René Magritte, Il tradimento delle immagini (Questa non è una pipa), 1929

La Trahison des images (Il tradimento delle immagini) del 1929 è uno dei dipinti più famosi di René Magritte, diventato un’icona della cultura popolare. Fa parte delle collezioni del Los Angeles County Museum of Art (LACMA), acquistato con i fondi forniti dalla Mr. and Mrs. William Preston Harrison Collection. In Europa si può ammirare anche al Museum of Modern Art di Bruxelles. Raffigura una pipa, accompagnata da una didascalia con un carattere corsivo manierato: Ceci n’est pas une pipe, Questa non è una pipa. Se non è una pipa, cos’è? Domanderemmo noi nell’osservare il quadro. In questo consiste il carattere surrealista di Magritte, il quale risponde soavemente: «La famosa pipa! Come me lo rimproveravano le persone! Eppure, potresti riempire la mia pipa? No, è solo una rappresentazione, non è vero? Quindi se avessi scritto sulla mia immagine “Questa è una pipa”, avrei mentito!». Se è per questo la pipa raffigurata non si può neppure prendere in mano. Questo è il tradimento delle immagini, a cui si riferisce l’autore. Esiste una grande differenza tra gli oggetti reali e la loro rappresentazione pittorica. Questa dualità è stata evidenziata dallo stesso Magritte, che ha ribadito ai suoi interlocutori: «Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa sia una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa». Ai più, non avvezzi alla filosofia, potrebbe sembrare un discorso ozioso e paradossale. «Ma non vedo niente di paradossale in quest’immagine, giacché l’immagine di una pipa non è una pipa, c’è una differenza», ribatte ancora lo stesso Magritte.

Il dipinto, in effetti, è un messaggio che attraverso le immagini serve a Magritte per evidenziare che, se fosse stata dipinta in un modo ancora più realistico la pipa raffigurata non sarebbe comunque una pipa, ma resterebbe sempre l’immagine di una pipa. Solo due anni dopo, nel 1931, Alfred Korzybski, in un incontro a New Orleans, espresse il medesimo concetto attraverso un altro lampante esempio: «La mappa non è il territorio», per dimostrare proprio la differenza tra un oggetto e la rappresentazione dell’oggetto. Questo vale anche per la parola, e aggiungeva: «la parola non è la cosa». L’insegnamento che si può trarre, in modo più profondo, riguarda l’impossibilità di conoscere pienamente la realtà delle cose affidandosi solo alla teoria, per quanto sia espressa nel modo più meticoloso. Anzi, una maggiore definizione delle cose serve unicamente a complicarle, e questo accade anche nel caso contrario, quando si cerca di semplificarle al massimo. Scriveva Paul Valery: «Il semplice è sempre falso, ciò che non lo è, è inutilizzabile». Cosa bisogna fare? Ciascuno dovrà trarre le giuste conclusioni che desidera riguardo alla questione generale della realtà delle cose. Per quanto concerne Magritte, il suo impegno ha interessato una ricerca rappresentata in diverse opere realizzate fra il 1926 al 1966. La serie inizia con La Clef des songes (La chiave dei sogni) e termina con una mise en abyme de La Trahison des images, dove nella nuova opera le pipe diventano due, Les deux mystères (I due misteri).

Storia della serie

Nel 1926 René Magritte aveva iniziato a considerare il rapporto tra la parola e la sua rappresentazione, che ha come punto di partenza una pipa. Il disegno racchiudeva l’idea di pipa, la sua rappresentazione e la frase con la parola pipa.

Nel 1927, La Clé des songes riproduce quattro riquadri, in ognuno dei quali pone la rappresentazione di un oggetto e una parola che lo definisce. Per tre volte su quattro, non esiste alcun collegamento tra l’oggetto e la parola. Solo il quarto oggetto è identificato correttamente.




Nel 1928 Magritte prosegue questa ricerca con The Living Mirror (Lo specchio vivente). Chiazze chiare su fondo scuro, contengono le seguenti parole: personaggio che scoppia di risate, orizzonte, armadio, grida di uccelli. La rappresentazione non esiste più, per “riflettere” la realtà, come uno specchio, l’artista usa soltanto le parole.

Nel 1929 Magritte completò la dimostrazione con La Trahison des images, esattamente il dipinto emblematico della pipa, di cui produsse diverse versioni.

Nel 1930 Magritte riprende anche il tema de La Clé des songes: la tela viene ripartita in sei riquadri, nei quali sono rappresentati degli oggetti erroneamente identificati.

Nel 1966 Magritte compone l’ultimo elaborato della serie: Les deux mystères. Rappresenta un cavalletto su cui è posto il dipinto del 1929 Il tradimento delle immagini, mentre in alto fluttua una seconda pipa. Dovrebbe forse essere il modello della pipa riprodotta nel dipinto? Di sicuro somiglia in quanto a forma, ma non ha colore. Sembra essere una rappresentazione neutra di una pipa, un oggetto tridimensionale privo di sfumature e ombre, mentre la pipa “dipinta nel dipinto” è raffigurata in maniera concreta, con l’evidente intenzione di rendere la percezione più “realistica”. La domanda che l’artista pone è questa: quale è la pipa e quale è soltanto una rappresentazione della pipa? A noi osservatori la risposta.

La dimostrazione di Alfred Korzybski

Forse questo aneddoto ci aiuterà a rispondere meglio al quesito posto da René Magritte. Un giorno, durante una lezione Korzybski s’interruppe per prendere dalla sua borsa un pacchetto di biscotti arrotolato in un foglio bianco. Spiegò di avere bisogno di un attimo di pausa e offrì i biscotti anche agli studenti che lo stavano ascoltando. Alcuni accettarono. «Buoni questi biscotti, vero?», disse Korzybski, mentre ne prendeva ancora un altro. Gli studenti concordarono. Poi il professore liberò il pacchetto di biscotti dalla carta che lo avvolgeva. Sul pacchetto compariva l’immagine di una testa di cane e la scritta “biscotti per cani”. Tutti gli studenti alla vista rimasero sconcertati. Due fra loro si precipitarono in bagno. «Vedete signori e signore?», commentò Korzybski «abbiamo appena dimostrato che le persone non mangiano solo il cibo, ma anche le parole. C’è di più: il sapore del cibo è spesso influenzato dal sapore delle parole». La sua prova puntava a dimostrare come certe problematiche siano spesso il prodotto di una evidente confusione fra la rappresentazione linguistica della realtà e la realtà stessa, ovvero fra quanto è scritto e quanto è vero. Per cui anche Magritte dimostra la necessità di non fermarsi alle sole parole, ma ricercare l’oggettività delle cose.

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