Niente denari, niente Svizzeri – Chi l’ha detto?

Secondo Kirchhofer (Wahrheit und Dichtung, Zürich, 1824, pag. 113) fu coniato dai Francesi in dispregio degli avidi mercenari svizzeri; invece, nei suoi Proverbi della lingua olandese P. J. Harrebomée (Spreekwoordenboek der Nederlandsch Taal, Utrecht, 1858-66, to. I, pag. 218) narra che nel 1521 i reggimenti svizzeri erano al servizio di Francesco I. Dal momento che era loro vietato il saccheggio, non ricevendo la paga da vario tempo, protestarono proprio con queste parole. Secondo anche altre attestazioni non documentate, il detto risale proprio alla battaglia della Bicocca (alle porte di Milano ) e la sconfitta dell’esercito di Francesco I di fronte a quello di Carlo V è da attribuirsi alla protesta provocata dai mercenari svizzeri, seguita dalla loro defezione.

Émile de La Bédollière ricorda anche la possibilità di una differente origine, legata a un episodio del regno di Enrico IV, relativo alla battaglia di Ivry (1590), anche in questo caso in collegamento con le truppe svizzere. Il motto si è prestato a molte facete imitazioni e parodie, per esempio quella di Théophile Gautier che nel 1835 scriveva al suo editore Renduel che lo sollecitava a scrivere: Pas d’argent, pas d’idée (Niente soldi, niente idee).


Point d’argent, point de Suisse.

Mercenari Svizzeri

Per il mese di agosto, sotto l’ombrellone, vi proponiamo un gioco, quello della citazione. Ha scritto bene, di recente, Aldo Grasso sul Corriere della Sera: «La citazione è insieme lo strumento e la nota dominante della società della sostituzione: in un’epoca dove tutto è già stato detto e visto non ci resta che procedere nella combinazione di nuove figure, assemblando spezzoni di frasi e sequenze. Trasformando la citazione in stornamento. Uno degli aspetti più seducenti della moderna storia delle idee è la loro perenne mobilità, la loro incessante trasformazione». Noi vorremmo trasformare la semplice citazione nel gioco del “Chi lo ha detto”. Fate la citazione e poi chiedete di contestualizzarne autore e senso. Un tempo questo era un passatempo praticato nei salotti, quest’anno proponetelo in spiaggia. Per farci da guida ci siamo rivolti a Giuseppe Fumagalli, che di libri ne maneggiava quotidianamente, essendo un bibliotecario, il quale amava anche scrivere. Nel nostro caso abbiamo fatto riferimento ad un suo libro: Chi l’ha detto? Come l’autore ha specificato in premessa, «contiene una copiosa scelta di citazioni da classici nazionali e stranieri, da prosatori e poeti e di frasi storiche, ossia di frasi dette in determinate circostanze da personaggi noti, e rimaste famose per ragioni diverse». Noi proviamo a scegliere le citazioni, voi provate a giocare.

Essere come la moglie di Cesare – Chi l’ha detto?

Chi vuole conservare gelosamente il proprio onore, deve aver cura di non legittimare nemmeno il dubbio: l’uomo onesto non deve essere neppure sospettato. Lo conferma questo episodio, che si riferisce alla moglie di Cesare. Narra Plutarco nella Vita di Giulio Cesare (cap. X) che Publio Clodio, ammaliato da Pompea, moglie di Cesare, non potendo incontrarla in alcun modo, pensò di introdursi in casa sua in abiti femminili. Si travestì come una suonatrice, partecipando alle feste che si celebravano in onore della Dea Bona, riservate esclusivamente alle donne. Tuttavia, scoperto, fu cacciato disonorevolmente e in seguito portato innanzi ai giudici per questa e per altre sue malefatte. Cesare si divise immediatamente da Pompea, ma chiamato in giudizio per testimoniare contro Clodio, rispose di non sapere nulla di quanto contro di lui si diceva. Sorpreso da questa inaspettata risposta, l’avvocato dell’accusa gli domandò perché mai, dunque, avesse ripudiato sua moglie. Rispose: «Perché credo che la moglie di Cesare non debba essere neppure sfiorata dal pur minimo sospetto».


Essere come la moglie di Cesare.

Plutarco

Per il mese di agosto, sotto l’ombrellone, vi proponiamo un gioco, quello della citazione. Ha scritto bene, di recente, Aldo Grasso sul Corriere della Sera: «La citazione è insieme lo strumento e la nota dominante della società della sostituzione: in un’epoca dove tutto è già stato detto e visto non ci resta che procedere nella combinazione di nuove figure, assemblando spezzoni di frasi e sequenze. Trasformando la citazione in stornamento. Uno degli aspetti più seducenti della moderna storia delle idee è la loro perenne mobilità, la loro incessante trasformazione». Noi vorremmo trasformare la semplice citazione nel gioco del “Chi lo ha detto”. Fate la citazione e poi chiedete di contestualizzarne autore e senso. Un tempo questo era un passatempo praticato nei salotti, quest’anno proponetelo in spiaggia. Per farci da guida ci siamo rivolti a Giuseppe Fumagalli, che di libri ne maneggiava quotidianamente, essendo un bibliotecario, il quale amava anche scrivere. Nel nostro caso abbiamo fatto riferimento ad un suo libro: Chi l’ha detto? Come l’autore ha specificato in premessa, «contiene una copiosa scelta di citazioni da classici nazionali e stranieri, da prosatori e poeti e di frasi storiche, ossia di frasi dette in determinate circostanze da personaggi noti, e rimaste famose per ragioni diverse». Noi proviamo a scegliere le citazioni, voi provate a giocare.

René Magritte, Il tradimento delle immagini (Questa non è una pipa), 1929

La Trahison des images (Il tradimento delle immagini) del 1929 è uno dei dipinti più famosi di René Magritte, diventato un’icona della cultura popolare. Fa parte delle collezioni del Los Angeles County Museum of Art (LACMA), acquistato con i fondi forniti dalla Mr. and Mrs. William Preston Harrison Collection. In Europa si può ammirare anche al Museum of Modern Art di Bruxelles. Raffigura una pipa, accompagnata da una didascalia con un carattere corsivo manierato: Ceci n’est pas une pipe, Questa non è una pipa. Se non è una pipa, cos’è? Domanderemmo noi nell’osservare il quadro. In questo consiste il carattere surrealista di Magritte, il quale risponde soavemente: «La famosa pipa! Come me lo rimproveravano le persone! Eppure, potresti riempire la mia pipa? No, è solo una rappresentazione, non è vero? Quindi se avessi scritto sulla mia immagine “Questa è una pipa”, avrei mentito!». Se è per questo la pipa raffigurata non si può neppure prendere in mano. Questo è il tradimento delle immagini, a cui si riferisce l’autore. Esiste una grande differenza tra gli oggetti reali e la loro rappresentazione pittorica. Questa dualità è stata evidenziata dallo stesso Magritte, che ha ribadito ai suoi interlocutori: «Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa sia una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa». Ai più, non avvezzi alla filosofia, potrebbe sembrare un discorso ozioso e paradossale. «Ma non vedo niente di paradossale in quest’immagine, giacché l’immagine di una pipa non è una pipa, c’è una differenza», ribatte ancora lo stesso Magritte.

Il dipinto, in effetti, è un messaggio che attraverso le immagini serve a Magritte per evidenziare che, se fosse stata dipinta in un modo ancora più realistico la pipa raffigurata non sarebbe comunque una pipa, ma resterebbe sempre l’immagine di una pipa. Solo due anni dopo, nel 1931, Alfred Korzybski, in un incontro a New Orleans, espresse il medesimo concetto attraverso un altro lampante esempio: «La mappa non è il territorio», per dimostrare proprio la differenza tra un oggetto e la rappresentazione dell’oggetto. Questo vale anche per la parola, e aggiungeva: «la parola non è la cosa». L’insegnamento che si può trarre, in modo più profondo, riguarda l’impossibilità di conoscere pienamente la realtà delle cose affidandosi solo alla teoria, per quanto sia espressa nel modo più meticoloso. Anzi, una maggiore definizione delle cose serve unicamente a complicarle, e questo accade anche nel caso contrario, quando si cerca di semplificarle al massimo. Scriveva Paul Valery: «Il semplice è sempre falso, ciò che non lo è, è inutilizzabile». Cosa bisogna fare? Ciascuno dovrà trarre le giuste conclusioni che desidera riguardo alla questione generale della realtà delle cose. Per quanto concerne Magritte, il suo impegno ha interessato una ricerca rappresentata in diverse opere realizzate fra il 1926 al 1966. La serie inizia con La Clef des songes (La chiave dei sogni) e termina con una mise en abyme de La Trahison des images, dove nella nuova opera le pipe diventano due, Les deux mystères (I due misteri).

Storia della serie

Nel 1926 René Magritte aveva iniziato a considerare il rapporto tra la parola e la sua rappresentazione, che ha come punto di partenza una pipa. Il disegno racchiudeva l’idea di pipa, la sua rappresentazione e la frase con la parola pipa.

Nel 1927, La Clé des songes riproduce quattro riquadri, in ognuno dei quali pone la rappresentazione di un oggetto e una parola che lo definisce. Per tre volte su quattro, non esiste alcun collegamento tra l’oggetto e la parola. Solo il quarto oggetto è identificato correttamente.




Nel 1928 Magritte prosegue questa ricerca con The Living Mirror (Lo specchio vivente). Chiazze chiare su fondo scuro, contengono le seguenti parole: personaggio che scoppia di risate, orizzonte, armadio, grida di uccelli. La rappresentazione non esiste più, per “riflettere” la realtà, come uno specchio, l’artista usa soltanto le parole.

Nel 1929 Magritte completò la dimostrazione con La Trahison des images, esattamente il dipinto emblematico della pipa, di cui produsse diverse versioni.

Nel 1930 Magritte riprende anche il tema de La Clé des songes: la tela viene ripartita in sei riquadri, nei quali sono rappresentati degli oggetti erroneamente identificati.

Nel 1966 Magritte compone l’ultimo elaborato della serie: Les deux mystères. Rappresenta un cavalletto su cui è posto il dipinto del 1929 Il tradimento delle immagini, mentre in alto fluttua una seconda pipa. Dovrebbe forse essere il modello della pipa riprodotta nel dipinto? Di sicuro somiglia in quanto a forma, ma non ha colore. Sembra essere una rappresentazione neutra di una pipa, un oggetto tridimensionale privo di sfumature e ombre, mentre la pipa “dipinta nel dipinto” è raffigurata in maniera concreta, con l’evidente intenzione di rendere la percezione più “realistica”. La domanda che l’artista pone è questa: quale è la pipa e quale è soltanto una rappresentazione della pipa? A noi osservatori la risposta.

La dimostrazione di Alfred Korzybski

Forse questo aneddoto ci aiuterà a rispondere meglio al quesito posto da René Magritte. Un giorno, durante una lezione Korzybski s’interruppe per prendere dalla sua borsa un pacchetto di biscotti arrotolato in un foglio bianco. Spiegò di avere bisogno di un attimo di pausa e offrì i biscotti anche agli studenti che lo stavano ascoltando. Alcuni accettarono. «Buoni questi biscotti, vero?», disse Korzybski, mentre ne prendeva ancora un altro. Gli studenti concordarono. Poi il professore liberò il pacchetto di biscotti dalla carta che lo avvolgeva. Sul pacchetto compariva l’immagine di una testa di cane e la scritta “biscotti per cani”. Tutti gli studenti alla vista rimasero sconcertati. Due fra loro si precipitarono in bagno. «Vedete signori e signore?», commentò Korzybski «abbiamo appena dimostrato che le persone non mangiano solo il cibo, ma anche le parole. C’è di più: il sapore del cibo è spesso influenzato dal sapore delle parole». La sua prova puntava a dimostrare come certe problematiche siano spesso il prodotto di una evidente confusione fra la rappresentazione linguistica della realtà e la realtà stessa, ovvero fra quanto è scritto e quanto è vero. Per cui anche Magritte dimostra la necessità di non fermarsi alle sole parole, ma ricercare l’oggettività delle cose.

Gerrit Rietveld – Sedia rosso e blu, 1918/1923

È una sedia o la scultura di una sedia? Di sicuro è un’opera d’arte. Pur ritrovandola fra le mura domestiche, è uno dei manufatti annoverati nelle arti decorative del Novecento. Evoca il neoplasticismo, cardine principale del movimento De Stijl, nato in Olanda all’inizio del XX secolo. Gerrit Rietveld (1888-1964), l’architetto olandese che ne è l’autore, esprime infatti il pensiero De Stijl attraverso un’applicazione equilibrata del colore e la disposizione degli elementi geometrici. Gli artisti del De Stijl hanno cercato, infatti, nuove forme astratte per esprimere una visione del futuro, preferendo evitare ogni riferimento allo storicismo e al naturalismo. Rietveld, produttore di mobili e architetto, era un amico di Mondrian, i cui dipinti successivi ricordano da vicino le forme di questa sedia. La scheda di Google arts and culture sintetizza bene le qualità dell’opera: «Questo design ha offuscato i confini tra pittura, scultura e architettura. Riducendo la forma a una serie di piani e confini che delineano lo spazio, ma non lo contengono, Rietveld ha cancellato l’isolamento dell’oggetto nello spazio e ha dato movimento alla forma statica. Il suo uso dei colori primari ha negato la forma naturale del materiale e ha oggettivato il tutto. Questo concetto è spesso indicato come neoplasticismo ed era il cardine principale del movimento De Stijl in Olanda all’inizio del XX secolo».

La sedia, considerata da Theo van Doesburg come una «scultura astratta-realistica per gli interni delle nostre case future», è oggi esposta al Museum of Modern Art di New York (MOMA). Rietveld stesso spiegò il suo lavoro: «Lo scopo di questa sedia è quello di semplificare le singole parti, preservare la forma intrinseca nel carattere e negli scopi originari dei materiali utilizzati, quella stessa forma che conduce alla formazione di un’entità armoniosa grazie all’adozione di uno specifico modulo per i vari elementi distinti. La struttura della sedia è tale che si possono collegare fra loro le singole parti senza mutilarle, in modo da evitare che una domini sull’altra coprendola o mettendola in situazione di dipendenza; in questo modo il tutto è libero nello spazio. La forma è nata in virtù del materiale. I criteri aggregativi che ho utilizzato consentono l’utilizzo di listelli di legno. […] La cosiddetta Sedia rossa e blu, dunque, […] serve anche per dimostrare che è possibile realizzare qualcosa di bello che interviene plasticamente sullo spazio con l’utilizzo di semplici e puri elementi prodotti dalle macchine».

Prototipo della sedia Rietveld non verniciata

Non tutti gli storici dell’arte concordano sulla datazione del primo prototipo della sedia. Alcuni lo collocano nel 1917, altri si riferiscono alle indicazioni di Gerard van de Groenekan, ex dipendente della fabbrica Rietveld, fermamente convinto che sia stata realizzata nell’estate del 1918. Al contrario Marijke Kuper, storica dell’arte e specialista di Rietveld, indica il 1919 come la data esatta. Facciamo una seduta (è il caso di dirlo!) spiritica con Rietveld e domandiamolo a lui. Interesserà sapere, invece, che il prototipo non è stato eseguito nei caratteristici colori rosso e blu, ma è stato lasciato nel colore del legno naturale. Inoltre, il prototipo presenta due pannelli laterali in compensato sotto i braccioli, come si può osservare nell’immagine. I colori definitivi, che caratterizzano questa sedia stupenda, cioè il rosso, blu, giallo e nero furono attribuiti nel 1923, poco tempo prima che Rietveld progettasse la Rietveld-Schröder House, abitazione privata di Truus Schröder-Schräder, un’artista visiva olandese amica dell’autore, che ha abitato in questa casa, che dal 2000 è nella lista del patrimonio mondiale dell’Umanità UNESCO.

GUARDA IL PROTOTIPO IN NERO ESPOSTO AL MOMA DI NEW YORK: Gerrit Rietveld. Prototype for Red/Blue Chair. 1917-18

Non è il ritratto di Madame Matisse, ma la caricatura demente di un ritratto!

The Green Line, esposto allo Statens Museum for Kunst di Copenhagen, in Danimarca, è stato dipinto da Henri Matisse ed è noto anche come il Ritratto di Madame Matisse, Amélie Noellie Matisse-Parayre. È, senza dubbio, uno dei capolavori che caratterizzeranno il primo Novecento. Questo piccolo quadro (40,5 x 32,5 cm) si contraddistingue, infatti, per i forti contrasti cromatici. La striscia verde, che dà nome al quadro, divide il viso della donna in due distinte metà: una caratterizzata da colori freddi e l’altra da colori una caldi. L’espediente contribuisce a dare una certa prospettiva volumetrica, senza però utilizzare l’ombreggiatura tradizionale, ma al contrario impiegando una stesura ad effetto piatto, che rende il ritratto molto simile ad una maschera astratta. Il dipinto non è, quindi, una restituzione naturalistica della moglie. L’artista non tenta di dipingere nel modo più accurato possibile ciò che è puramente visibile, alla ricerca di elaborare un ritratto psicologico. Il pittore è interessato, piuttosto, a manifestare in modo differente gli effetti di luce, ombra e volume.

Il quadro è stato probabilmente eseguito tra settembre e ottobre del 1905, quando tornò a Parigi dopo una estate trascorsa nel villaggio di pescatori di Collioure, nel sud della Francia. In compagnia del suo amico André Derain, provò a sperimentare in che modo liberare il colore dalla sua funzione descrittiva, lasciandolo agire come una forza autonoma e svincolata dalla realtà visiva. Per questo motivo il dipinto è oggi considerato un capolavoro, in quanto mostra una forza espressiva graffiante. Quando, infatti, fu esposto a Parigi nel 1906, non fece che confermare che le sue creazioni erano selvagge e primitive, tanto che l’opera fu definita non un ritratto ma “la caricatura demente di un ritratto”. Il 1905 è per Henri Matisse l’anno della sua grande svolta artistica. Al Salon d’Automne di quell’anno, presentò altri due dei suoi quadri più famosi: Finestra aperta e Donna con il cappello. La nuova produzione esprimeva, in verità, una grande forza visiva attraverso colori violenti e dissonanti. Per questo le sue opere vennero etichettate in modo derisorio come le creazioni di Les Fauves ovvero delle Bestie selvagge. Al gruppo dei Fauves si unirono artisti come André Derain, Georges Braque, Raoul Dufy e Maurice de Vlaminck.

LEGGI SUL SITO DEL MUSEO – Ritratto di Madame Matisse. La striscia verde, 1905

I Nottambuli di Hopper icone della solitudine e dell’alienazione

Nighthawks (I nottambuli) è una delle immagini più note dell’arte del XX secolo. Il dipinto raffigura un locale aperto tutta la notte nel quale tre clienti sono assorti ciascuno nei propri pensieri. Edward Hopper, che lo ha dipinto, ha riferito che Nighthawks è stato ispirato da «un ristorante sulla Greenwich Avenue di New York, dove due strade si incontrano». Tuttavia, possiamo considerare questa immagine come una icona universale e senza tempo, che trascende il luogo particolare che ha ispirato l’autore. Nella scheda dell’opera, conservata nelle collezioni moderne dell’Art Institute of Chicago leggiamo: «La comprensione di Hopper delle possibilità espressive della luce che gioca su forme semplificate conferisce al dipinto la sua bellezza. Le luci fluorescenti erano appena entrate in uso nei primi anni Quaranta e il ristorante aperto tutta la notte emette un bagliore inquietante, come un faro all’angolo buio di una strada». Noi spettatori ci troviamo fuori dal locale, separati dai tre clienti e dal barista intento nel suo lavoro. Il fronte vetrato ci isola dall’ambiente interno. Hopper ha addirittura eliminato ogni riferimento all’ingresso cosicché, pur attratti dalla luce del locale, volutamente rimaniamo esclusi dalla scena. I nottambuli, così poco comunicativi, sembrano separati e lontani non solo l’uno dall’altro, ma anche da noi spettatori.

Hopper stesso, trovandosi a commentare il dipinto, ha risposto che per la figura femminile dai capelli rossi ha posato come modella Jo, sua moglie, e per i due personaggi maschili ha ritratto sé stesso. Ha inoltre messo in evidenza di non avere mai intenzionalmente voluto rimarcare il senso di isolamento umano che da tutti viene attribuito al quadro, pur riconoscendo che «probabilmente, ma inconsciamente, stavo dipingendo la solitudine di una grande città». La critica d’arte Sarah Kelly Oehler, presidente Field-McCormick, nell’articolo che segue fornisce una notizia che molti disconoscono. Nighthawks è stata la risposta di Hopper a una delle più grandi crisi della sua generazione: il bombardamento di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 e l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale. Temendo un possibile attacco nemico, i newyorkesi furono sottoposti a vere e proprie esercitazioni di blackout notturno e a disposizioni sul mantenimento di luci soffuse negli spazi pubblici. A Hopper piaceva passeggiare giorno e notte, ma di certo la sua esperienza nella città oscurata dal momento di crisi deve essere stata molto diversa dal solito ed emotivamente coinvolgente.

LEGGI SUL SITO DEL MUSEO – Nighthawks as Hope: A Curator Muses su Edward Hopper e Crisis

Georges Braque – Natura morta con bottiglie e bicchieri, 1912

Questa natura morta incarna le caratteristiche essenziali del cubismo analitico, il rivoluzionario modo di dipingere sviluppato da Georges Braque e Pablo Picasso tra il 1908 e il 1912. Gli artisti hanno analizzato visivamente i loro soggetti, smontando le loro superfici esterne e interne e riproponendole da punti diversi di vista in un unico piano. In modo specifico in questo dipinto, sebbene ogni elemento  sia ridotto a una geometria semplificata e quindi compresso all’estremo, si possono ancora distinguere una bottiglia di liquore, un bicchiere di vino, un’altra bottiglia e una carta da gioco, tutti oggetti tipici delle opere cubiste. Con il suo aspetto denso, quasi piatto, e la tavolozza quasi monocromatica, il dipinto precede di pochi mesi il passaggio di Braque al collage di cartapesta. L’opera un tempo apparteneva al commerciante Daniel Kahnweiler, uno dei primi campioni di Picasso e Braque.

Estratto da: Bonnie Pitman, ed., “Still Life with Bottles and Glasses”, Dallas Museum of Art: A Guide to the Collection (New Haven, CT: Yale University Press, 2012), 238.

 

Il patrimonio artistico della Camera dei deputati accessibile a tutti

Vai sul sito: arte.camera.it

Con la pubblicazione sul sito web della Camera dei deputati del portale arte.camera.it, il patrimonio artistico custodito dalla Camera dei deputati diventa accessibile a tutti. Si realizza così un importante avanzamento sul piano della fruizione e della valorizzazione delle opere d’arte presenti all’interno delle sedi della Camera. Si tratta di beni – quali dipinti, sculture, arazzi – di proprietà dell’Istituzione o alla medesima pervenute a titolo di deposito dalle più prestigiose istituzioni museali e artistiche del Paese nel corso del tempo, in particolare a seguito dell’ampliamento realizzato nelle prime decadi del Novecento da Ernesto Basile.

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Fregio della Camera dei deputati, 1912, Palazzo Montecitorio, Roma (Wikipedia e sito Camera dei deputati)

IMMAGINE DI APERTURA – Studente innamorato Mario Mafai (Roma 1902 – Roma 1965)

Keith Haring – Andy Mouse, 1986

Andy Mouse è la fusione tra il Topolino della Disney, un personaggio preferito di Haring dalla sua infanzia, e Andy Warhol, amico intimo di Haring e uno dei principali artisti della Pop Art. Ogni opera fa parte di una serie di quattro serigrafie su carta , tutte firmate sia da Keith Haring che da Andy Warhol. Le immagini di Andy Mouse in stile cartone animato e le banconote da un dollaro rappresentano l’ironia che si trova in una società capitalista guidata dal denaro. Le firme di entrambi gli artisti segnano un ponte tra due generazioni diverse.

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Franz Marc – The Foxes, 1913

Dopo l’incontro con il futurismo italiano, il cubismo francese e le opere ispirate alla nozione di orfismo promulgate da Robert Delaunay, che aveva visitato con il suo caro amico August Macke nel 1912 a Parigi, le opere di Marc sono caratterizzate da una scomposizione della rappresentazione in forme astratte, prismatiche con colori ritmicamente armonizzati. E la dimensione spirituale era di grande importanza: nello spirito della sensazione religioso-panteista, gli animali divennero un tema chiave, presentato in armonia con la natura come rappresentanti del cosmo eterno.

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