolma Bagcè
Le Turche
Ianghen Var
Le mura
L’antico Serraglio
Gli ultimi giorni
I Turchi
Il Bosforo

21


Riguardo alle ebree, posso affermare, dopo esser stato nel Marocco, che quelle di Costantinopoli non hanno che fare con quelle della costa settentrionale dell’Africa, nelle quali i dotti osservatori credono di vedere ancora in tutta la sua purezza il primo tipo orientale della bellezza ebraica. Colla speranza di trovare questa bellezza, mi armai di coraggio, e feci molti giri per il vasto ghetto di Balata, che s’allunga, come un serpente immondo, sulla riva del Corno d’oro. Mi spinsi fin nei vicoli più miserabili, in mezzo a casupole «grommate di muffa» come le ripe della bolgia dantesca, per crocicchi dove non ripasserei più che sui trampoli e colle narici turate; guardando per le finestre tappezzate di cenci nauseabondi, nelle stanze nere e viscose; soffermandomi dinanzi alle porte dei cortili umidi da cui usciva un tanfo da mozzare il fiato, facendomi largo in mezzo a gruppi di ragazzi scrofolosi e tignosi, toccando col gomito dei vecchi orrendi, che parevano morti di peste risuscitati; scansando a ogni passo cani coperti di piaghe e laghi di mota nera e panni schifosi appesi a corde bisunte, e mucchi di putridumi da far cadere in deliquio; ma il mio coraggio non fu ricompensato. Fra le molte donne che incontrai imbacuccate nel loro calpak nazionale, che sembra un turbante allungato e copre i capelli e le orecchie, vidi bensì qualche viso in cui riconobbi quella regolarità delicata di lineamenti e quell’aria soave di rassegnazione, che si considera come il tratto distintivo delle ebree di Costantinopoli; vidi qualche vago profilo di Rebecca e di Rachele, dagli occhi a mandorla, pieni di dolcezza e di grazia; e qualche figura elegante, ritta in un atteggiamento raffaellesco sulla soglia d’una porta, con una mano sottile appoggiata sul capo ricciuto d’un bimbo. Ma nella maggior parte non vidi che i segni della degradazione della razza. Che differenza tra quelle figure stentite, e gli occhi di fuoco, i colori pomposi e le forme opulente che ammirai un anno dopo nei mellà di Tangeri e di Fez! Ed è lo stesso degli uomini, spersoniti, giallognoli, molli, di cui tutta la vitalità pare che si sia raccolta negli occhi scintillanti d’astuzia e di cupidigia, che essi girano continuamente intorno a sè stessi, come se da tutte le parti sentissero saltellare delle monete. Ed ora m’aspetto che i miei buoni critici israeliti, che già mi diedero sulle dita a proposito dei loro correligionari del Marocco, ricantino la stessa canzone, scrivendo a colpa dei turchi oppressori la decadenza e l’avvilimento degli ebrei di Costantinopoli. Ma badino che nelle medesime condizioni politiche e civili degli ebrei si trovarono tutti gli altri sudditi non musulmani della Porta; e che se anche questo non fosse, sarebbe assai difficile il provare che la vergognosa immondizia, la precocità dei matrimoni e l’astensione da tutti i mestieri faticosi, considerate come cause efficacissime di quella decadenza, siano una conseguenza logica della mancanza di libertà e d’indipendenza. E se mi vorranno dire invece, che non l’oppressione politica dei turchi, ma le piccole persecuzioni e il disprezzo di tutti, sono stati la cagione di quell’avvilimento, domandino prima a sè stessi se per caso non fosse vero il contrario; se la prima cagione non sia piuttosto da ricercarsi nei loro costumi e nella loro vita; e se invece di nasconder la piaga, non sarebbe utile che essi medesimi la toccassero col ferro rovente.

Il capitolo è composto da 24 ritratti della città


Edmondo De Amicis
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Edizione elettronica tratta da Liber Liber

Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877

Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it

Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it

Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.

De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali.  Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.

Il Grande Bazar d’Istanbul in un disegno di Cesare Biseo tratto dall’edizione del 1882

L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.

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