Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria: Un mare tutto fresco di colore. Sandro Penna e le arti figurative

Mario Mafai, Dopopioggia, 1945, olio su tela, Archivio e collezione Sandro Penna

PERUGIA

ALLA GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA

DAL 6 OTTOBRE 2023 AL 14 GENNAIO 2024

UNA MOSTRA CELEBRA
SANDRO PENNA

L’esposizione, dal titolo Un mare tutto fresco di colore. Sandro Penna e le arti figurative, presenta 150 opere di autori quali Pablo Picasso, Jean Cocteau, Filippo De Pisis, Mario Mafai, Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli e altri. Già nella sua casa romana, gettano una luce del tutto inedita sui rapporti col mondo dell’arte di uno dei poeti più sensibili e profondi dell’intero Novecento italiano.

A cura di Roberto Deidier, Tommaso Mozzati, Carla Scagliosi

Dopo la grande mostra dedicata al Perugino a 500 anni dalla sua scomparsa, Perugia celebra un altro suo importante concittadino: il poeta Sandro Penna (1906-1977), una delle voci più sensibili e profonde del Novecento, non solo italiano, come dimostrano le numerose e continue traduzioni dei suoi versi.

La Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia ospita dal 6 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024 la mostra Un mare tutto fresco di colore. Sandro Penna e le arti figurative, che indaga il rapporto di Penna con il mondo dell’arte, mettendo a fuoco i gusti e le tendenze diffusi sulla scena culturale fra gli anni quaranta e gli anni settanta, della quale il poeta fu un assoluto protagonista, al pari di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia ed Elsa Morante, suoi amici e colleghi.

L’esposizione, curata da Roberto Deidier, Tommaso Mozzati e Carla Scagliosi, presenta 150 opere di autori quali Pablo Picasso, Jean Cocteau, Alexander Calder e altri, tra cui gli artisti coi quali Sandro Penna instaurò uno stretto rapporto di amicizia e una frequentazione quotidiana: da Filippo De Pisis a Mario Mafai, daTano Festa a Mario Schifano, e Franco Angeli, ovvero dalla scuola romana ai giovani di Piazza del Popolo.

Sandro Penna nella sua casa di via Mole de’ Fiorentini

La rassegna, per la prima volta, offrirà al visitatore l’occasione di ammirare un vasto nucleo, recentemente identificato, di opere provenienti dalla casa del poeta, in via Mole de’ Fiorentini a Roma dove, oltre a intrattenersi con pittori, scultori, galleristi e letterati, Penna svolgeva la sua attività di mercante d’arte.

Il percorso si completa con un’accurata scelta di autografi, diari e lettere, indispensabile, assieme alle prime edizioni e ai materiali audiovisivi, per far luce sulle passioni dello scrittore, attraverso il colto dialogo fra immagine e parola scritta.

Proprio questo dialogo, del resto, ha suggerito alla letteratura critica un parallelo fra la sua opera letteraria e il mestiere di pittore, commentando la sintonia intima, cifrata, intessuta dai suoi versi con le espressioni plastiche coeve.

In particolare, il critico letterario Cesare Garboli fu il primo a sottolineare quanto Penna solesse trattare le proprie poesie “come fossero dei quadri”. E altri, da Luciano Anceschi a Carlo Levi, da Dario Bellezza a Elio Pecora, hanno intravisto nella sua lirica gli echi più svariati, da Matisse a Watteau, da Scipione a Rosai, passando naturalmente per il Perugino e i suoi paesaggi chiari ed evocativi, pieni d’aria e d’azzurro.

Catalogo Magonza


Un mare tutto fresco di colore. Sandro Penna e le arti figurative
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19)
6 ottobre 2023 – 14 gennaio 2024
 
Orari:
Dal 6 al-31 ottobre
Lunedì ore 12.00 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)                                                                                            
Martedì -domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
Dal 1 novembre a 14 gennaio 2024
Lunedì chiuso
Martedì -domenica 8.30 – 19.30 (ultimo accesso 18.30)
 
 
Biglietti: La visita alla mostra è compresa nel biglietto di ingresso al museo.  Intero € 10; ridotto € 2 – 18-25 anni; gratuito fino a 18 anni
 
Informazioni: Tel. 075.58668436; gan-umb@cultura.gov.it
 
Sito internet:    www.gallerianazionaledellumbria.it
 
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Castello di Rivoli: Un incontro del XXI secolo tra artisti, scienziati e filosofi

Da sinistra: Paola Antonelli, designer, architetto e curatrice
Stefano Buono, fisico nucleare e cofondatore di newcleo
Carolyn Christov-Bakargiev, storica dell’arte, Direttore Castello di Rivoli

Culture dell’energia. Energie, immaginari, valute e orizzonti nucleari del pianeta.

Un incontro del XXI secolo tra artisti, scienziati e filosofi.

Il convegno è a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, Direttore del Castello di Rivoli, e Agnieszka Kurant, artista
Coordinamento Giulia Colletti

 
Sabato 23 settembre 2023
La prime due sessioni, dalle ore 10.00 alle 12.00 e dalle ore 14.00 alle 16.00, sono aperte al pubblico e si svolgono nel Teatro del Castello di Rivoli.

Saranno trasmesse in live streaming sul canale ufficiale YouTube del Museo.
La terza sessione, dalle ore 17.00 alle 19.00, è un incontro a porte chiuse presso newcleo, Torino

La questione dell’energia è tra le più vitali per il futuro dell’umanità e per il fiorire multispecie della vita umana e non umana sulla Terra. Il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presenta un convegno multidisciplinare di arte, scienza e filosofia dal titolo Culture dell’energia. Energie, immaginari, valute e orizzonti nucleari del pianeta che affronta le contraddizioni e tenta di liberare le proprietà dirompenti e trasformative dell’energia che attraversa, senza soluzione di continuità, opere d’arte e innovazioni scientifiche. Nel tentativo di esplorare potenziali scenari di coevoluzione energetica tra specie differenti, il convegno indaga la materia vivente a partire dai suoi atomi, dal loro intreccio, dalla loro comunicazione e interazione, tentando di mettere in questione i postulati statici e convenzionali sull’energia. Il convegno, che si tiene il 23 settembre, riunisce artisti, scrittori, scienziati, filosofi e architetti per due sessioni aperte al pubblico nel Teatro del Museo. Nel tardo pomeriggio, quest’ultimi continueranno le loro discussioni in una sessione di incontro a porte chiuse presso newcleo, start up con sede a Torino che promuove un approccio all’energia nucleare innovativo ed ecologico.

“newcleo sostiene e co-ospita questo evento con il Castello di Rivoli”, afferma il direttore Carolyn Christov-Bakargiev, “e lo dico in piena trasparenza: i partecipanti non sono tutti sostenitori dell’energia nucleare come parte integrante del nostro futuro; alcuni di loro sono molto scettici. Con questa conferenza scettici ed entusiasti potranno confrontarsi, producendo una reazione chimica in grado di rilasciare forme inaspettate di energia cognitiva”.

L’energia ha modellato la vita sulla Terra, le civiltà e le società nel corso della Storia, dalla conversione fotosintetica dell’energia solare in biomassa, passando per la combustione fossile, per le centrali idroelettriche, fino all’uso dell’energia atomica dalla metà del XX secolo attraverso la fissione nucleare – processo mediante il quale i neutroni rilasciati dagli atomi fanno bollire l’acqua utilizzata per generare elettricità nelle turbine. L’ambito energetico è stato sempre oggetto di indagine umana nel Nord e nel Sud del mondo e nei mondi indigeni. Il termine greco ἐνέργεια (energeia), adottato per la prima volta da Aristotele, deriva dall’uso precedente del termine ἔργον (ergon) che significa “attivo, operante”, preceduto da en- che significa “a” o “verso”. Fu usato per la prima volta da Eraclito e dai presocratici per connotare il fuoco come fonte primaria di azione. Nella sua Fisica, Eraclito considerava Energon il creatore di tutta la vita su Gaia.

L’energia è una valuta universale, prodotta da un vortice di forze animali, vegetali e fisiche. Tuttavia, le attuali forme di produzione e consumo umano di energia stanno portando alla distruzione del mondo. L’energia pulita è la base su cui dovrebbe poggiare il nostro futuro, ma l’elettricità dipende ancora da batterie e forme di stoccaggio altamente inquinanti. Come far fronte alla conservazione di energia? Che dire dell’eccesso di energia non sfruttata, che si accumula sotto forma di calore nel nostro pianeta? Come trasmetterla o farla diventare forma di vita per altri esseri? Nell’immaginare forme di stoccaggio energetico su vasta scala, essenziali per i nostri dispositivi tecnologici, si potrebbe prendere ispirazione dal comportamento delle piante “iperaccumulatrici” o da pratiche come l’agromining e il phytomining, in grado di ridurre i gas serra e l’inquinamento idrico, sottoprodotti dell’estrazione di minerali. Come suggerito dal filosofo Emanuele Coccia, quello che sembra avvenire oggi è un ripensamento dei paradigmi energetici: dalla termodinamica classica – per la quale la posta in gioco è il mantenimento di un equilibrio – alla alchimia – dove ogni essere vivente e non vivente è potenzialmente in grado di immagazzinare, rilasciare e moltiplicare l’energia ricevuta. L’economia energetica contemporanea potrebbe anche essere descritta nei termini di una forma di cibernetica totalizzante. Quest’ultima è basata su scambi perpetui di energia umana che, estratta come fosse petrolio o gas da ogni attività cognitiva e digitale attraverso funzioni algoritmiche, è diventata ormai una valuta finanziaria.

“L’attuale abbandono delle energie dei combustibili fossili e la loro graduale sostituzione con le energie rinnovabili”, afferma l’artista Agnieszka Kurant, “sembra coincidere con la smaterializzazione del denaro e la sua parziale sostituzione con le valute digitali, la cui produzione dipende principalmente dall’energia. L’estrazione tradizionale di combustibili fossili e minerali è attualmente accompagnata dall’estrazione di criptovalute, non a caso definite nuove forme di “gas”. Ciò che è essenziale nella produzione di una criptovaluta, ovvero una valuta digitale generata attraverso computer che risolvono problemi matematici, è l’energia che alimenta i server. Il lavoro umano è ancora indispensabile ed è svolto da lavoratori sfruttati nelle miniere, costretti a estrarre i rari metalli della Terra che alimentano i computer. A causa della sua dipendenza dall’energia, la produzione di capitale attraverso l’estrazione di criptovalute è diventata una corsa alle fonti più economiche per alimentare le cosiddette digital farm. Tale produzione di capitale estrattivista ad alta intensità energetica cui assistiamo nel Nord globale ha ripercussioni ambientali nei Paesi del Sud globale”.

La corsa incessante all’estrazione dell’ultima goccia di energia da ogni essere vivente e non vivente ha prodotto nuove forme di schiavitù. Poiché la crisi climatica globale costringe a decarbonizzare e ad affrancarsi dai combustibili fossili, quali possono essere le soluzioni energetiche pulite per mitigare la crisi climatica? Sebbene la produzione e l’uso di energia solare, eolica e idrica sia aumentata negli ultimi decenni, queste forme di energia sostenibile non sembrano essere da sole sufficienti. Recenti ricerche puntano, controintuitivamente, a nuove forme di energia nucleare prodotte utilizzando scorie nucleari come combustibile. I ricercatori del settore sostengono che la fissione nucleare potrebbe co-sostenere il futuro dei sistemi di energia pulita a livello globale. Tuttavia, anche se l’energia nucleare ha statisticamente un impatto inferiore sull’ambiente rispetto ai combustibili fossili, la paura di incidenti nucleari è ancora viva nel dibattito internazionale scientifico, umanistico e artistico. Può quest’ultima essere causata dall’associazione dell’energia nucleare ai danni provocati dai test militari, che hanno devastato ambiente e comunità in luoghi in cui gli esperimenti atomici sono stati più frequenti a partire dagli anni cinquanta?

La memoria storica di queste attività militari si trova attualmente a fare i conti con la concreta possibilità che la transizione nucleare sia un’opzione energetica circolare, controllata e perseguibile contro il collasso climatico. Avvalorano questa ipotesi le più recenti tecnologie dei reattori di nuova generazione e le ricerche su combustibili a base di rifiuti radioattivi (plutonio e uranio impoverito), che riutilizzano non solo gli scarti prodotti dagli stessi reattori, ma anche quelli di altri reattori non di quarta generazione.

“Settant’anni di esperienza nel funzionamento dei reattori nucleari” afferma Stefano Buono, fondatore di newcleo, “hanno dimostrato che è persino possibile utilizzare le scorie nucleari radioattive già esistenti da combustibili nucleari dismessi o bombe per produrre energia nucleare per centinaia di anni senza estrarre altri minerali come l’uranio dalla terra, e farlo a costi competitivi. Una reazione nucleare fornisce 1 milione di volte più energia di qualsiasi reazione chimica e trovare modi per utilizzare questa energia può fornire ciò che è necessario per le generazioni a venire senza impattare sul nostro pianeta producendo anidride carbonica, principale causa del surriscaldamento terrestre”.

Ma si può davvero non tenere conto della paura del nucleare, declinatasi in scenari letterari fantascientifici, nei movimenti attivisti per il disarmo atomico e nei movimenti artistici come Arte nucleare a partire dalla seconda metà del XX secolo e oggi amplificata dalla reiterazione di minacce di guerre atomiche? Fondato a Milano nel 1951 dall’artista italiano Enrico Baj insieme a Sergio Dangelo e Gianni Bertini, il gruppo di Arte nucleare ha celebrato l’energia nucleare ma ha anche messo in guardia sui pericoli ambientali e umani della cattiva applicazione della tecnologia nucleare, facendo esplodere “acqua pesante” realizzata con una nuova tecnica che combinava pittura a smalto e acqua distillata. L’arte nucleare ha influenzato in maniera indiretta anche l’Arte povera, nei termini di una nuova sensibilità verso l’ambiente ma anche di flussi di energia che, scaturendo dalla Terra, rendono continuamente mutevole la materia di cui le opere di Gilberto Zorio, Giovanni Anselmo e Mario Merz, tra gli altri, si compongono. Abbracciando il modo in cui le particelle subatomiche degli atomi si scontrano, questi artisti hanno reso manifesta l’energia latente nel mondo, incorporando nella loro ricerca la tensione tra natura e cultura. La loro sperimentazione è il preludio di pratiche artistiche contemporanee che si interrogano sulla crisi climatica, sulle coscienze non umane, sulle energie biologiche e computazionali. Il sublime nucleare e la malinconia nucleare attraversano oggi le opere di artisti come Adrián Villar RojasHimali Singh SoinLea PorsagerSophie Cundale e Renato Leotta.

I musei e le istituzioni artistiche come il Castello di Rivoli, e le pratiche artistiche in generale, sono in grado di contestualizzare i dibattiti politici contemporanei sul clima e su una nuova transizione nucleare. Il convegno Culture dell’energia. Energie, immaginari, valute e orizzonti nucleari del pianeta sollecita pertanto una riflessione collettiva sui fattori che influenzano la produzione, la circolazione, il consumo di energia e le opportunità di cambiamento per prepararci a un futuro già prossimo. Ciò che rende particolarmente urgenti queste considerazioni sull’energia è il contesto della crisi energetica globale, iniziata all’indomani della pandemia di COVID-19 e aggravata in Europa dalla minaccia di un embargo energetico dovuto alla guerra in Ucraina. Ciò ha portato a speculazioni, aumento dei prezzi nei mercati del petrolio, del gas e dell’elettricità e inflazione. La crisi energetica, combinata alla crisi climatica, si sta trasformando rapidamente e una transizione verso fonti energetiche alternative a combustibili fossili senza carbonio non è più posticipabile. Il tema dell’energia va affrontato considerando anche quelle economie emergenti che attualmente affrontano una duplice sfida energetica: soddisfare i bisogni di miliardi di persone che ancora non hanno accesso a servizi energetici di base e partecipare contemporaneamente a una transizione verso sistemi energetici a zero emissioni di carbonio per il bene dell’intero pianeta.

Il convegno è a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Agnieszka Kurant.
L’organizzazione del progetto è a cura di Giulia Colletti.

Questo progetto è realizzato grazie al supporto di Stefano Buono.


Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia
10098 Rivoli – Torino
Info: +39 0119565222
come arrivare

Le attività del Castello di Rivoli sono realizzate primariamente grazie al contributo della Regione Piemonte.
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Ufficio Stampa Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea
Manuela Vasco | press@castellodirivoli.org | tel. 011.9565209
 
Consulenza Stampa
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9- Edmondo De Amicis, Costantinopoli: La vita a Costantinopoli – Costantinopoli antica

9- La vita a Costantinopoli – Costantinopoli antica

INDICE

L ’arrivo
Cinque ore dopo
Il ponte
Stambul
All’albergo
Costantinopoli
Galata
Il Gran Bazar
La vita a Costantinopoli
Santa Sofia
Dolma Bagcè
Le Turche
Ianghen Var
Le mura
L’antico Serraglio
Gli ultimi giorni
I Turchi
Il Bosforo

18


Ma che cosa doveva essere quella città nei bei tempi della gloria ottomana! Io non potevo levarmi dalla testa questo pensiero. Allora, dal Bosforo tutto bianco di vele, non s’alzava un nuvolo di fumo nero a macchiar l’azzurro del cielo e delle acque. Nel porto e nei seni del Mar di Marmara, fra le vecchie navi da guerra, dalle alte poppe scolpite, dalle mezzelune d’argento, dagli stendardi di porpora, dai fanali d’oro, galleggiavano carcasse fracassate e insanguinate di galere genovesi, veneziane e spagnole. Sul Corno d’oro non v’erano ponti: da una sponda all’altra guizzava perpetuamente una miriade di barchette pompose, in mezzo alle quali spiccavano di lontano le lance bianchissime del serraglio, coperte di baldacchini scarlatti dalle frange dorate, e condotte da rematori vestiti di seta. Scutari era ancora un villaggio; di là da Galata non si vedevano che case sparpagliate per la campagna; nessun grande palazzo alzava ancora la testa sopra la collina di Pera; l’aspetto della città era meno grandioso che non è ora; ma era più schiettamente orientale. La legge che prescriveva i colori essendo ancora in vigore, dai colori delle case si riconosceva la religione degli abitanti: Stambul era tutta gialla e rossa, fuorché gli edifizi pubblici e sacri ch’erano bianchi come la neve; i quartieri armeni erano cinerini chiari, i quartieri greci cinerini carichi, i quartieri ebrei pavonazzi. Era universale, come in Olanda, la passione dei fiori, e i giardini parevano grandi mazzi di giacinti, di tulipani e di rose. La vegetazione rigogliosa delle colline non essendo ancora atterrata dai nuovi sobborghi, Costantinopoli presentava l’immagine d’una città nascosta in una foresta. Dentro non c’eran che viuzze; ma le abbelliva una folla meravigliosamente pittoresca. Non si vedevano che turbanti enormi, che davano alla popolazione mascolina un’apparenza colossale e magnifica. Tutte le donne, fuor che la madre del sultano, essendo rigorosamente velate, e in modo da non lasciar vedere che gli occhi, formavano una popolazione a parte, anonima ed enigmatica, che spandeva per tutta la città un’aura di mistero gentile. Una legge severa determinando il vestiario di tutti, si distinguevano dalle forme dei turbanti e dai colori dei caffettani i ceti, i gradi, gli uffici, le età, come se Costantinopoli fosse un’immensa corte. Il cavallo essendo ancora quasi «il solo cocchio dell’uomo», giravano per le vie migliaia di cavalieri, e le lunghe file dei cammelli e dei dromedari dell’esercito che attraversavano la città in tutte le direzioni le davano l’aspetto selvaggio e grandioso d’un’antica metropoli asiatica. Le arabà dorate, tratte dai buoi, s’incrociavano colle carrozze rivestite di panno verde degli ulemi, con quelle rivestite di panno rosso dei Kadì-aschieri, colle talike leggerissime dalle tendine di raso, colle bussole ornate di pitture fantastiche. Schiavi di tutti i paesi, dalla Polonia all’Etiopia, passavano a frotte, facendo risuonare le loro catene ribadite sui campi di battaglia. Sui crocicchi, nelle piazze, nei cortili delle moschee, si vedevano gruppi di soldati vestiti di cenci gloriosi, che mostravano le braccia monche e le cicatrici ancor fresche delle ferite toccate a Vienna, a Belgrado, a Rodi, a Damasco. Centinaia di rapsodi dalla voce tonante e dal gesto ispirato raccontavano, in mezzo a crocchi di musulmani superbi, le gesta degli eserciti che combattevano a tre mesi di marcia da Stambul. I pascià, i bey, gli agà, i musselim, un’infinità di dignitari e di gran signori, vestiti con uno sfarzo teatrale, accompagnati da frotte di servi, fendevano la folla che si curvava al loro passaggio come una messe sotto il soffio del vento; passavano, con un corteo da principi, ambasciatori di tutti gli Stati d’Europa, venuti a chieder pace o alleanza; sfilavano carovane cariche di doni di re africani ed asiatici; sciami di silidar e di spahì fastosi e insolenti, trascinavano per le vie i sciaboloni macchiati del sangue di venti popoli, e i bei paggi greci ed ungheresi del serraglio, vestiti come piccoli re, passeggiavano alteramente fra la moltitudine ossequiosa, che rispettava in loro i capricci snaturati del suo Signore. Qua e là, dinanzi alle porte, si vedeva un trofeo di bastoni nodosi: era un corpo di guardia di Giannizzeri, che allora esercitavano la polizia nell’interno della città. S’incontravano degli ebrei che portavano nel Bosforo il corpo dei giustiziati; si trovava ogni mattina nel Balik-bazar qualche cadavere disteso in terra, con la testa sotto l’ascella destra, la sentenza sul petto e una pietra sulla sentenza; si vedevano per le vie nobili impiccati al primo gancio o alla prima trave che avevano trovata i carnefici frettolosi; s’inciampava di notte in qualche disgraziato buttato in mezzo alla strada da una stanza di tortura dove gli avevano spezzato i piedi e le mani con una mazza; si vedevano sotto il sole di mezzogiorno dei mercanti colti in frode inchiodati per un orecchio all’uscio della loro bottega. E non c’essendo ancora la legge che restrinse poi la libertà sconfinata delle sepolture, si vedevano scavar fosse e sotterrar morti, ad ogni ora del giorno, nei giardini, nei vicoli, nelle piazze, dinanzi alle porte delle case. Si sentivano nei cortili gli urli dei montoni e degli agnelli scannati in olocausto ad Allà per le nascite e per le circoncisioni. A quando a quando passava di galoppo un drappello d’eunuchi gridando e minacciando, le vie si facevano deserte, le porte si chiudevano, le finestre si coprivano, un intiero quartiere pareva morto: e allora passavano in una fila di carrozze luccicanti le belle del Gran Signore, che empievano l’aria di profumi e di risa. Qualche volta un personaggio della corte, attraversando una strada affollata, impallidiva improvvisamente alla vista di sei popolani di meschina apparenza che entravano in una bottega: quei sei popolani erano il sultano, quattro ufficiali e un carnefice, che giravano di bottega in bottega per verificare i pesi e le misure. In tutto quanto il corpo enorme di Costantinopoli ribolliva una vita pletorica e febbrile. Il tesoro riboccava di gemme, gli arsenali, d’armi, le caserme, di soldati, i caravanserai, di viaggiatori; il mercato di schiavi era un formicaio di belle, di mercantesse e di gran signori; i dotti s’affollavano nei grandi archivi delle moschee; i visir dalla lunga lena preparavano alle generazioni future gli annali sterminati dell’impero; i poeti, pensionati dal serraglio, si raccoglievano nei bagni a cantare le guerre e gli amori imperiali; turbe d’operai bulgari ed armeni lavoravano ad innalzar moschee con blocchi di granito d’Egitto e di marmo di Paros, mentre per mare arrivavano le colonne dei tempi dell’Arcipelago e per terra le spoglie delle chiese di Pest e di Ofen; nel porto si allestivano le flotte di trecento vele che dovevano portare il terrore su tutte le rive del Mediterraneo; fra Stambul e Adrianopoli si spandevano cavalcate di settemila falconieri e di settemila guardacaccia, e negl’intervalli delle rivolte soldatesche, delle guerre lontane, degli incendi che riducevano in cenere ventimila case in una notte, si celebravano feste di trenta giorni dinanzi ai plenipotenziari di tutti gli stati dell’Affrica, dell’Asia e dell’Europa. Allora l’entusiasmo musulmano diventava follia. Al cospetto del Sultano e della corte, in mezzo a quelle smisurate palme di nozze, cariche d’uccelli, di frutti e di specchi, per dar passo alle quali si atterravano le case e le mura; in mezzo a file di leoni e di sirene di zucchero, portati da cavalli ingualdrappati di damasco argentato; in mezzo a monti di doni reali recati da tutte le parti dell’Impero e da tutte le corti del mondo, si alternavano le finte battaglie dei giannizzeri, i balli furiosi dei dervis, le mischie sanguinose dei prigionieri cristiani, i banchetti popolari di diecimila piatti di cuscussù; nell’Ippodromo danzavano gli elefanti e le giraffe; si sguinzagliavano tra la folla gli orsi e le volpi coi razzi alla coda; alle pantomime allegoriche succedevano le danze lascive, le mascherate grottesche, le processioni fantastiche, le corse, i carri simbolici, i giochi, le commedie, le ridde; la festa degenerava a poco a poco, col calar della notte, in un tumulto forsennato, e cinquecento moschee scintillanti di lumi formavano sopra la città un’immensa aureola di foco che annunziava ai pastori delle montagne dell’Asia e ai naviganti della Propontide, le orge della nuova Babilonia. Così era Stambul, la sultana formidabile, voluttuosa e sfrenata; appetto alla quale la città d’oggi non è più che una vecchia regina malata d’ipocondria.

Il capitolo è composto da 24 ritratti della città


Edmondo De Amicis
Leggi su Wikipedia

Edizione elettronica tratta da Liber Liber

Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877

Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it

Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it

Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.

De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali.  Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.

Il Grande Bazar d’Istanbul in un disegno di Cesare Biseo tratto dall’edizione del 1882

L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.