Milano, Palazzo Reale – Tiziano e l’immagine della donna – Le undici sezioni della mostra

Questa mostra parla della donna dipinta da Tiziano e dai suoi contemporanei: di bellezza, eleganza e sensualità, e del ruolo tutto particolare che la loro rappresentazione acquistò nella Venezia del Cinquecento.
(Sylvia Ferino)

Mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano e Skira editore,
con il supporto di Fondazione Bracco, Main Partner

A cura di Sylvia Ferino

TIZIANO 
Venere Marte e Amore, 1550 circa
Olio su tela, 97×109 cm – Vienna, Kunsthistorisches Museum
LA MOSTRA

Le undici sezioni della mostra

  1. Premessa
  2. Ritratti
  3. Le “Belle veneziane”
  4. “Apri il cuore”
  5. Coppie
  6. Eroine e sante
  7. Letterati, polemisti, scrittori d’arte
  8. Donne erudite. Scrittrici, poetesse, cortigiane
  9. Venere e gli amori degli dei
  10. Allegorie
  11. Oltre il mito

A Venezia nel Cinquecento l’immagine della donna assume un ruolo unico e una importanza quale non si era mai vista prima nella storia della pittura. Da un lato vi è la presenza di Tiziano, con il suo interesse per la raffigurazione della donna nella sua tenera carnalità e sofisticata eleganza, e dall’altro il particolare status di cui le donne godevano nella società veneziana. Le spose veneziane esercitavano infatti diritti non comuni, quali il continuare a disporre della propria dote e il poterla distribuire tra i figli, dopo la morte del marito. Le donne non potevano partecipare alla vita politica o finanziaria, ma rivestivano certamente un ruolo importante nella presentazione dell’immagine legata al cerimoniale pubblico della sontuosa e potente Repubblica.

Contemporaneamente, si assiste a un grande incremento della letteratura sulla donna, con il rinnovato entusiasmo per il Canzoniere di Petrarca, per l’Arcadia di Jacopo Sannazzaro, per l’Orlando furioso di Ariosto da parte di importanti letterati come Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione.

Nei loro scritti, letterati e poeti si concentrano sempre di più sulle donne e sul loro ruolo di vitale importanza per la famiglia e per la continuità del genere umano. Un altro fattore importante è la solida fiducia nel potere dell’amore, a cui vengono attribuiti i meriti di rafforzare il matrimonio e garantire figli di bell’aspetto, intelligenti e felici. Così, l’aspetto di una donna amata e desiderata inizia ad acquisire sempre maggiore importanza.

Una forte componente erotica nella pittura dell’epoca diventa soggetto per i poeti, in una sorta di accesa competizione tra pittura e poesia, vinta dalla pittura per l’immediatezza e il fascino delle immagini proposte.

Questa concentrata attenzione sulla donna probabilmente alzava la loro autostima e ispirava le più erudite a partecipare con loro scritti alle discussioni di genere nella famosa “querelle des femmes” che costituisce il più importante movimento “proto-femminista” prima della rivoluzione francese. Donne come Moderata Fonte con il suo sorprendentemente moderno dialogo Il merito delle donne, e poi Lucrezia Marinelli con il suo discorso su La nobiltà et l’eccellenza delle donne mettono in questione la superiorità dell’uomo.

A Venezia è nell’arte figurativa che il tema si impone, grazie alla figura magistrale di Tiziano, che pone la figura femminile al centro del suo mondo creativo.
Grazia, dolcezza, potere di seduzione, eleganza innata sono le componenti fondamentali delle immagini femminili della Scuola Veneta, che vede in Tiziano il protagonista indiscusso, grazie a lui lo scenario artistico dell’epoca muta completamente. Per Tiziano la bellezza artistica corrisponde a quella femminile: meno interessato al canone della bellezza esteriore rispetto alla personalità di una donna e alla femminilità in quanto tale, riesce a non sminuirne mai la dignità, indipendentemente dal contesto, dalla narrazione o dalla rappresentazione.

Le “belle veneziane” sono donne reali o presunte tali, ritratte a mezza figura e fortemente idealizzate. Grazie allo studio approfondito di testi fondamentali come ultimamente L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio (1616), una sorta di enciclopedia dei gesti, queste donne non vengono più considerate come cortigiane ma come spose. Con vesti spesso scollate, dove il mostrare il seno non è simbolo di spregiudicatezza sessuale, ma, al contrario, sta a significare l’apertura del cuore, un atteggiamento di sincerità e verità, atto consensuale della donna verso lo sposo per suggellare le nozze. Queste opere sostituiscono i ritratti reali di donne delle classi patrizie o borghesi, avversati dal sistema oligarchico di governo che rifiutava il culto della personalità individuale. Quando Tiziano ritrae donne reali si tratta di figure non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova, o sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino. Le cortigiane erano spesso anche colte ed alcune di loro diventarono famose per i loro scritti, come per esempio Veronica Franco, che in una lettera ringrazia persino Tintoretto per averla ritratta. Tuttavia sino ad oggi esistono pochissimi ritratti identificabili con sicurezza con cortigiane individuali in dipinti a olio.

Ci sono poi le eroine come Lucrezia, Giuditta o Susanna che rappresentano l’onore, la castità, il coraggio e il sacrificio o Maria Maddalena nella sua fase spirituale di penitenza. E infine le figure mitologiche come Venere che nasce dal mare come Venezia e personifica la città. In tutte le donne dipinte Tiziano celebra le loro molteplici e diversificate qualità. Agli occhi di chi le guarda appaiono tutte come fortissime personalità, come divinità.

Tra i dipinti più importanti di Tiziano segnaliamo: Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere (1537 circa) da Firenze, Gallerie degli Uffizi; Madonna col Bambino (1510- 1511), Isabella d’Este in nero (1534-1536 circa), Venere, Marte e Amore (1550 circa) Danae (post 1554), Ritratto di donna (tradizionalmente identificata con Lavinia) (1565 circa), Lucrezia e suo marito (1515 circa) da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Giovane donna con cappello piumato (1534-1536) da San Pietroburgo Ermitage; Ritratto di giovinetta (1545 circa) da Napoli, Museo di Capodimonte; Allegoria della Sapienza (1560 circa) da Venezia, Biblioteca Marciana.

Di Giorgione: “Laura” (1506), da Vienna, Kunsthistorisches Museum. Di Lotto: Giuditta (1512), da Roma, BNL Gruppo BNP Paribas. Di Tintoretto: La tentazione di Adamo ed Eva (1550-1553 circa), da Venezia, Gallerie dell’Accademia, che apre la mostra insieme alla Madonna col Bambino di Tiziano a rappresentare Eva e Maria Vergine, le due emblematiche figure femminili del Vecchio e Nuovo Testamento; Ritratto di donna in rosso (1555 circa) e Susanna e i vecchioni (1555-1556), da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Leda e il cigno (1550-1560) da Firenze, Gallerie degli Uffizi. Di Palma il Vecchio: i due magnifici dipinti Giovane donna in abito blu e Giovane donna in abito verde (post 1514) e Ninfe al bagno (1525-1528) dal Kunsthistorisches Musem. Di Veronese: Lucrezia (1580-1583 circa), Giuditta (1580 circa), Venere e Adone (1586 circa) dal Kunsthistorisches Museum e Il ratto di Europa (1578 circa), da Venezia, Palazzo Ducale.

Altri dipinti di grande forza espressiva di Paris Bordon, Giovanni Cariani, Bernardino Licinio, Giovan Battista Moroni, Palma il Giovane, Alessandro Bonvicino detto il Moretto completano e arricchiscono questo affascinante itinerario nella pittura di soggetto femminile della Venezia cinquecentesca.


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Egon Schiele: “L’Arte non può essere moderna, l’Arte appartiene all’eternità”

di Sergio Bertolami

36/2 (Parte seconda) – I protagonisti

Con l’idea che non esista un’arte moderna, ma eterna, Egon Schiele dal 1909 entra a pieno titolo nella cerchia dei pittori di primo piano. Fa parte del “gruppo Klimt”. La Weiner Werkstatte stampa tre sue grafiche. Già nel 1911 gli è riservata una monografia scritta dall’amico Albert Paris von Gütersloh, uno degli artisti del suo stesso Neukunstgruppe. Nel medesimo anno, Arthur Roessler ne recensisce le opere per il mensile Bildende Künstler. A Vienna partecipa alla mostra collettiva della Galleria Miethke. In questo momento, Schiele si esprime con toni alquanto cupi e sottilmente sfumati, le cui forme s’ispirano in modo evidente a Klimt. Nondimeno, il suo è l’esempio dei mutamenti che concretizzano la formazione di uno stile espressionista anche in Austria e che segnano il definitivo superamento della Secessione. Schiele firma i suoi schizzi, ad acquerello o ad olio su carta, come vere e proprie opere d’arte. L’incompiutezza dei suoi lavori estemporanei caratterizza pienamente il processo artistico che utilizza anche nei dipinti ad olio. Rispetto a Klimt, elimina gli sfondi virtuosistici e concentra l’attenzione sui soggetti, il più delle volte appena abbozzati, con un disegno aspro dalle linee dure e sofferte. Rinuncia del tutto al gusto della decorazione ornamentale e preziosa, in totale contrasto con le morbidezze dell’Art Nouveau. Il confronto tra Schiele e Klimt è ricco di suggestioni e infervora gli stessi due artisti, raffinati ed espressivi. Ma ciò che marca la differenza, quasi antitetica, è la loro contrapposta visione dell’esistenza. In Klimt vive ancora la speranza di poter vincere il male, il dolore, con la forza purificatrice dell’arte – così come ne parlava Friedrich Nietzsche in Umano troppo umano – in Schiele, al contrario, domina un amaro pessimismo, nei confronti delle proprie fragilità di artista e di uomo, ma soprattutto nei confronti di una società arroccata in convinzioni conservatrici, da espugnare provocatoriamente. L’esempio più evidente lo troviamo nei ritratti che hanno per tema la donna. Per Schiele è come quando ci si guarda allo specchio e non si hanno occhi che per sé stessi. Allo specchio ha realizzato, non solo gli autoritratti, ma molti dei suoi nudi femminili, restituiti con lo sguardo di un amante che, dinanzi al corpo dell’innamorata, dimentica l’esistenza del mondo che lo circonda. Ecco perché riesce ad esprimere in questi nudi tutta la sua autenticità.

Egon Schiele disegna una modella nuda davanti a uno specchio, 1910

L’immagine che ha Klimt delle donne è l’esaltazione del corpo femminile come espressione della natura, anche quando viola il comune senso del pudore. Schiele, parte da qui, sfidando volutamente pudore e tabù sessuali del suo tempo. In contrapposizione con i disegni di nudo accademici, apparentemente neutri nelle loro rappresentazioni anatomiche, sempre alla ricerca di una sublimata perfezione, Schiele mostra esplicitamente corpi nel momento dell’eccitazione. Conosce perfettamente i segnali erotici che la società utilizza, ma non ritrae labbra carnose dipinte di rosso, occhi cerchiati di nero pesto. Schiele sciocca i suoi spettatori d’inizio secolo con immagini esplicite, difficili da esporre ancora oggi. Basti pensare a opere come Osservato in un sogno oppure L’ostia rossa, ambedue del 1911. Nel primo, il volto della modella è parzialmente coperto da un velo, al contrario delle sue intimità esibite senza riserbo; nel secondo – che è pure un autoritratto – anziché la bianca ostia del pane consacrato citata nel titolo, espone all’adorazione un enorme fallo eretto, ardente per le carezze dell’amante. Suonerebbe falso far finta d’ignorare che tali soggetti erotici erano acquistati riservatamente, e ad un prezzo maggiorato, da un pubblico amatoriale e che presto disegni ed acquerelli sarebbero stati ampiamente sostituiti da album fotografici. Oggi mostrare immagini forti come L’origine del mondo di Gustave Courbet o gli amplessi fra Jeff Koons e la moglie Cicciolina, fanno molto “intellettuale”: metabolizzate, non suscitano più scandalo. Non era, comunque, così all’epoca di Schiele, perché proprio a causa dei suoi ritratti, reputati spropositatamente spinti e indecenti, dovette patirne le conseguenze.

Egon Schiele, Ragazza con le calze grigie, 1917

«Vienna è piena di ombre, la città è nera – scrive nel suo diario – Voglio essere solo [nei] boschi boemi, ché non ho bisogno di sentire nulla di me stesso». Decide, quindi, di trasferirsi a Krumau, città natale di sua madre. Willy Lidl gli procura una casetta appartata, con giardino, nella quale impianta l’atelier. Aveva conosciuto l’amico Willy quando, con i compagni della colonia del Neukunstgruppe, una prima volta a Krumau aveva già trascorso un’estate. Gli facevano strada sua sorella Gerti e Anton Peschka, che più tardi la sposerà, e Erwin Osen con la fidanzata del momento, una danzatrice di nome Moa, che per gli artisti farà da modella. In quell’occasione Willy Lidl aveva confessato ad Egon la sua profonda tenerezza e lui lo ritrarrà nel 1910. A Krumau, questa volta, è accompagnato da Wally (Valerie Neuzil), il primo vero amore della sua vita. È una delle modelle che gli presta Klimt, del quale dicono che sia anche l’amante. Da questo momento sarà solo per Schiele. Si apre una fase creativa molto intensa. Vedute dei dintorni agresti o del borgo, ma soprattutto studi di nudo incentrati sulla convivenza erotica dei due giovani. Questa strana e illecita situazione – e quel gironzolare di ragazzini e ragazzine incuriositi, che spesso si prestano a fare da modelli – porta a dicerie che si trasformano in aperto conflitto. Tra la fine di luglio e primi d’agosto del 1911, Egon e Wally devono lasciare Krumau e si trasferiscono a Neulengbach, una cittadina vicino a Vienna. Nell’autunno del 1911 e nel primo trimestre dell’anno successivo Schiele crea opere di pittura rivoluzionarie, come la Città morta o il Municipio di Krumau, Paesaggio con corvi, Gli eremiti, Donna in lutto, Cardinale e suora e una serie di Alberi in autunno.

Egon Schiele, Wally, 1912

Vivere nel peccato con l’ancora minorenne Wally irrita la popolazione di una città di provincia come Neulengbach. La pensano diversamente i ragazzi che preferiscono oziare nello studio di Schiele. Il suo amico biografo Albert Paris von Gütersloh ha descritto l’atmosfera libertaria che vi si viveva: «Beh, hanno dormito, si sono ripresi dalle sberle dei genitori, hanno oziato pigramente, cosa che non era permesso fare a casa loro». Il colpo di scena avviene il 13 aprile 1912, quando Schiele a Neulengbach viene arrestato. Una quattordicenne, Tatjana von Mossig, scappata di casa ha trovato riparo da Egon. Il padre, alto dirigente del Ministero della Marina, lo ha denunciato per sequestro di persona e stupro. Non c’è da meravigliarsi che una preadolescente, sognatrice, si fosse invaghita di Schiele. Gütersloh lo descrive come «eccezionalmente bello», di aspetto curatissimo, sempre sbarbato ed elegante, dai modi raffinati. Esattamente il contrario di come amava ritrarsi: la fronte alta, gli occhi sbarrati e profondi che sbucano dalle orbite, espressione tormentata, corpo emaciato, mani ossute come quelle di uno scheletro. Nel suo Diario dal carcere, il 18 aprile 1912 scrive: «Devo vivere con i miei escrementi, respirarne l’esalazione velenosa e soffocante. Ho la barba incolta – non posso nemmeno lavarmi a modo. Eppure, sono un essere umano! Anche se carcerato. Nessuno ci pensa?». Carl Reininghausen, influente collezionista di Schiele, gli procura un avvocato, ma gli toglie il confidenziale “tu”. L’accusa principale di aver sedotto la ragazzina si rivela infondata, visto che da un accertamento risulta ancora illibata. Schiele è, però, condannato all’arresto, perché gli adolescenti hanno potuto vedere affissi al muro dei «disegni indecenti» e uno di quei nudi, servito come atto d’accusa, viene pubblicamente bruciato in aula a conclusione del processo. A St. Pölten, Schiele trascorre in custodia gli ultimi ventiquattro giorni che gli rimangono da scontare. Continua a lavorare lo stesso, anche senza strumenti: «Mi sono messo a dipingere per non impazzire del tutto. Servendomi delle macchie nell’intonaco ho creato paesaggi e teste sulle pareti della cella, poi osservavo il loro lento asciugarsi fino a impallidire e svanire nella profondità del muro, come fatti sparire dall’invisibile potenza di una mano incantata».

Egon Schiele, L’unico arancione era l’unica luce, 19.04.1912 , acquarello e matita su carta

Nel 1912, insieme al gruppo da lui fondato, espone col Der Blaue Reiter a Budapest, di nuovo a Monaco ed Essen. A novembre torna a Vienna e si trasferisce in un atelier nella Hiertzinger Hauptstrasse, da cui non si sposterà più. Klimt lo presenta al collezionista August Lederer, che gli chiede di impartire lezioni al figlio Erich. Franz Pfemfert pubblica poesie e disegni di Schiele sul periodico berlinese Die Aktion. Tre delle sue opere sono richieste per una mostra internazionale a Colonia e una litografia appare nel portfolio della casa editrice Delphin di Monaco di Baviera. Nel 1913 è ammesso alla Federazione degli artisti austriaci (Bund Österreichischer Künstler), di cui Gustav Klimt è presidente, e nel medesimo anno si reca a Monaco, dove espone in una collettiva alla Galerie Golz. Sembra che il motore abbia impresso tutta la sua spinta, ma il 28 luglio 1914 è ufficialmente dichiarata la guerra tra l’Impero Austro-Ungarico e la Serbia. Schiele commenta: «Viviamo nel periodo più violento che il mondo abbia mai visto. Centinaia di migliaia di persone moriranno miseramente, ognuno dovrà sopportare il proprio destino o vivendo o morendo. Siamo diventati duri e senza paura. Ciò che era prima del 1914 appartiene a un altro mondo». Nonostante tutto, Schiele tiene abilmente in mano le redini della sua carriera e continua imperterrito il lavoro. Come sosteneva in quegli stessi anni Kandinsky: «Il cavallo porta il cavaliere, ma è il cavaliere che guida il cavallo». È ormai un artista internazionale. Anton Josef Trèka lo fotografa in pose stravaganti da pantomima. Nel 1915 espone alla Galerie Arnot viennese una mostra esclusiva di sedici dipinti, acquerelli e disegni: tra questi, l’Autoritratto in cui si raffigura come un moderno San Sebastiano vittima delle frecciate dei suoi detrattori. Nel 1916 Die Aktion pubblica un Libretto Egon Schiele che, oltre alle riproduzioni dei suoi disegni, contiene una sua xilografia.

Egon Schiele, manifesto per la personale alla Galerie Arnot, 1915

L’arte s’intreccia sempre con la realtà della vita. Schiele è ritenuto idoneo e arruolato al “servizio per un anno” – concesso a chi possiede un titolo di studio – nel 75° reggimento fanteria imperiale e reale. Ne consegue che impedito nel suo lavoro creativo, a corto di denaro, dovrà chiudere lo studio. Non è possibile. Ha un’idea: di fronte all’atelier abitano i suoi padroni di casa, i coniugi Harms della media borghesia, che hanno due giovani figlie, Edith e Adele. Le ragazze, per vanità, si sono concesse al pittore come modelle, che ne ha approfittato per farsi pagare le prestazioni. Schiele propone a Edith, che è maggiorenne, di sposarlo. Edith, da lui affascinata, accetta, ma gli chiede di rompere la relazione con la sua modella. Il pittore, con freddezza, informa perciò Wally della sua decisione di unirsi in matrimonio con Edith, solo per interesse. Per lui è un matrimonio socialmente vantaggioso, per cui le propone il classico triangolo amoroso. Forse la sorte della ragazza sarebbe stata differente, se non si fosse trovata in questa sventurata situazione. Wally delusa entra nella Croce Rossa come infermiera volontaria e al fronte morirà nel 1917 affetta da scarlattina. Il capolavoro allegorico che Schiele dipinge racchiude tutto il senso tragico di questa vicenda. Al momento del distacco s’intitolava L’Uomo e la Ragazza. Prostrata si aggrappa all’innamorato, incapace di trattenere la sua fragile presa. Il lenzuolo bianco, che sembra avvolgere le due figure rannicchiate, ora appare come un sudario. Quando Schiele è informato della morte di Wally cambia il titolo, ricalcando il Quartetto in re minore di Franz Schubert, pubblicato postumo nel 1831. Questo è quanto dicono i critici d’arte, spesso dimentichi di cosa sia il dolore vero e non letterario. La Morte e la Fanciulla, rappresenta in realtà la presa di coscienza di Schiele di essere stato la causa di una decisione che, forse, poteva evitare.

Egon Schiele, La Morte e la Fanciulla, 1915

Il 17 giugno 1915, infatti, cinque giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno, Schiele aveva sposato Edith Harms e immediatamente dopo era partito per il servizio militare in Boemia. Nel 1916 è recluso nel campo di prigionia russo situato a Mühlung vicino a Wieselburg. Liberato, un anno dopo, torna a Vienna per lavorare nel Museo dell’esercito. Potendo usufruire di congedi parentali, sua moglie gli fa da modella, ma quando rimane incinta Schiele riprende a cercare altrove delle figure esili. Nel 1918 sul suo taccuino sono registrate centodiciassette sessioni di posa con altre modelle. Disegna in continuazione, producendo studi e immagini per libri o riviste. Lavora per il periodico The Dawn. Il libraio viennese Richard Lanyi pubblica un portfolio con dodici collotipie. Scrive al cognato, incitandolo ad afferrare ogni momento libero dal servizio militare per disegnare: «Da quando ci ha colpito il sanguinoso terrore della guerra mondiale, alcuni probabilmente si saranno resi conto che l’arte è più di una semplice questione di lusso borghese».

Egon Schiele, La famiglia, 1918

Dopo l’inattesa morte di Klimt, su Schiele si concentra l’attenzione degli ambienti artistici viennesi. Alla 49a esposizione della Secessione, nel 1918, porta diciannove grandi dipinti e ventiquattro disegni. Franz Martin Haberditzl acquista per la Moderne Galerie il Ritratto di Edith. Chiede però una modifica, poiché l’ha trovata troppo indecente e Schiele lo accontenterà coprendola con una gonna. Sbaglia chi nella profusione di biografie insiste, in modo melenso, su di uno Schiele presago dell’imminente fine. Fra gli ultimi suoi dipinti c’è La Famiglia: la figura dell’uomo racchiude e protegge la donna, che, a sua volta, racchiude e protegge il bambino. Adele, la sorella di Edith, ricorda in uno scritto come il bambino di questo dipinto fosse stato ideato «come un mazzo di fiori». Sembra quasi che Schiele abbia raggiunto finalmente una stabilità interiore. Già immagina un atelier più grande, perché i locali in cui ha prodotto i lavori di questi ultimi anni li vede trasformati in una scuola. Ha in progetto un Centro d’arte dove fare coesistere varie discipline, dell’arte visiva alla musica e alla letteratura. I membri fondatori dovrebbero essere Schönberg, Klimt, Hofmann. La morte lo coglie il 31 ottobre, tre giorni dopo sua moglie e il figlio che porta in grembo. Tre giorni dopo ancora, il 3 novembre 1918, capitola anche l’impero Austro-Ungarico e tutta un’epoca.

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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Al – Nulla Fallisce

Un viaggio nel tempo intenso, doloroso, straniante, onirico, commovente; un self coaching involontario. Il racconto del protagonista si vive attraverso momenti, istantanee ed episodi che ricostruiscono le tracce del percorso per ammettere e accettare di essere gay prima, e amarsi e innamorarsi poi. Sullo sfondo, ma con un ruolo da coprotagonisti, canzoni, film, telefilm e romanzi contestualizzano il periodo tra 1983 e il 2011. È un romanzo intimo, il percorso di un’anima moderna.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 

Il MA*GA di Gallarate (VA) ospita la personale di Chiara Dynys, dal titolo Melancholia

Dal 26 febbraio all’8 maggio 2022, il MA*GA di Gallarate (VA) ospita la personale di Chiara Dynys, dal titolo Melancholia.

GALLARATE (VA) | MUSEO MA*GA
DAL 26 FEBBRAIO ALL’8 MAGGIO 2022

CHIARA DYNYS. Melancholia

Chiara Dynys, Merry Liseberg Parade, 2021, dettaglio , cornice in metacrilato, plexiglas colorato, luce led, stampa fotografica su plexiglas, legno, alluminio

La parola Melancholia sintetizza una serie di molteplici questioni a cui la mostra fa riferimento: dal temperamento saturnino che, secondo la tradizione medievale, è sempre stato caratteristico dell’artista, ai molteplici riferimenti alla storia dell’arte e soprattutto a quella del cinema. 

Nella mostra, infatti, la poetica dell’artista è disvelata attraversando l’immaginario filmico di Chiara Dynys: le suggestioni di alcuni registi centrali nella storia del cinema, da Roberto Rossellini a Jane Campion a Lars Von Trier, da Federico Fellini a Paolo Sorrentino, risuonano attraverso i linguaggi di Dynys: la luce e lo spazio trasfigurano le narrazioni e le immagini in movimento attraverso gli ambienti che costituiscono il percorso espositivo, inedito e pensato appositamente per il MA*GA.

Inoltre, per l’occasione, negli spazi della biblioteca dell’HIC – Hub degli Istituti Culturali della Città di Gallarate, verrà presentata l’installazione permanente “Enlightening Books”, donata al museo grazie a WEM, Empowering Art Platform, innovativa piattaforma che ha l’obiettivo di trovare nuove forme di diffusione e supporto alle arti visive contemporanee.

L’esposizione sarà arricchita dalla monografia “Chiara Dynys and the Filmic Imaginary” (Skira) che approfondisce, in una prospettiva storico-critica, le riflessioni proposte in mostra.


CHIARA DYNYS. Melancholia
Gallarate (VA), Museo MA*GA (via E. De Magri 1)
26 febbraio – 8 maggio 2022

Museo MA*GA
Gallarate, Via E. De Magri 1
T +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700; M 349 6107625| anna.defrancesco@clp1968.it

IMMAGINE DI APERTURA – Chiara Dynys, Merry Liseberg Parade, 2021, dettaglio , cornice in metacrilato, plexiglas colorato, luce led, stampa fotografica su plexiglas, legno, alluminio

Il primo viaggio: Ulisse, tra l’azione e i flash-back 

di Daniele Bertolami

Il poema è formato da 24 libri per un totale di 12.110 esametri. All’interno dei 24 libri, possiamo contraddistinguere 5 nuclei tematici di lunghezza diversa.

Il primo (dal Libro I al  Libro IV) si narra delle circostanze ad Itaca e della, così chiamata, “Telemachìa”, cioè, di Telemaco (il figlio di Ulisse) che viene convinto dalla dea Atena (col consenso di Zeus) a recarsi, in cerca del padre, a Pilo e a Sparta. Incontrato il re Nestore a Pilo, egli va fino a Sparta da Menelao ed Elena, di nuovo insieme. Non trova reali notizie del padre Ulisse.

Il secondo nucleo (dal Libro V al Libro VII) racconta del naufragio di Ulisse sull’isola di Scheria, a causa di Poseidone, e della conoscenza dell’eroe con i Feaci e il loro re Alcinoo.

Il terzo gruppo (dal Libro VIII al Libro XII) tratta gli “Apologhi presso Alcinoo”, cioè i Racconti che Ulisse fa, la notte del ventitreesimo giorno dall’inizio del poema, ad Alcinoo e alla sua corte. Come in un flash-back, egli racconta gli imprevisti e gli avvenimenti del suo viaggio verso Itaca.

La quarta parte (dal Libro XIII al Libro XXIII) ci parla dei Feaci, che ascoltate le peripezie incredibili dell’eroe, compresi delle sue tristezze e difficoltà, accompagnano Ulisse ad Itaca. Raggiunta l’isola, dove spadroneggiano i Proci, in accordo con il figlio Telemaco e con il fedele servo Eumeo, nella tenda di quest’ultimo, organizzano il piano della vendetta contro gli usurpanti. In un inaspettato lago di sangue, Odisseo uccide i suoi avversari e torna, con la fedele moglie Penelope, a regnare felicemente su Itaca.

Il quinto nucleo (nel Libro XXIV) è, in pratica, il riepilogo sintetico delle vicende di Ulisse, già raccontate precedentemente.

La suddivisione in 24 libri non è, tuttavia, autentica. Una tale divisione deve attribuirsi ai filologi alessandrini, che assegnano ad ogni libro una lettera dell’alfabeto greco, che è, appunto, formato da 24 lettere. Le lettere sono maiuscole per il racconto dell’Iliade e minuscole per l’Odissea.

Leggi anche:
L’Odissea tramandata oralmente
Ulisse: tra l’azione e i flash-back 
Le tre lingue dell’Odissea e la narrazione in metrica

IMMAGINE DI APERTURA  – Composizione grafica di Testa di Ulisse da un gruppo scultoreo raffigurante Ulisse che acceca Polifemo (Marmo, greco, probabilmente del I secolo d.C. Dalla villa di Tiberio a Sperlonga. Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga) tratta da Wikipedia e illustrazione di Maicon Fonseca Zanco da Pixabay. 

ANPI: Non esistono guerre giuste

Riceviamo, pubblichiamo e condividiamo, il comunicato Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia – Comitato provinciale di Messina.

L’Anpi, Associazione nazionale partigiani d’Italia, aderisce al sit-in promosso dalla Cgil per sabato mattina, alle ore 10, davanti al Municipio di Messina. Si tratta di mettere in campo la pace, di fronte ai gelidi venti di guerra dell’Ucraina. Messina ha una lunga tradizione pacifista e ancora una volta risponde prontamente all’appello degli uomini di buona volontà, che sabato si alzerà a Catania, a Palermo, in cento città d’Italia. Farà sventolare le bandiere arcobaleno, che le vedano fino a Washington e a Mosca, passando per Roma.

L’Anpi messinese, per l’occasione, chiede che anche il Comune esponga la bandiera della pace, a significare il sentimento assolutamente contrario alla guerra che anima la cittadinanza in riva allo Stretto.

Bene fa la Cgil a prendere l’iniziativa del sit-in e l’Anpi si augura che ancora altre e altre associazioni si uniscano alla proposta pacifista, mentre invita non solo i propri soci, ma tutti i cittadini alla partecipazione. La mobilitazione vuol fare sentire la voce di quanti ripudiano la guerra, così come è scritto nell’articolo 11 della nostra Costituzione. A maggior ragione in questo momento, in cui la crisi in Ucraina e le tensioni fra Russia e Nato rischiano di sfociare in una guerra dagli esiti imprevedibili, in una isterica forma bellica che potrebbe degenerare in un confronto nucleare.

L’appuntamento di sabato 26 (ore 10) in piazza Municipio potrebbe essere il primo passo in vista di un coordinamento delle associazioni pacifiste di Messina e della provincia.

Renata Ago – Tanti modi per promuoversi. Artisti, letterati, scienziati nella Roma del Seicento

L’idea centrale di questo libro è che dal Rinascimento e attraverso i secoli XVII e XVIII, un certo numero di artisti, studiosi e membri delle libere professioni ha lottato per auto-concepirsi come “persone intellettuali” dotate di tratti distinti che li collocavano in una rango sociale distinto. Lo hanno fatto individualmente e collettivamente, attraverso scritti teorici e attraverso la pratica, rivendicando apertamente il riconoscimento sociale o cercando più silenziosamente di ottenerlo attraverso le loro azioni. Ho preso in prestito la nozione di “persona intellettuale” da Lorrain Daston e Otto Sibum che nell’introduzione a un numero speciale di Science in Context hanno parlato di persona come “un’identità culturale che modella simultaneamente l’individuo nel corpo e nella mente e crea un collettivo con una fisionomia condivisa e riconosciuta”. Ma mentre Daston e Sibum erano principalmente interessati agli aspetti culturali di questo fenomeno, poiché consideravano la formazione delle personalità scientifiche nel contesto della storia della scienza, io preferirei concentrarmi sulle sue caratteristiche socio-economiche e politiche nel contesto di la storia dell’Ancien Regime, i. e. una società gerarchica, fortemente caratterizzata da uno status ascritto. Per persone intellettuali mi riferisco quindi a persone che esercitavano attività molto diverse – come dicevo artisti, studiosi, avvocati, medici – e tuttavia accomunate da una caratteristica comune: esercitavano tutte professioni “intellettuali” o “coltivate” e prestavano servizi “culturali”. o merci. E tutti pretendevano che questa speciale qualità delle loro attività li collocasse in un rango separato: se non appartenevano alla nobiltà titolata, non facevano certo parte dei ranghi operai della società.

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IMMAGINE DI APERTURA tratta dall’interno del volume

Renata Ago
Tanti modi per promuoversi.
Artisti, letterati, scienziati nella Roma del Seicento

Milano, Palazzo Reale – Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano

Questa mostra parla della donna dipinta da Tiziano e dai suoi contemporanei: di bellezza, eleganza e sensualità, e del ruolo tutto particolare che la loro rappresentazione acquistò nella Venezia del Cinquecento.
(Sylvia Ferino)

Mostra promossa e prodotta dal Comune di Milano e Skira editore,
con il supporto di Fondazione Bracco, Main Partner

A cura di Sylvia Ferino

TIZIANO 
Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere, 1537 circa
Olio su tela, 114×103 cm – Firenze, Galleria degli Uffizi
LE SEZIONI DELLA MOSTRA

Palazzo Reale apre il 2022 con una grande mostra dedicata all’immagine della donna nel Cinquecento nella pittura del grande maestro Tiziano e dei suoi celebri contemporanei quali Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto.

La mostra, aperta dal 23 febbraio al 5 giugno 2022, è promossa e prodotta da Comune di Milano–Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna. La Fondazione Bracco è Main Partner dell’esposizione, mentre il Corriere della Sera è il Media Partner. VeraLab è Social Media Partner. L’allestimento e la grafica sono progettati da Pierluigi Cerri Studio. La mostra è curata da Sylvia Ferino, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico internazionale composto da noti studiosi del settore, quali Anna Bellavitis, Jane Bridgeman, Enrico Maria Dal Pozzolo, Wencke Deiters, Francesca Del Torre, Charles Hope, Amedeo Quondam. Il libro che accompagna la mostra è pubblicato da Skira in tre edizioni, italiana, tedesca e inglese.

Oltre un centinaio le opere esposte di cui 47 dipinti, 16 di Tiziano, molti dei quali in prestito dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, cui si aggiungono sculture, oggetti di arte applicata come gioielli, una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este (1994), libri e grafica.

L’esposizione – afferma la curatrice – aspira a riflettere sul ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo, che non ha eguali nella storia della Repubblica o di altre aree della cultura europea del periodo.

A partire dal volume di Rona Goffen Titian’s Women, pubblicato nel 1997, sono innumerevoli gli studi che si sono concentrati sull’universo femminile nel Rinascimento veneziano. Questa indagine non è tuttavia mai stata posta al centro di una mostra.

La struttura portante dell’esposizione affronta dunque un argomento eternamente valido ma anche completamente nuovo, presentando l’immagine femminile attraverso tutto l’ampio spettro delle tematiche possibili e nel contempo mettendo a confronto gli approcci artistici individuali tra Tiziano e gli altri pittori del tempo.

Partendo dal tema del ritratto realistico di donne appartenenti a diverse classi sociali, passando a quello fortemente idealizzato delle così dette “belle veneziane” si incontrano via via celebri eroine e sante, fino ad arrivare alle divinità del mito e alle allegorie.

Inclusi nella mostra anche i ritratti e gli scritti di famosi poeti che cantarono l’amore ed equipararono la ricerca del bello all’esaltazione della donna e della bellezza femminile, come anche ritratti delle donne scrittrici, nobildonne, cittadine e anche cortigiane.
Sono analizzati anche l’abbigliamento e le acconciature femminili sfoggiate nei ritratti, sia reali che ideali, esaminando la moda contemporanea con la sua predilezione per tessuti sontuosi, perle e costosi gioielli.


Informazioni online e social
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Uffici stampa
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Comune di Milano
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| elenamaria.conenna@comune.milano.it