Egon Schiele: “L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità”

di Sergio Bertolami

36/2 (Parte seconda) – I protagonisti

Con l’idea che non esista un’arte moderna, ma eterna, Egon Schiele dal 1909 entra a pieno titolo nella cerchia dei pittori di primo piano. Fa parte del “gruppo Klimt”. La Weiner Werkstatte stampa tre sue grafiche. Già nel 1911 gli è riservata una monografia scritta dall’amico Albert Paris von Gütersloh, uno degli artisti del suo stesso Neukunstgruppe. Nel medesimo anno, Arthur Roessler ne recensisce le opere per il mensile Bildende Künstler. A Vienna partecipa alla mostra collettiva della Galleria Miethke. In questo momento, Schiele si esprime con toni alquanto cupi e sottilmente sfumati, le cui forme s’ispirano in modo evidente a Klimt. Nondimeno, il suo è l’esempio dei mutamenti che concretizzano la formazione di uno stile espressionista anche in Austria e che segnano il definitivo superamento della Secessione. Schiele firma i suoi schizzi, ad acquerello o ad olio su carta, come vere e proprie opere d’arte. L’incompiutezza dei suoi lavori estemporanei caratterizza pienamente il processo artistico che utilizza anche nei dipinti ad olio. Rispetto a Klimt, elimina gli sfondi virtuosistici e concentra l’attenzione sui soggetti, il più delle volte appena abbozzati, con un disegno aspro dalle linee dure e sofferte. Rinuncia del tutto al gusto della decorazione ornamentale e preziosa, in totale contrasto con le morbidezze dell’Art Nouveau. Il confronto tra Schiele e Klimt è ricco di suggestioni e infervora gli stessi due artisti, raffinati ed espressivi. Ma ciò che marca la differenza, quasi antitetica, è la loro contrapposta visione dell’esistenza. In Klimt vive ancora la speranza di poter vincere il male, il dolore, con la forza purificatrice dell’arte – così come ne parlava Friedrich Nietzsche in Umano troppo umano – in Schiele, al contrario, domina un amaro pessimismo, nei confronti delle proprie fragilità di artista e di uomo, ma soprattutto nei confronti di una società arroccata in convinzioni conservatrici, da espugnare provocatoriamente. L’esempio più evidente lo troviamo nei ritratti che hanno per tema la donna. Per Schiele è come quando ci si guarda allo specchio e non si hanno occhi che per sé stessi. Allo specchio ha realizzato, non solo gli autoritratti, ma molti dei suoi nudi femminili, restituiti con lo sguardo di un amante che, dinanzi al corpo dell’innamorata, dimentica l’esistenza del mondo che lo circonda. Ecco perché riesce ad esprimere in questi nudi tutta la sua autenticità.

Egon Schiele disegna una modella nuda davanti a uno specchio, 1910

L’immagine che ha Klimt delle donne è l’esaltazione del corpo femminile come espressione della natura, anche quando viola il comune senso del pudore. Schiele, parte da qui, sfidando volutamente pudore e tabù sessuali del suo tempo. In contrapposizione con i disegni di nudo accademici, apparentemente neutri nelle loro rappresentazioni anatomiche, sempre alla ricerca di una sublimata perfezione, Schiele mostra esplicitamente corpi nel momento dell’eccitazione. Conosce perfettamente i segnali erotici che la società utilizza, ma non ritrae labbra carnose dipinte di rosso, occhi cerchiati di nero pesto. Schiele sciocca i suoi spettatori d’inizio secolo con immagini esplicite, difficili da esporre ancora oggi. Basti pensare a opere come Osservato in un sogno oppure L’ostia rossa, ambedue del 1911. Nel primo, il volto della modella è parzialmente coperto da un velo, al contrario delle sue intimità esibite senza riserbo; nel secondo – che è pure un autoritratto – anziché la bianca ostia del pane consacrato citata nel titolo, espone all’adorazione un enorme fallo eretto, ardente per le carezze dell’amante. Suonerebbe falso far finta d’ignorare che tali soggetti erotici erano acquistati riservatamente, e ad un prezzo maggiorato, da un pubblico amatoriale e che presto disegni ed acquerelli sarebbero stati ampiamente sostituiti da album fotografici. Oggi mostrare immagini forti come L’origine del mondo di Gustave Courbet o gli amplessi fra Jeff Koons e la moglie Cicciolina, fanno molto “intellettuale”: metabolizzate, non suscitano più scandalo. Non era, comunque, così all’epoca di Schiele, perché proprio a causa dei suoi ritratti, reputati spropositatamente spinti e indecenti, dovette patirne le conseguenze.

Egon Schiele, Ragazza con le calze grigie, 1917

«Vienna è piena di ombre, la città è nera – scrive nel suo diario – Voglio essere solo [nei] boschi boemi, ché non ho bisogno di sentire nulla di me stesso». Decide, quindi, di trasferirsi a Krumau, città natale di sua madre. Willy Lidl gli procura una casetta appartata, con giardino, nella quale impianta l’atelier. Aveva conosciuto l’amico Willy quando, con i compagni della colonia del Neukunstgruppe, una prima volta a Krumau aveva già trascorso un’estate. Gli facevano strada sua sorella Gerti e Anton Peschka, che più tardi la sposerà, e Erwin Osen con la fidanzata del momento, una danzatrice di nome Moa, che per gli artisti farà da modella. In quell’occasione Willy Lidl aveva confessato ad Egon la sua profonda tenerezza e lui lo ritrarrà nel 1910. A Krumau, questa volta, è accompagnato da Wally (Valerie Neuzil), il primo vero amore della sua vita. È una delle modelle che gli presta Klimt, del quale dicono che sia anche l’amante. Da questo momento sarà solo per Schiele. Si apre una fase creativa molto intensa. Vedute dei dintorni agresti o del borgo, ma soprattutto studi di nudo incentrati sulla convivenza erotica dei due giovani. Questa strana e illecita situazione – e quel gironzolare di ragazzini e ragazzine incuriositi, che spesso si prestano a fare da modelli – porta a dicerie che si trasformano in aperto conflitto. Tra la fine di luglio e primi d’agosto del 1911, Egon e Wally devono lasciare Krumau e si trasferiscono a Neulengbach, una cittadina vicino a Vienna. Nell’autunno del 1911 e nel primo trimestre dell’anno successivo Schiele crea opere di pittura rivoluzionarie, come la Città morta o il Municipio di Krumau, Paesaggio con corvi, Gli eremiti, Donna in lutto, Cardinale e suora e una serie di Alberi in autunno.

Egon Schiele, Wally, 1912

Vivere nel peccato con l’ancora minorenne Wally irrita la popolazione di una città di provincia come Neulengbach. La pensano diversamente i ragazzi che preferiscono oziare nello studio di Schiele. Il suo amico biografo Albert Paris von Gütersloh ha descritto l’atmosfera libertaria che vi si viveva: «Beh, hanno dormito, si sono ripresi dalle sberle dei genitori, hanno oziato pigramente, cosa che non era permesso fare a casa loro». Il colpo di scena avviene il 13 aprile 1912, quando Schiele a Neulengbach viene arrestato. Una quattordicenne, Tatjana von Mossig, scappata di casa ha trovato riparo da Egon. Il padre, alto dirigente del Ministero della Marina, lo ha denunciato per sequestro di persona e stupro. Non c’è da meravigliarsi che una preadolescente, sognatrice, si fosse invaghita di Schiele. Gütersloh lo descrive come «eccezionalmente bello», di aspetto curatissimo, sempre sbarbato ed elegante, dai modi raffinati. Esattamente il contrario di come amava ritrarsi: la fronte alta, gli occhi sbarrati e profondi che sbucano dalle orbite, espressione tormentata, corpo emaciato, mani ossute come quelle di uno scheletro. Nel suo Diario dal carcere, il 18 aprile 1912 scrive: «Devo vivere con i miei escrementi, respirarne l’esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta – non posso nemmeno lavarmi a modo. Eppure, sono un essere umano! Anche se carcerato. Nessuno ci pensa?». Carl Reininghausen, influente collezionista di Schiele, gli procura un avvocato, ma gli toglie il confidenziale “tu”. L’accusa principale di aver sedotto la ragazzina si rivela infondata, visto che da un accertamento risulta ancora illibata. Schiele è, però, condannato all’arresto, perché gli adolescenti hanno potuto vedere affissi al muro dei «disegni indecenti» e uno di quei nudi, servito come atto d’accusa, viene pubblicamente bruciato in aula a conclusione del processo. A St. Pölten, Schiele trascorre in custodia gli ultimi ventiquattro giorni che gli rimangono da scontare. Continua a lavorare lo stesso, anche senza strumenti: «Mi sono messo a dipingere per non impazzire del tutto. Servendomi delle macchie nell’intonaco ho creato paesaggi e teste sulle pareti della cella, poi osservavo il loro lento asciugarsi fino a impallidire e svanire nella profondità del muro, come fatti sparire dall’invisibile potenza di una mano incantata».

Egon Schiele, L’unico arancione era l’unica luce, 19.04.1912 , acquarello e matita su carta

Nel 1912, insieme al gruppo da lui fondato, espone col Der Blaue Reiter a Budapest, di nuovo a Monaco ed Essen. A novembre torna a Vienna e si trasferisce in un atelier nella Hiertzinger Hauptstrasse, da cui non si sposterà più. Klimt lo presenta al collezionista August Lederer, che gli chiede di impartire lezioni al figlio Erich. Franz Pfemfert pubblica poesie e disegni di Schiele sul periodico berlinese Die Aktion. Tre delle sue opere sono richieste per una mostra internazionale a Colonia e una litografia appare nel portfolio della casa editrice Delphin di Monaco di Baviera. Nel 1913 è ammesso alla Federazione degli artisti austriaci (Bund Österreichischer Künstler), di cui Gustav Klimt è presidente, e nel medesimo anno si reca a Monaco, dove espone in una collettiva alla Galerie Golz. Sembra che il motore abbia impresso tutta la sua spinta, ma il 28 luglio 1914 è ufficialmente dichiarata la guerra tra l’Impero Austro-Ungarico e la Serbia. Schiele commenta: «Viviamo nel periodo più violento che il mondo abbia mai visto. Centinaia di migliaia di persone moriranno miseramente, ognuno dovrà sopportare il proprio destino o vivendo o morendo. Siamo diventati duri e senza paura. Ciò che era prima del 1914 appartiene a un altro mondo». Nonostante tutto, Schiele tiene abilmente in mano le redini della sua carriera e continua imperterrito il lavoro. Come sosteneva in quegli stessi anni Kandinsky: «Il cavallo porta il cavaliere, ma è il cavaliere che guida il cavallo». È ormai un artista internazionale. Anton Josef Trèka lo fotografa in pose stravaganti da pantomima. Nel 1915 espone alla Galerie Arnot viennese una mostra esclusiva di sedici dipinti, acquerelli e disegni: tra questi, l’Autoritratto in cui si raffigura come un moderno San Sebastiano vittima delle frecciate dei suoi detrattori. Nel 1916 Die Aktion pubblica un Libretto Egon Schiele che, oltre alle riproduzioni dei suoi disegni, contiene una sua xilografia.

Egon Schiele, manifesto per la personale alla Galerie Arnot, 1915

L’arte s’intreccia sempre con la realtà della vita. Schiele è ritenuto idoneo e arruolato al “servizio per un anno” – concesso a chi possiede un titolo di studio – nel 75° reggimento fanteria imperiale e reale. Ne consegue che impedito nel suo lavoro creativo, a corto di denaro, dovrà chiudere lo studio. Non è possibile. Ha un’idea: di fronte all’atelier abitano i suoi padroni di casa, i coniugi Harms della media borghesia, che hanno due giovani figlie, Edith e Adele. Le ragazze, per vanità, si sono concesse al pittore come modelle, che ne ha approfittato per farsi pagare le prestazioni. Schiele propone a Edith, che è maggiorenne, di sposarlo. Edith, da lui affascinata, accetta, ma gli chiede di rompere la relazione con la sua modella. Il pittore, con freddezza, informa perciò Wally della sua decisione di unirsi in matrimonio con Edith, solo per interesse. Per lui è un matrimonio socialmente vantaggioso, per cui le propone il classico triangolo amoroso. Forse la sorte della ragazza sarebbe stata differente, se non si fosse trovata in questa sventurata situazione. Wally delusa entra nella Croce Rossa come infermiera volontaria e al fronte morirà nel 1917 affetta da scarlattina. Il capolavoro allegorico che Schiele dipinge racchiude tutto il senso tragico di questa vicenda. Al momento del distacco s’intitolava L’Uomo e la Ragazza. Prostrata si aggrappa all’innamorato, incapace di trattenere la sua fragile presa. Il lenzuolo bianco, che sembra avvolgere le due figure rannicchiate, ora appare come un sudario. Quando Schiele è informato della morte di Wally cambia il titolo, ricalcando il Quartetto in re minore di Franz Schubert, pubblicato postumo nel 1831. Questo è quanto dicono i critici d’arte, spesso dimentichi di cosa sia il dolore vero e non letterario. La Morte e la Fanciulla, rappresenta in realtà la presa di coscienza di Schiele di essere stato la causa di una decisione che, forse, poteva evitare.

Egon Schiele, La Morte e la Fanciulla, 1915

Il 17 giugno 1915, infatti, cinque giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno, Schiele aveva sposato Edith Harms e immediatamente dopo era partito per il servizio militare in Boemia. Nel 1916 è recluso nel campo di prigionia russo situato a Mühlung vicino a Wieselburg. Liberato, un anno dopo, torna a Vienna per lavorare nel Museo dell’esercito. Potendo usufruire di congedi parentali, sua moglie gli fa da modella, ma quando rimane incinta Schiele riprende a cercare altrove delle figure esili. Nel 1918 sul suo taccuino sono registrate centodiciassette sessioni di posa con altre modelle. Disegna in continuazione, producendo studi e immagini per libri o riviste. Lavora per il periodico The Dawn. Il libraio viennese Richard Lanyi pubblica un portfolio con dodici collotipie. Scrive al cognato, incitandolo ad afferrare ogni momento libero dal servizio militare per disegnare: «Da quando ci ha colpito il sanguinoso terrore della guerra mondiale, alcuni probabilmente si saranno resi conto che l’arte è più di una semplice questione di lusso borghese».

Egon Schiele, La famiglia, 1918

Dopo l’inattesa morte di Klimt, su Schiele si concentra l’attenzione degli ambienti artistici viennesi. Alla 49a esposizione della Secessione, nel 1918, porta diciannove grandi dipinti e ventiquattro disegni. Franz Martin Haberditzl acquista per la Moderne Galerie il Ritratto di Edith. Chiede però una modifica, poiché l’ha trovata troppo indecente e Schiele lo accontenterà coprendola con una gonna. Sbaglia chi nella profusione di biografie insiste, in modo melenso, su di uno Schiele presago dell’imminente fine. Fra gli ultimi suoi dipinti c’è La Famiglia: la figura dell’uomo racchiude e protegge la donna, che, a sua volta, racchiude e protegge il bambino. Adele, la sorella di Edith, ricorda in uno scritto come il bambino di questo dipinto fosse stato ideato «come un mazzo di fiori». Sembra quasi che Schiele abbia raggiunto finalmente una stabilità interiore. Già immagina un atelier più grande, perché i locali in cui ha prodotto i lavori di questi ultimi anni li vede trasformati in una scuola. Ha in progetto un Centro d’arte dove fare coesistere varie discipline, dell’arte visiva alla musica e alla letteratura. I membri fondatori dovrebbero essere Schönberg, Klimt, Hofmann. La morte lo coglie il 31 ottobre, tre giorni dopo sua moglie e il figlio che porta in grembo. Tre giorni dopo ancora, il 3 novembre 1918, capitola anche l’impero Austro-Ungarico e tutta un’epoca.

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Il primo viaggio: Ulisse, tra l’azione e i flash-back 

di Daniele Bertolami

Il poema è formato da 24 libri per un totale di 12.110 esametri. All’interno dei 24 libri, possiamo contraddistinguere 5 nuclei tematici di lunghezza diversa.

Il primo (dal Libro I al  Libro IV) si narra delle circostanze ad Itaca e della, così chiamata, “Telemachìa”, cioè, di Telemaco (il figlio di Ulisse) che viene convinto dalla dea Atena (col consenso di Zeus) a recarsi, in cerca del padre, a Pilo e a Sparta. Incontrato il re Nestore a Pilo, egli va fino a Sparta da Menelao ed Elena, di nuovo insieme. Non trova reali notizie del padre Ulisse.

Il secondo nucleo (dal Libro V al Libro VII) racconta del naufragio di Ulisse sull’isola di Scheria, a causa di Poseidone, e della conoscenza dell’eroe con i Feaci e il loro re Alcinoo.

Il terzo gruppo (dal Libro VIII al Libro XII) tratta gli “Apologhi presso Alcinoo”, cioè i Racconti che Ulisse fa, la notte del ventitreesimo giorno dall’inizio del poema, ad Alcinoo e alla sua corte. Come in un flash-back, egli racconta gli imprevisti e gli avvenimenti del suo viaggio verso Itaca.

La quarta parte (dal Libro XIII al Libro XXIII) ci parla dei Feaci, che ascoltate le peripezie incredibili dell’eroe, compresi delle sue tristezze e difficoltà, accompagnano Ulisse ad Itaca. Raggiunta l’isola, dove spadroneggiano i Proci, in accordo con il figlio Telemaco e con il fedele servo Eumeo, nella tenda di quest’ultimo, organizzano il piano della vendetta contro gli usurpanti. In un inaspettato lago di sangue, Odisseo uccide i suoi avversari e torna, con la fedele moglie Penelope, a regnare felicemente su Itaca.

Il quinto nucleo (nel Libro XXIV) è, in pratica, il riepilogo sintetico delle vicende di Ulisse, già raccontate precedentemente.

La suddivisione in 24 libri non è, tuttavia, autentica. Una tale divisione deve attribuirsi ai filologi alessandrini, che assegnano ad ogni libro una lettera dell’alfabeto greco, che è, appunto, formato da 24 lettere. Le lettere sono maiuscole per il racconto dell’Iliade e minuscole per l’Odissea.

Leggi anche:
L’Odissea tramandata oralmente
Ulisse: tra l’azione e i flash-back 
Le tre lingue dell’Odissea e la narrazione in metrica

IMMAGINE DI APERTURA  – Composizione grafica di Testa di Ulisse da un gruppo scultoreo raffigurante Ulisse che acceca Polifemo (Marmo, greco, probabilmente del I secolo d.C. Dalla villa di Tiberio a Sperlonga. Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga) tratta da Wikipedia e illustrazione di Maicon Fonseca Zanco da Pixabay. 

Egon Schiele: “Fanno un sacco di pubblicità con i miei disegni proibiti”

di Sergio Bertolami

36/2 (Parte prima) – I protagonisti

Non soltanto la guerra, ma anche la pandemia d’influenza spagnola, falcidiarono milioni di vittime. «La guerra è finita e devo andare – scrive Egon Schiele ansioso di riprendere a pieno ritmo il suo lavoro d’artista – I miei dipinti saranno esposti in tutti i musei del mondo». In quell’anno 1918 arriva la tanto sognata svolta con la 49ª mostra della Secessione. Schiele espone 19 tele ad olio e una trentina fra disegni ed acquerelli: vende ben cinque dipinti. La Österreichische Galerie Belvedere acquisisce il Ritratto di Edith, sua moglie: è il primo acquisto di una sua opera da parte di un museo austriaco. È lui che disegna il manifesto dell’importante mostra: una specie di tavola rotonda dell’avanguardia austriaca. Schiele siede a capotavola, gli altri personaggi rimangono indistinti, sono artisti e ammiratori del suo lavoro: Georg Merkel, Willi Novak, Felix Harta, forse Otto Wagner. Dicono che la sedia vuota in primo piano era nei disegni preparatori occupata dalla figura di Klimt. Al momento di andare in stampa il maestro era già morto e quindi, nella versione finale, Schiele lasciò la sedia vuota. L’influenza spagnola già impazzava anche a Vienna e Gustav Klimt era stato una delle prime vittime. Colpito da ictus l’11 gennaio 1918, al rientro da un viaggio in Romania, è ricoverato d’urgenza e in ospedale si contagia, morendo per infezione polmonare provocata dal virus, il 6 febbraio, a soli 56 anni.

Egon Schiele, manifesto per la 49ª mostra della Secessione, 1918

La medesima sorte tocca in autunno allo stesso Schiele, il prediletto di Klimt. E dire che, per ironia, per scongiuro o, davvero, presago di una presumibile e imminente fine a causa della pandemia, in quello stesso anno Schiele aveva progettato un mausoleo per sé e per sua moglie. In una fotografia dell’artista sul letto di morte (ritratto da Martha Fein) ha la testa appoggiata sul braccio piegato come se dormisse, in una delle pose da pantomima raffigurate nei disegni che lo hanno reso celebre. Si è spento il 31 ottobre 1918, tre giorni dopo sua moglie, Edith Harms, incinta di sei mesi. Per evitare l’infezione, chi veniva a fargli visita comunicava con lui attraverso uno specchio, posto sulla soglia tra la stanza da letto e l’atelier. Lo stesso specchio che usava per ritrarre le modelle. Durante la sua esistenza brevissima, conclusa a 28 anni – di cui poco più che una decina dedicati all’arte – ha prodotto 334 dipinti ad olio e 2.503 disegni. Carattere insofferente ma vitale, elegantissimo dandy, dall’abilità grafica straordinaria, ha ottenuto consensi sin dall’inizio del suo promettente lavoro di studente. Tra il 1906 e il 1909, quando ancora frequenta l’Accademia di Vienna, è accolto con entusiasmo nella cerchia sofisticata ed estetizzante di Klimt e di Hofmann, semplicemente esibendo l’album dei suoi lavori. Per gli intellettuali ed artisti che lo elogiano rappresenta il senso concreto di quel clima innovativo e lineare dello stile Jugend. Raffigura ritratti di amici ed autoritratti, nature morte e paesaggi di case, ma soprattutto un’infinità di nudi. Terribilmente non convenzionali. Così mentre Sigmund Freud mette in evidenza le turbe represse della società viennese, Schiele scruta le intimità delle sue giovanissime modelle, smascherando la celata sessualità di un pubblico ipocrita.

Egon Schiele in un ritratto fotografico di Anton Josef Trcka (Antios), 1914

Unico figlio maschio di Adolf Schiele e Marie Soukup, Egon Schiele è nato il 12 giugno 1890 a Tulln, sulle rive del Danubio, a una trentina di chilometri a nord di Vienna. Passa l’infanzia in un appartamento di servizio al primo piano dell’edificio dello scalo ferroviario, dal momento che suo padre è il capostazione di Tulln. Come spesso accade, in famiglia tutti sono convinti che “da grande” sarà un eccellente ingegnere ferroviario, come il nonno Karl, a suo tempo impegnato nel progetto per la costruzione della linea ferroviaria di collegamento fra Praga e la Baviera. Lo zio, Leopold Czihaczek, marito di una sorella del padre, è impiegato nelle ferrovie come ispettore capo e anche il nonno materno, Johann Soukup, da giovane lavorava su di una linea della Boemia meridionale. Così Egon sviluppa da bambino una innata passione: installa i binari dei suoi trenini a molla e gioca con locomotive e vagoni in miniatura. Già dall’età di dieci anni, ispirandosi agli schizzi del padre, disegna stazioni e convogli passeggeri. Se questa storia fosse continuata assecondando le attitudini infantili, avremmo perso uno dei maggiori esponenti della pittura espressionista. Per fortuna Egon cambiò idea, forse dopo uno scatto d’ira di suo padre, che un giorno gli bruciò uno dei quadernini da disegno. Per la verità, il padre ogni tanto trascendeva oltre misura, non per carattere, ma per malattia: una volta tentò di gettarsi dalla finestra e un’altra scaraventò nel fuoco i titoli azionari delle Ferrovie di Stato austriache, mandando in cenere la sua modesta fortuna. Una fortuna che avrebbe garantito finanziariamente la famiglia, quando la sifilide peggiorò la sua salute, rendendolo paralitico. Si raccontava in famiglia di avere contratta la malattia durante il viaggio di nozze, quando sua moglie, la prima notte, era fuggita dalla camera da letto e il marito ebbe la pessima idea di far visita a un bordello di Trieste e s’infettò. A Capodanno del 1905, la paralisi progressiva se lo portò definitivamente via a 55 anni.

Treno disegnato da Egon bambino intorno al 1900, grafite su carta, coll. 
privato (dettaglio)

Una morte che colpisce profondamente il giovane Schiele, già scosso della precedente scomparsa, a undici anni, della sorella maggiore Elvira, forse causata della medesima malattia ereditata dal padre, trasmessa alla madre, e che probabilmente aveva in precedenza ucciso in culla anche altri due maschietti nati prima di Egon. Queste tragedie familiari non sono prive di riflessi sul carattere e l’opera dell’artista, perché causate dal contorto e intransigente moralismo dei suoi tempi. Sono una reazione a tutto questo anche le intese e proibitive sessioni di nudo svolte con la sorella Gerti, che gli fa da modella, dove l’artista mostra, con un interesse distaccato, le intimità sovreccitate della disinibita dodicenne. Gerti, pelle lentigginosa, occhi verdi e capelli rossi, è il prototipo di tutte le successive donne e modelle di Schiele. Quando si trattò di commentare la prima grande mostra dedicata Schiele, a Londra nel 1964, Oskar Kokoschka la giudicò espressamente come “pornografica”. Un’idea ancora oggi radicata, se nel 2018, sempre a Londra, nei manifesti della metropolitana che pubblicizzavano la rassegna “Egon Schiele, espressionismo e lirismo”, esposta al Leopold Museum, le “parti intime” dei soggetti raffigurati da Schiele sono state coperte dalla scritta «Sorry, 100 years old but still daring today», come dire “Scusate, sono state dipinte cent’anni fa, ma sono ancora troppo audaci”. È una trovata di marketing. Norbert Kettner, quale amministratore delegato dell’ente turistico viennese ha così commentato: «Vogliamo mostrare alle persone quanto in anticipo sui tempi fossero questi grandi artisti attivi a Vienna più di un secolo fa. Oltre a questo, vogliamo incoraggiare il pubblico a notare quanto poco aperte e moderne siano rimaste le nostre società». Anche lo stesso Schiele si lamentava che i giornali censuravano i suoi lavori per vendere più copie. In una lettera scrive: «Fanno un sacco di pubblicità con i miei disegni proibiti». e continua citando cinque importanti organi di stampa che indecorosamente si riferivano a lui.

Egon Schiele, Giovane seminuda sdraiata, 1911, matita, guazzo e acquarello su carta

Dopo aver frequentato, prima il Realgymnasium a Krems, poi a Klosterneuburg, nell’ottobre 1906 Schiele supera al primo tentativo l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti ed entra nella classe di pittura di Christian Griepenkerl. Un colpo di fortuna al quale nessuno sperava, perché fino ad allora Egon era stato sempre uno studente negligente e demotivato. Lo zio Leopold Czihaczek, divenuto tutore del ragazzo, aveva sperato per lui in un lavoro di fotografo a Vienna, ma ora l’Accademia poteva rappresentare una soluzione. Già nel 1907 Egon fa di tutto per conoscere personalmente Gustav Klimt e ci riesce. Da quel momento ricopre per lui la figura paterna per eccellenza. Lo sostiene generosamente, lo incita artisticamente, e lo farà per il resto della vita. Si scambiano disegni. Accetta persino di posare per questo giovane talento.

Egon Schiele, Gustav Klimt nella sua camicia blu per dipingere (1913)

Schiele si trasferisce in un proprio studio a Vienna e nel 1908 espone per la prima volta dieci opere in una mostra pubblica nella Sala Imperiale del Monastero di Klosterneuburg. Sono paesaggi di piccola scala dipinti fra l’estate e l’autunno. All’accademia dura solo tre anni, trascorsi senza piacere né emozioni artistiche. Non frequenta le lezioni, è presente solo alle sessioni di disegno per usufruire gratuitamente dei modelli. Non può assolutamente conciliare il suo spirito innovativo con l’orientamento storicista di Griepenkerl, il quale a sua volta ha divergenze anche con un altro studente: Richard Gerstl. Così si convince che questi due bizzarri allievi li abbia mandati nella sua classe il diavolo fatto persona. Alla fine, Schiele riesce a strappare un mezzo attestato e abbandona l’Accademia ad aprile del 1909, seguito da numerosi colleghi, tra cui Anton Peschka, Anton Faistauer, Rudolf Kalvach e Franz Wiegele. Con loro fonda il Neukunstgruppe, ovvero il Nuovo gruppo artistico. Poco dopo, Albert Paris Gütersloh e Hans Böhler si uniscono a loro. Come d’uso Schiele stende anche il manifesto programmatico del nuovo gruppo: «L’arte resta sempre la stessa, non c’è arte nuova. Ci sono solo nuovi artisti […] Il nuovo artista è, e deve essere necessariamente, sé stesso. Deve essere un creatore e deve, senza intermediari, senza utilizzare l’eredità del passato, costruire le sue fondamenta assolutamente da solo. Allora soltanto sarà un nuovo artista. Ognuno di noi sia sé stesso».

Ritratto di Poldi Lodzinsky, 1910

Schiele è intraprendente e riesce a fare inserire quattro delle sue opere nella Internationale Kunstschau Wien del 1909, il cui comitato espositivo è diretto proprio dal suo amico Gustav Klimt e dove espongono ufficialmente di Gauguin, Van Gogh, Munch, Vallotton, Bonnard, Matisse, Vlaminck. Le tele di Schiele passano inosservate alla critica, ma è questa l’occasione per conoscere persone e farsi conoscere da un pubblico ampio. Entra in contatto con la Wiener Werkstätte e per il tramite dell’architetto Josef Hoffmann otterrà presto delle commesse: gli è richiesto un bozzetto per una vetrata di palazzo Stoclet che Hofmann sta realizzando ed arredando a Bruxelles. Si tratta del Ritratto di Poldi Lodzinsky, una ragazza fragile, che posa seduta con le mani in grembo, veste un camice scuro ed è avvolta da una coperta a quadri colorata. La modella è la figlia di un autista di autobus di Krumau, la città natale della madre di Schiele. È un gioco di geometrie coloristiche ispirate a Klimt; ma è anche il tentativo di inserire nella casa di un ricco signore l’idea della fame e dalla miseria dei derelitti. Manco a dirlo, nonostante i vari schizzi, di cui una versione ad olio, la vetrata non fu mai realizzata.

A dicembre del 1909 il Neukunstgruppe allestisce la sua prima mostra alla Kunstsalon Pisko e, in questa circostanza, Arthur Roessler, critico d’arte del quotidiano socialdemocratico Arbeiter-Zeitung, scopre le doti del giovane pittore. Attraverso la mediazione di Roessler, Schiele incontra i collezionisti d’arte Carl Reininghaus e Oskar Reichel, che finanziariamente gli permettono un dignitoso ingresso nell’ambiente artistico viennese assicurandogli molte opere su commissione. Influente mecenate è il collezionista d’arte Franz Hauer, ma c’è anche l’editore Edouard Kosmack al quale Schiele dedicherà uno dei suoi ritratti più espressivi. Quel che più conta è la stretta amicizia che nasce con Klimt. Lo aiuta, lo consiglia, gli paga le modelle. Tuttavia, a differenza di Klimt, Schiele preferisce cercare per strada i soggetti dei suoi lavori. Sono ragazze del proletariato oppure prostitute. Ama i corpi smilzi e asciutti, giovani donne che ricordano il fisico acerbo di sua sorella, con la quale aveva cominciato a disegnare, soprattutto modelle che si diversificano per la loro appartenenza ad una classe subalterna, così differenti dalle signore abbienti, procaci e ben nutrite, strette nei loro traboccanti corsetti. Un’idea che non mancherà di suscitare le obiezioni dei benpensanti.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Il primo viaggio: l’Odissea tramandata oralmente

Narrami, o Musa, di quell’uomo versatile che molto tempo vagò dopo che ebbe gettato a terra le sacre torri di Troia 

di Daniele Bertolami

All’opera di Omero si attribuiscono due dei più grandi poemi epici greci: l’Iliade e l’Odissea.
All’interno della cultura classica occidentale l’Odissea è uno dei testi principali, di cui, oltre alla versione originale, abbiamo una serie di traduzioni. Tra queste è famosa quella di Ippolito Pindemonte, di taglio classicista, quella del 1963 di Rosa Calzecchi Onesti e recentemente, di Aurelio Privitera, con traduzione più moderne e lineari. Tuttora fondamentale e studiato e letto in tutto il mondo, il testo dell’Odissea, narra del viaggio di ritorno di Odisseo (Ulisse per i latini) a Itaca, dove regnava. Odisseo aveva partecipato alla conquista di Troia, narrata nel primo libro, l’Iliade.

L’Odissea e l’Iliade vengono create nella Ionia d’Asia intorno al IX secolo a.C., mentre, altri storici ritengono che sarebbero state composte tra l’800 a.C. e il 700 a.C. Prima della stesura scritta,  l’Odissea è stata tramandata oralmente da dotti aedi e rapsodi. Gli Aedi, in particolare, nella recitazione utilizzavano un metro regolare chiamato “esametro dattilico” o “esametro epico”.
Da un originale della seconda metà dell’VIII secolo a.C., il tiranno ateniese Pisistrato decise di unificare le diverse versioni e dare forma scritta definitiva al poema (nel VI secolo a.C.). Nonostante ciò, esistono molte versioni dell’Odissea, da quelle legate alle polis (Massalia, odierna Marsiglia, Creta, Cipro, Argo e Sinope), a quelle legate a grandi personaggi storici (come Antimaco di Colofone o Euripide, il figlio del drammaturgo).
La grande opera epica fu tramandata, comunque, oralmente in Egitto fino al III secolo d.C.

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IMMAGINE DI APERTURA  – Composizione grafica di Testa di Ulisse da un gruppo scultoreo raffigurante Ulisse che acceca Polifemo (Marmo, greco, probabilmente del I secolo d.C. Dalla villa di Tiberio a Sperlonga. Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga) tratta da Wikipedia e illustrazione di Maicon Fonseca Zanco da Pixabay. 

Richard Gerstl – Il primo espressionista austriaco, un esistenzialista “avant-lettre”

di Sergio Bertolami

36/1 – I Protagonisti

Richard Gerstl (Vienna 1883 – Vienna 1908). Per esprimere il senso tragico di una realtà che sta mutando anche in Austria, si può fare riferimento ad un pittore in particolare, conosciuto perlopiù fra gli addetti ai lavori. È Richard Gerstl, considerato dall’attuale critica come il primo artista espressionista austriaco. Uno spirito irrequieto e ribelle, un esistenzialista avant-lettre, un solitario, rimasto quasi del tutto estraneo allo stesso ambiente viennese dei suoi tempi. Nei cinque anni durante i quali si è dedicato alla pittura ha realizzato un’ottantina di quadri, che non ha mai voluto presentare in pubblico. È nato a Vienna il 14 settembre 1883, terzo figlio di Emil Gerstl e Maria Pfeiffer. Il padre, originario della diocesi ungherese Neutra, è un agente di cambio ebreo che ha conseguito una notevole fortuna, grazie alla quale la famiglia può vivere le condizioni agiate della buona borghesia. La madre viene da Kaplice, nell’odierna Repubblica Ceca, è cristiana e insiste perché i figli ricevano il battesimo cattolico romano. Per questo motivo Richard frequenta inizialmente il Ginnasio nell’Istituto dei Padri Scolopi di Vienna, ma il ragazzo presenta già problemi caratteriali e la famiglia decide di trasferirlo in una scuola laica, la Meixner Private School. Nel corso dell’anno scolastico Gerstl riceve le prime lezioni di disegno da Otto Frey.

Richard Gerstl, Autoritratto

Nel 1898, trascorre due mesi nella scuola di disegno “Aula” di Ladislaus Rohsdorf per prepararsi a sostenere l’esame d’ammissione all’Accademia di Belle Arti di Vienna (Akademie der bildenden Künste Wien). Il padre non è convinto che questa sia la strada giusta per affermarsi, ma lo aiuta economicamente e moralmente. Quindicenne, inizia alla Allgemeine Malerschule. In verità, ad osservare, il suo ondivago andamento di studi si può notare subito una irrequietezza di fondo che porta Gerstl ad intraprendere percorsi di apprendimento, anche nell’ambiente artistico, che non lo convincono affatto. Dal 1898 al 1900 frequenta il corso tenuto da Christian Griepenkerl presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna. Dopo continue tensioni con il suo insegnante, di ferme idee tradizionaliste, Gerstl interrompe gli studi. Si chiude nella stanza della pensione in cui abita e limita al minimo i contatti. S’interessa di filosofia e di musica, impara l’italiano e lo spagnolo, legge con passione gli scritti di Otto Weiniger e Sigmund Freud. Dal 1900 al 1901 segue pittura di paesaggio con Simon Hollósy a Nagybánya. Poi torna a Vienna e a ottobre del 1904 riprende le lezioni all’Accademia. Gerstl decide di rientrare nella classe di Griepenkerl. È qui che conosce Victor Hammer, col quale apre nel medesimo anno un primo studio artistico.

Richard Gerstl, Karoline e Pauline Fey, 1905

All’Accademia di Vienna, frequenta anche la sezione speciale sistematica per la pittura di paesaggio, coordinata da Heinrich Lefler. A proposito dell’incontro col professor Lefter, si racconta che nel 1905 Gerstl avesse già ritratto le sue due sorelle, Karoline e Pauline Fey, con eleganti abiti da sera, dove mani e piedi scomparivano del tutto fra i copiosi veli indossati: due figure dall’espressione solenne e ieratica. La tela convince il professor Lefter a proporre al giovane di frequentare il suo corso di pittura. Non si producono occasioni favorevoli. In realtà Gerstl, per le sue riconosciute abilità pittoriche, avrebbe diverse opportunità, ma non sa o, meglio, non vuole approfittarne. Ecco perché, alcune opere di Gerstl sono esposte in pubblico una sola volta, dal 7 al 14 luglio 1907, negli stessi locali dell’Accademia. Anche il rapporto col professore Lefler coi mesi diviene abbastanza teso e quando si tratta di proporre i suoi elaborati si preferisce escluderlo dalle presentazioni per timore di scandali che minaccia sempre di suscitare. Ad esempio, rifiuta che i suoi dipinti siano esposti accanto a quelli di Gustav Klimt alla Galerie Miethke diretta da Carl Moll. Le sue opinioni radicali e il suo atteggiamento elitario ed egocentrico provocavano controversie ovunque. Nel 1908 il rapporto tra Gerstl e il professore Lefler si deteriora del tutto. Gerstl lamenta la mancata partecipazione di Lefler al Kaiserjubiläum e alla prevista mostra dell’Hagenbund. Allo stesso modo, fallisce la partecipazione all’Ansorge-Verein. Il 22 luglio scrive una lettera al Ministero della Cultura e dell’Istruzione in cui protesta che Lefler non lo ha lasciato esporre alla nuova mostra in Accademia.

Richard Gerstl, Il lungolago vicino a Gmunden, 1908

Una breve e contrastata esistenza creativa, dunque, che si è conclusa a pochi giorni dalla chiusura della Kunstschau Wien 1908, nella notte tra il 4 e il 5 novembre, a soli 25 anni. Dopo avere bruciato alcuni schizzi e dipinti e avere tentato di accoltellarsi, si è impiccato nel suo studio di Vienna, in Lichtensteinstrasse 20, davanti allo specchio più volte utilizzato nei suoi numerosi autoritratti. La famiglia scossa dal gesto inconsulto, benché lo avesse sostenuto nella scelta di frequentare l’Accademia e dedicarsi all’arte, ha deciso di conservarne in privato la memoria, probabilmente non consapevole del valore artistico delle opere. I dipinti salvati, raccolti amorevolmente nell’atelier dal fratello Alois, sono imballati e depositati nei locali di una ditta di spedizioni, la Rosin & Knauer. Fra questi dipinti, 34 sono tornati alla luce per interessamento del mercante d’arte Otto Kallir, fondatore della Galerie Saint Etienne. Acquistati e restaurati, nel 1931 sono stati offerti al pubblico in una mostra che ha fatto scalpore: Richard Gerstl – Il destino di un pittore. Dopo Vienna, altre città, come Monaco, Berlino e Aquisgrana, sono state le tappe successive di una mostra itinerante. In Italia sono state presentate per la prima volta alla XXVIII Biennale di Venezia nel 1956.

Gerstl nel suo studio, 1907. Sullo sfondo lo specchio davanti al quale si è suicidato

Oggi le opere recuperate di Richard Gerstl sono sessanta tele e 8 disegni, tutte non datate, salvo l’ultimo autoritratto del 12 settembre 1908. Va detto, per comprendere il tragico evento, che Gerstl, appartenendo a una famiglia benestante, frequenta circoli esclusivi. Oltre alla pittura è un appassionato di concerti, così fra le sue aspirazioni c’è quella di critico musicale. Intorno al 1907 stringe amicizia con i compositori Arnold Schönberg e suo cognato Alexander von Zemlinsky, che all’epoca vivono nel medesimo palazzo. In particolare, a Schönberg impartisce lezioni private di pittura e con lui si intrattiene in lunghe disquisizioni su temi d’arte. Trascorre le vacanze del 1907 sul lago Traum e qui esegue anche vari ritratti dei famigliari e degli amici del musicista. L’iniziale riferimento a Van Gogh influenza la sua pennellata, ma non mancano riflessi di Toulouse-Lautrec o tocchi più morbidi che ricordano Bonnard o Vuillard. Col tempo la sua pittura assume accenti più convulsi e brillanti, da farne anticipare soluzioni proprie di un nascente Espressionismo.

A luglio 1908 Gerstl si reca per la seconda volta a Traunstein dalla famiglia Schönberg in vacanza. Continua a fare ritratti. Modella preferita degli ultimi tempi è la moglie di Schönberg, Mathilde. Con lei, di sei anni più grande, intraprende, però, una relazione che a Schönberg si rivela in modo lampante. Alla fine di agosto, infatti, Gerstl e Mathilde sono colti in flagranza dal marito. I due amanti fuggono insieme e rientrano a Vienna, tuttavia Mathilde interrompe la relazione dopo pochi giorni, grazie all’intervento di un amico comune, il compositore Anton Webern. Così la donna decide di tornare dal marito. Gerstl viene, però, escluso non solo dall’amicizia con Schönberg, ma dall’intero Circolo di compositori e musicisti. Il 4 novembre 1908 si tiene un concerto degli allievi di Schönberg nella Great Viennese Musikvereinssaal, e chiaramente Gerstl non è invitato. La stessa sera si suicida.

Nessuno immaginava che il giovane, sentitosi rifiutato dalla donna amata e dalla cerchia di conoscenze, potesse giungere a una decisione irrevocabile. In un autoritratto Gerstl rappresenta il proprio corpo nudo con i genitali enfatizzati. Il dipinto è una provocazione rivolta alla collettività alla quale si mostra come una persona spoglia e indifesa che ormai ha riposto la sua vita nelle mani del destino. La figura è snella, rappresentata con pennellate veloci, e sullo sfondo astratto blu e giallo si evidenzia l’uso della punta in legno del pennello, per segnare riccioli che ricordano ancora una volta Van Gogh. In contrapposizione con lo stile diretto e irriverente dell’autoritratto, l’artista rappresenta Mathilde come una donna riservata, distaccata, quasi passiva. Il ritratto s’intitola Nudo femminile seduto (autunno 1908). È probabilmente l’ultimo dipinto in cui Gerstl manifesta il suo amore, realizzato nei pochi giorni che precedono la morte, a conclusione il suo lavoro d’artista e della sua vita.

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Il Gruppo Klimt e le mostre d’arte 1908 e 1909 a Vienna

di Sergio Bertolami

36 – L’Espressionismo in Austria

Fino allo scoppio della Grande guerra, Vienna è senza dubbio uno dei centri più vivaci dell’arte moderna. Le eleganti suggestioni dell’Art Nouveau, avvalorate dagli artisti della Wiener Sezession, sono gli ultimi sprazzi della Bella époque mitteleuropea, caratterizzata da prosperità economica e da una vita spensierata e gioiosa. Perlomeno, riguardo alle classi elevate. Il personaggio cool dell’arte è Gustav Klimt; pur tuttavia, laddove si concentra una moltitudine di personalità e d’interessi, la frangia dei dissenzienti si accresce senza eccezione. Uno dei primi motivi di malanimo si rivela di fronte alla scelta delle opere da inviare oltre Oceano, all’Esposizione Universale di San Louis del 1904. Ecco così che nel 1906, dopo ripetuti screzi, considerata l’impossibilità di colmare la frattura fra i membri della Secessione, Klimt ed altri artisti a lui vicini danno vita alla “secessione dalla Secessione” e fondano un nuovo gruppo, denominato, va da sé, “Gruppo Klimt”, per il ruolo svolto dall’artista come esponente di primo piano. Ne scaturisce un comitato per realizzare una grande mostra d’esordio: la Kunstschau (Mostra d’arte).

Kunstschau Wien 1908, edificio principale. Cartolina disegnata da Emil Hoppe

Ciò nonostante, Vienna non possiede un edificio ritenuto idoneo all’esposizione, quindi si decide di eseguire il progetto di Josef Hoffmann, Otto Schonthal, Karl Breuer e Paul Roller. Viene individuata una vasta area libera nei pressi di Lothringenstrasse e si erige un palazzo con ampi belvederi, piazzali e giardini, un locale di ritrovo e 44 sale per mostre. All’esterno sono previsti spazi terrazzati, una caffetteria e un piccolo teatro all’aperto, dove allestire spettacoli nelle giornate estive. Hoffmann e Klimt, anche in questa occasione, vedono un’opportunità per creare la vagheggiata opera d’arte totale (Gesamtkunstwerk). Mentre Josef Hoffmann e Koloman Moser fondano la Wiener Werkstätte (laboratorio viennese, 1907-1908) nell’estate del 1908 (dal 1° giugno al 16 novembre) è inaugurata finalmente la prima manifestazione ufficiale del nuovo gruppo, la Kunstschau Wien 1908, una mostra d’arte e artigianato, presieduta da Klimt.

Manifesto di Rudolf Kalvach, 1908

Moser è incaricato di allestire la Sala espressamente dedicata al maestro, per esporre sedici dei suoi capolavori. Hoffmann si occupa, invece, dello spazio per la presentazione dei prodotti della Wiener Werkstätte. Varie sale sono destinate alle opere d’arte: le sculture di Franz Metzner e i dipinti di Alfred Roller e Carl Otto Czeschka, Koloman Moser. Non mancano i giovani talenti come Oskar Kokoschka, Elena Luksch-Makowsky, Max Oppenheimer ed Heinrich Schröder. L’anno successivo, nel complesso edilizio di Hoffmann, la seconda esposizione ha a un taglio di più ampio respiro e prende il nome di Internationale Kunstschau (Mostra d’arte internazionale), con Klimt sempre presidente. Espongono artisti stranieri come lo scultore Barlach o pittori come Van Gogh, Gauguin, Munch, Amiet, i Nabis Bonnard, Vuillard e Denis, i Fauve Vlaminck e Matisse. Nonostante le due mostre riscuotano da parte della critica giudizi positivi, si rivelano un insuccesso economico e la terza edizione viene annullata. Quel che rende la decisione irrevocabile è che il 4 novembre 1909 il palazzo delle esposizioni è demolito ed oggi la medesima area è occupata della sala per concerti Wiener Konzerthaus.

Internationale Kunstschau, spazi degli allestimenti

A ben considerare, il Friedrich Nietzsche di Umano troppo umano (1886) che si sofferma sul grandissimo compito dell’arte, disatteso dalla cosiddetta “arte vera e propria delle opere d’arte”, si sarebbe appassionato – e forse avrebbe modificato qualche tratto del suo ragionamento – di fronte al prospettarsi dei nuovi orientamenti: dallo sviluppo delle idee portate dalla Secessione viennese alle nuove linee espressionistiche della Brücke e del Blaue Reiter che filtrano, in questi stessi anni, negli ambienti artistici dell’avanguardia. «L’arte – scrive Nietzsche – deve innanzitutto e in primo luogo abbellire la vita […] deve nascondere o reinterpretare il brutto, quelle cose sgradevoli, orribili e ripugnanti che, nonostante ogni sforzo, proromperanno sempre di nuovo conformemente all’origine della natura umana: così essa deve operare soprattutto nei confronti delle passioni e dei dolori e angosce dello spirito, e lasciar intravvedere l’elemento significativo di ciò che è inevitabilmente o irreparabilmente brutto». Ma l’arte della maggior parte di coloro che dispongono di tempo libero – riflette – di coloro cioè che credono di non poter vivere senza musica, teatro e visite alle gallerie, senza letture di romanzi e poesie, senza l’arte del “bello”, per intenderci, «è solo un accessorio […] Se cominciamo il pasto dal dessert e assaporiamo dolciumi su dolciumi, che c’è da stupirsi se ci guastiamo lo stomaco e persino l’appetito per il pranzo buono, sostanzioso e nutriente al quale l’arte ci invita!». È passata poco meno di una dozzina d’anni da quando il filosofo ha scritto queste annotazioni e l’arte, quella autentica e non edulcorata, sta cercando nuove vie di cambiamento. In Germania, come in Austria.

Oskar Kokoschka, Pietà, Manifesto per Murderer, Hope of Women, dramma,Internationale Kunstschau, Vienna, 1909

«La frase già citata di Nietzsche “l’arte deve prima di tutto abbellire la vita…” – scrive Lara-Vinca Masini – se può riferirsi all’Espressionismo della Brücke, non può essere citata per quanto concerne l’altro polo d’irradiazione dell’Espressionismo mitteleuropeo, Vienna. Personalità come quelle di Kubin, Schönberg, Eugen von Kahler, Gerstl, Kokoschka, Schiele, hanno in comune un pessimismo profondo, che non trova soluzione nell’espansione del colore acceso, o nell’aspirazione ad un ritorno alle radici primigenie della vita, sul modello delle arti primitive, africane o oceaniche. Perciò i colori sono in generali cupi, il ricorso al fantastico e all’immaginario è allucinato e quasi medianico; anche il rapporto con l’arte francese più mediato; i legami sono semmai più profondi con il Simbolismo francese; ma più direttamente gli ascendenti sono Redon per Alfred Kubin, Van Gogh per Gerstl e Kokoschka, lo Jugendstil per Schiele». In verità, i rapporti degli artisti austriaci più che con la Brücke si stringeranno, a partire dal secondo decennio del Novecento, soprattutto col Blaue Reiter, almeno per quanto riguarda Kubin e Schönberg. Il fatto è che eventi tragici si stanno per abbattere sulla Felix Austria e faranno crollare l’illusione di un Felice Impero, capace di unire pacificamente popoli di etnie differenti, così come auspicato dalla politica matrimoniale adottata nel regno, secondo l’antico detto «Bella gerant alii, tu felix Austria nube» (Le guerre le facciano gli altri, tu, Austria felice, sposati). Il primo tragico evento è il triste epilogo della Prima guerra mondiale e la conseguente caduta dell’Impero Austro-Ungarico. Calerà a seguito di ciò il sipario sul lungo XIX secolo (Long 19th Century), per usare un’espressione dello storico britannico Eric Hobsbawm. Il secondo tragico evento è il diffondersi in Europa dell’influenza spagnola, che ucciderà più persone della stessa guerra: giovani vite in età compresa fra i 20 e i 40 anni. Tra l’inizio e la fine del conflitto mondiale, si spegne in Austria la vivacità di ogni processo artistico, che si chiami Jugendstil o Espressionismo. Solo nel 1918 muoiono Otto Wagner, Koloman Moser, Gustav Klimt e il suo prediletto Egon Schiele. La cesura col primo ventennio del Novecento è netta, quanto non poteva neppure immaginarsi.


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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay