9- Edmondo De Amicis, Costantinopoli: La vita a Costantinopoli – I teatri

9- La vita a Costantinopoli – I teatri

INDICE

L ’arrivo
Cinque ore dopo
Il ponte
Stambul
All’albergo
Costantinopoli
Galata
Il Gran Bazar
La vita a Costantinopoli
Santa Sofia
Dolma Bagcè
Le Turche
Ianghen Var
Le mura
L’antico Serraglio
Gli ultimi giorni
I Turchi
Il Bosforo

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A Costantinopoli, chi è molto forte di stomaco, può passar la sera al teatro, e può scegliere tra una canaglia di teatruccoli d’ogni specie, molti dei quali sono insieme giardini e birrerie, e in qualcuno si ritrova sempre la commedia italiana, o piuttosto una muta di attori italiani, i quali fanno spesso desiderare di veder convertita la platea in un vasto mercato di frutta verde. I turchi, però, frequentano di preferenza i teatri in cui certe francesi imbellettate, scollacciate e sfrontate, cantano delle canzonette coll’accompagnamento d’un’orchestra da galera. Uno di questi teatri era allora l’Alhambra, posto nella gran via di Pera: un lungo stanzone, sempre affollato, e tutto rosso di fez dal palco scenico alla porta. Che cosa fossero quelle canzonette e con che razza di gesti quelle intrepide signore s’ingegnassero di farne capire ai turchi i significati riposti, non si può né immaginare né credere. Solo chi è stato al teatro los Capellanes di Madrid, può dire d’aver sentito e visto qualchecosa di simile. Agli scherzi più procaci, ai gesti più impudenti, tutti quei turconi, seduti in lunghe file, prorompevano in grasse risa; e cadendo allora dalle loro facce la maschera della dignità abituale, vi appariva tutto il fondo della loro natura e tutti i segreti della loro vita grossolanamente sensuale. Eppure, non v’è nulla che il turco nasconda abitualmente così bene come la sensualità della sua natura e della sua vita. Per le strade, l’uomo non s’accompagna mai alla donna; raramente la guarda; più raramente ne parla; ritiene quasi come un’offesa che gli si domandi notizia delle sue mogli; a giudicar dalle apparenze, si direbbe che quel popolo sia il più casto e il più austero della terra. Ma sono mere apparenze. Quello stesso turco che arrossisce fino alle orecchie se gli si domanda come sta la sua sposa, manda i suoi bimbi e le sue bimbe a sentire le turpissime oscenità di Caragheus, che corrompe la loro fantasia prima che si siano svegliati i loro sensi; ed egli stesso dimentica sovente le dolcezze dell’arem per le voluttà nefande di cui diede il primo esempio famoso Baiazet la folgore, e non l’ultimo, probabilmente, Mahmut il riformatore. E quando non ci fosse altro, basterebbe quel Caragheus a dare nello stesso tempo un’immagine e una prova della profonda corruzione che si nasconde sotto il velo dell’austerità musulmana. È una figurina grottesca che rappresenta la caricatura del turco del mezzo ceto, una specie d’ombra cinese, che muove le braccia, le gambe e la testa dietro un velo trasparente, e fa quasi sempre da protagonista in certe commediole strampalatamente buffonesche, di cui il soggetto è per lo più un intrigo amoroso. Egli è un quissimile, ma depravato, di Pulcinella: sciocco, furbo e cinico, lussurioso come un satiro, sboccato come una baldracca, e fa ridere, anzi urlare d’entusiasmo l’uditorio con ogni sorta di lazzi, di bisticci e di gesticolamenti stravaganti, che sono o nascondono ordinariamente un’oscenità. E di che natura siano queste oscenità, è facile immaginarlo quando si sappia che se Caragheus nello spirito somiglia a Pulcinella, nel corpo somiglia a Priapo; della quale somiglianza, prima che la censura restringesse d’alquanto la sua libertà sconfinata, egli dava tratto tratto la prova visibile alla platea, e spesso tutta la commedia girava sopra questo nobilissimo perno.

Il capitolo è composto da 24 ritratti della città


Edmondo De Amicis
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Edizione elettronica tratta da Liber Liber

Opera di riferimento: “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, Fratelli Treves editori, Milano 1877

Alla edizione elettronica ha contribuito Vittorio Volpi, volpi@galactica.it

Revisione: Catia Righi, catia_righi@tin.it

Pubblicato su Liber Liber da Marco Calvo, al quale vanno i nostri ringraziamenti.

Costantinopoli è un libro di ricordi scritto da Edmondo De Amicis e pubblicato nel 1877. Il soggetto dell’opera è il viaggio di più giorni fatto nel 1874, in compagnia dell’amico pittore Enrico Junck, a Istanbul, capitale dell’Impero Ottomano, quale corrispondente per conto della rivista Illustrazione Italiana.

De Amicis ha elaborato l’opera raccogliendo tre anni dopo la visita le impressioni in un libro, parte dagli appunti presi durante il viaggio e parte da memorie personali.  Ne emergono molte informazioni sulla Istanbul del secolo XIX e sulla storia ottomana. L’opera originale comprendeva anche 45 incisioni di Enrico Junck. La prima edizione fu pubblicata nel 1877 in due volumi. Cesare Biseo ne illustrò un’edizione del 1882, a causa della prematura scomparsa di Junck.

Il Grande Bazar d’Istanbul in un disegno di Cesare Biseo tratto dall’edizione del 1882

L’opera riscosse un successo immediato e fu tradotta in molte lingue, oltre naturalmente al turco, ma ricevette anche critiche severe, come quella di Remigio Zena nel suo diario di bordo In Yacht da Genova a Costantinopoli (1887). Nel suo libro Istanbul – Memory of a City, lo scrittore turco Orhan Pamuk (premio Nobel per la letteratura 2006) ha definito Costantinopoli di Edmondo de Amicis il miglior libro scritto su Istanbul nell’Ottocento, seguito da Costantinopoli di Théophile Gautier (1852). Umberto Eco, nell’introduzione ad una nuova ristampa del 2005, ha affermato che la descrizione della città fatta da De Amicis appare come la più cinematografica.

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