di Sergio Bertolami
35 – Der Blaue Reiter: rinnovamento spirituale della cultura occidentale
Se Kandinsky è il teorico del Blaue Reiter, Franz Marc, grazie al suo senso pratico, ne è a tutti gli effetti l’organizzatore: mantiene i contatti fra i membri, informa mercanti d’arte e curatori delle mostre, editori e collezionisti. Kandinsky lo ritroveremo nel dopoguerra, più animato che mai, perché la Rivoluzione russa offrirà all’artista una miriade di possibilità per affermare i propri indirizzi. Per Franz Marc non è così. Lui che poco prima della guerra diceva «Solo a quaranta o cinquant’anni dipingerò i miei quadri migliori», a quaranta o a cinquant’anni non ci arriverà mai. Come era avvenuto un anno e mezzo prima per l’amico August Macke, ucciso sul fronte occidentale, Marc, arruolato in cavalleria, è colpito da schegge di granata durante una ricognizione e muore il 4 marzo del 1916 a Braquis, nella piana di Woevre, a 15 chilometri da Verdun. Quella mattina aveva scritto alcune righe a sua moglie Maria, perché doveva essere l’ultimo giorno al fronte: «Sì, tornerò anche quest’anno. Alla mia intatta, cara casa. Tra le terrificanti immagini di distruzione tra le quali ora vivo, questo pensiero di ritorno a casa ha un alone che non può essere descritto in modo sufficientemente dolce. Non preoccuparti, me la caverò». Unanime è il cordoglio fra gli artisti. «Il cavaliere azzurro è caduto – scriverà cinque giorni dopo sul quotidiano Berliner Tageblatt la poetessa Else Lasker-Schüler, fra i massimi rappresentanti dell’Espressionismo tedesco in letteratura – su di lui scendeva il profumo dell’Eden. Gettava un’ombra blu sul paesaggio. Era lui che sentiva ancora parlare gli animali; ed ha trasfigurato le loro anime incomprese».
«Io cerco di potenziare la mia sensibilità per il ritmo organico di tutte le cose, cerco di raggiungere una sintonia panteistica col vibrare e scorrere dei succhi vitali nella natura, negli alberi, negli animali, nell’aria…». Proprio così, e il colore è per Marc l’elemento essenziale per entrare in sintonia col mondo che lo circonda, ed ecco allora i suoi cavalli rossi o blu come originale espressione di spiritualità. Aveva conosciuto Auguste Macke nel 1911 e attraverso di lui aveva potuto scoprire le tinte esuberanti dei Fauves e quelle di Kandinsky, che lo attrasse per il «fascino dei suoi colori puri, vigorosi, fiammeggianti». Ambedue amavano l’azzurro: per questo aveva proposto d’intitolare Blaue Blatter (Pagine Azzurre), la rivista da realizzare insieme. Kandinsky, privato della capacità organizzativa di Marc, ammetterà di avere rinunciato alla pubblicazione di un secondo numero dell’Almanacco, nonostante il cospicuo materiale raccolto, perché non si sentiva di affrontare da solo il lavoro editoriale dopo la prematura scomparsa dell’amico. Dobbiamo però riconoscere che a fianco di Kandinsky e Marc c’era la stretta collaborazione di molti altri. August Macke, per primo: senza il suo provvidenziale aiuto e senza il finanziamento di suo zio, il mecenate Bernhard Köhler, l’Almanacco non sarebbe stato mai pubblicato. Il sostegno morale e intellettuale per la conoscenza di testi teosofici di Gabriele Münter ingenerosamente dimenticata da Kandinsky e riscoperta come pittrice solo in anni recenti. Così come altri artisti, considerati di minore spicco e rivalutati solo negli ultimi studi: è il caso di Alexej von Javlenskij e della moglie Marianne von Werefkin per certe tematiche spiritualistiche estremamente interessanti. «Tuttavia, il Blaue Reiter è stato anche questo: l’occasione unica per tener unite figure diversissime e pur legate dalla ricerca di un’alternativa spirituale alla civiltà europea, e di una sintesi di spunti di marca simbolista francese, russa e tedesca, ponte tra le esperienze romantiche e le avanguardie» (Jolanda Nigro Covre).
Nondimeno, fra tutti è Franz Marc il vero punto di riferimento per Kandinsky nella realizzazione dell’Almanacco del Blaue Reiter. La ragione della pubblicazione, s’è detto, era la riconosciuta necessità di porre rimedio all’incomprensione della nuova arte moderna da parte del pubblico, spiegandone i motivi intrinseci. Marc è un punto centrale, e i suoi tre saggi lo dimostrano: Beni intellettuali (Geistige Güter), Il selvaggio in Germania (Die Wilden Deutschlands) e Due immagini (Zwei Bilder). «Nella nostra epoca di grande lotta per l’arte nuova – evidenzia nell’Almanacco – combattiamo da “selvaggi”, non organizzati, contro un vecchio potere organizzato. La lotta sembra impari, ma nelle cose spirituali non vince mai il numero, ma la forza delle idee. Le temute armi dei “selvaggi” sono i loro nuovi pensieri: uccidono meglio dell’acciaio e spezzano ciò che era considerato indistruttibile. Chi sono questi “selvaggi” in Germania? Una gran parte è nota e ampiamente descritta nella rivista: la Brücke di Dresda, la Neue Sezession di Berlino e la Neue Vereinigung di Monaco». Franz Marc tesse, dunque, il collegamento fra le avanguardie, spiega, chiarisce. Perché? «Le nuove idee – questa è la sua risposta – sono difficili da capire, solo perché non sono familiari». È nel suo carattere comprendere a fondo le cose. L’insegnamento gli proviene dalla famiglia. Nato a Monaco l’8 febbraio 1880, ha imparato a dipingere dal padre, autore di soggetti religiosi. Dalla madre, calvinista, ha acquisito una severa educazione. La sua indole gli fa porre sempre domande, e cercare risposte; a volte però gli capita di non sentirsi all’altezza per comprendere le spiegazioni, come quelle che fornisce il pastore alle sue richieste, tanto che la madre insiste perché Franz intraprenda studi teologici. Nel 1899 opta, invece, per la facoltà di filosofia dell’Università di Monaco; ma è un convincimento fugace, perché già l’anno successivo, dopo aver terminato il servizio militare, in autunno scopre la vocazione artistica ed entra all’Accademia di Belle Arti (Königlich Bayerischen Akademie in München).
Come allievo di Gabriel Hackl e Wilhelm von Diez, non può che imparare bene il fare artistico della tradizione. Forma e struttura del ritratto della madre lo attestano. Grazie alla sua ottima conoscenza del francese a maggio del 1903 Marc convince un ricco amico a farlo studiare a Parigi per diversi mesi e qui vede le opere di Gustave Courbet ed Eugène Delacroix. È il contraccolpo che lo convince a interrompere gli studi all’Accademia. Si trasferisce in uno studio a Schwabing, famoso a Monaco come quartiere degli artisti, nel quale si concentrano da vari anni pittori, scrittori, musicisti che occhieggiano alle avanguardie e approfittano della vicinanza all’Università e all’Accademia di Belle Arti. Continua a disegnare, soprattutto illustrazioni per accompagnare le poesie di Richard Dehmel, Carmen Sylva, Hans Bethge. Questi lavori sono stati pubblicati postumi solo nel 1917 da Anette von Eckhardt col titolo in italiano di Stella Peregrina. Anette è una pittrice che si dedica a fare copie dei maestri; è sposata e il suo matrimonio pesa molto sulla relazione che ha con Franz, il quale cerca invano di scrollarsi di dosso umori melanconici e incertezze artistiche, viaggiando. Nella primavera del 1906 accompagna il fratello Paolo a visitare i monasteri bizantini del Monte Athos e ne studia i manoscritti. In modo realistico, esegue poche e modeste grafiche di animali e paesaggi. Ancora un altro breve viaggio a Parigi, nella primavera del 1907, dove si entusiasma per le opere di Vincent van Gogh e Paul Gauguin, modificando così la tavolozza dei suoi colori che diventa sempre più chiara quando ritrae vedute. Per mantenersi, cerca di fare fronte alla sua precaria situazione finanziaria, impartendo lezioni di disegno anatomico, che immancabilmente hanno per oggetto studi dettagliati sugli animali.
Marc trascorre l’estate a Lenggries con la futura moglie, la pittrice Maria Franck. Studia la natura e dipinge principalmente animali, alla ricerca di una semplificazione sempre maggiore delle forme, utilizzando il colore come mezzo di espressione indipendente, discostandosi dal naturalismo e dal realismo, che da fine Ottocento continuano ad essere insegnati all’Accademia e che lui ha appreso perfettamente. A Parigi aveva scoperto vis a vis i quadri degli impressionisti, ma soprattutto dei post-impressionisti e la xilografia giapponese. Da allora la sua ricerca naturalistica è mutata: «Van Gogh è per me la più grande, la più autentica, la più commovente figura di pittore che io conosca. Dipingere un frammento della più semplice natura e dipingervi dentro tutta la fede e tutto lo slancio dell’anima, questa è veramente la cosa più degna». Nel dipinto Larici l’influenza di van Gogh è evidente. Dà alle sue composizioni un significato poetico e simbolico. Lenggries rappresenta una svolta. La sua ricerca si rivolge completamente al colore, che profonde brillante e puro sulla tela. Inizia anche ad occuparsi sempre più esclusivamente degli animali, dei loro movimenti, singolarmente o in gruppo. Per settimane studia cavalli, mucche, cervi. Li dipinge oppure li modella in creta. L’influenza di van Gogh rimane dominante anche nelle opere dell’anno successivo, quando trascorre del tempo a Sindelsdorf. «Io ora generalmente non dipingo […] che le cose più semplici, poiché solo in esse sta il simbolismo, il pathos, e il mistero della natura. Tutto il resto si allontana da lei, si perde nella meschinità e nelle stonature». Compie un’opera di esplorazione, cercando di «ovviare al rischio della “naturalizzazione” che significa decadenza dell’arte, contrapponendole il concetto di “animalizzazione”, a mezzo del quale egli, secondo la teoria di Cézanne (“guardare più profondamente nella struttura organica delle cose”), intende indagare nelle leggi della natura» (Lara – Vinca Masini).
Marc ama talmente van Gogh da aiutare i galleristi Brakl e Thannhauser ad allestire la prima mostra del pittore olandese a Monaco, nell’inverno del 1909. A gennaio 1910 riceve nel suo studio la visita del giovane pittore August Macke e di suo zio Bernhard Köhler, che presto diverrà mecenate di entrambi e chiaramente del sodalizio che a breve i due contribuiranno a realizzare. A febbraio, Marc può esporre per la prima volta il suo lavoro nella galleria d’arte moderna di Brakl a Monaco. È un’affermazione che attira l’interessamento dei collezionisti. Difatti, grazie ad una successiva visita a Berlino, Köhler assicura al giovane pittore il mantenimento, con uno stipendio mensile che gli permette di risolvere le pressanti difficoltà economiche in cui si trova. Decide così di lasciare lo studio di Monaco per abitare nel vicino villaggio di Sindelsdorf, dove può dipingere liberamente a stretto contatto con la natura. Nel settembre 1910, Marc visita la seconda mostra della Neue Künstlervereinigung, grazie alla quale conosce Wassily Kandinsky, Alexej Jawlensky, Gabriele Münter, Marianne von Werefkin e gli altri pittori dell’associazione. Finalmente si è liberato dal suo isolamento artistico e inizia una fase completamente nuova della sua pittura. Il dipinto Nudo con gatto mostra per la prima volta per Marc, che si lascia ispirare dal lavoro di Macke, una intensità cromatica tipica dei Fauves.
Quadri come Cavalli al pascolo I, inizialmente basati su colori naturalistici, trovano nuove forme espressive fino alla famosa composizione Cavalli al pascolo IV. Queste composizioni si avvicinano alle creazioni astratte di Kandinsky, perché il blu di quei cavalli, considerato come un colore spirituale per eccellenza, li rende simili a degli esseri mitici e soprannaturali. La storia di Marc da questo momento in poi corre parallela a quella di Kandinsky. A febbraio del 1911 Marc diventa membro della Neue Künstlervereinigung di Monaco. A maggio tiene la sua seconda mostra alla Galleria Thannhauser. Durante i preparativi per la terza mostra della Neue Künstlervereinigung, la giuria respinge la Composizione V di Kandinsky. È la scissione e il 18 dicembre Marc, Münter, Kubin, guidati da Kandinsky, inaugurano la prima mostra del Blauer Reiter nella galleria Thannhauser di Monaco. Marc, tra le altre composizioni presenta la Mucca gialla.
I propositi artistici di Marc collimano con quelli di Kandinsky: denominatore comune è il desiderio di contribuire a un rinnovamento spirituale della cultura occidentale. Solo che la spiritualità di Marc è in armonia con la tradizione dell’arte religiosa occidentale e usa i suoi animali metafisici per evidenziare i valori del creato. Nell’autunno del 1912 Marc in compagnia di August Macke è di nuovo a Parigi e fa visita a Robert Delaunay. Un incontro questo che influenzerà profondamente il lavoro dei due tedeschi alla luce delle idee francesi sul Cubismo. L’inseparabilità di spirito e materia si riflette nelle successive raffigurazioni come La tigre (1912), Sotto la pioggia (1912) o Cervo nel giardino di un monastero (1912, tutti a Monaco di Baviera, Lenbachhaus).
Nell’estate del 1913, Marc si dedica alle grandi e importanti composizioni, realizzate tra le sue due case di Sindelsdorf e Ried, vicino a Benediktbeuren. Sono le opere dell’ultimo periodo prima dell’inizio della guerra, dove il soggetto è quasi del tutto scomposto in strutture prismatiche di diversi colori. Un Marc cubista a sua insaputa. Inoltre, sogna un progetto comune: pubblicare un’edizione biblica illustrata insieme a Kandinsky, Kubin, Klee, Heckel, Kokoschka e comincia a redigere le prime bozze. Su richiesta di Hugo Ball, per breve tempo, si occupa anche di mettere insieme idee per una produzione della Tempesta di Shakespeare, che però non si concretizzerà mai, perché allo scoppio della guerra, il 1° agosto 1914, si offre volontario per il fronte. Ad animarlo è lo spirito nazionalista, convinto che la Germania s’imporrà sull’Europa: «L’aquila tedesca avrà alcuni artigli più appuntiti nel suo stemma. Vorrei disegnare la nuova aquila tedesca quando questa guerra sarà finita». Esattamente all’opposto di quello che scriverà Schmidt-Rottluff per l’aquila che simboleggerà la nuova Repubblica di Weimar. Marc è fermamente convinto della vittoria finale. «Il popolo sente di dover prima attraversare la Grande guerra per dare inizio a una nuova vita e a nuovi ideali». E fra questi ideali non può mancare la nuova arte: «Chi assiste dall’esterno e prefigura la nuova vita che stiamo conquistando, probabilmente penserà che il vino nuovo non debba essere messo nelle bottiglie vecchie. Spingeremo attraverso il nuovo secolo con la nostra volontà costruttiva». Una testimonianza diretta e stringente della guerra vista dall’altra parte del fronte occidentale, come nel libro di Erich Maria Remarque. Marc scrive molte lettere alla moglie, prende appunti e fa disegni. Paul Cassirer pubblicherà questi fogli sparsi con il titolo Franz Marc, Lettere dal campo, schizzi, e aforismi (Briefe aus dem Felde e Aufzeichnungen und Aphorismen, Berlino 1920). Cambia poco, anche per il cavaliere azzurro caduto per la sua Patria. Pure lui sarà diffamato come “artista degenerato” alla mostra del 1937 e 130 delle sue opere confiscate dai musei tedeschi.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay