di Sergio Bertolami
46 – I protagonisti
Di Maurice de Vlaminck ho già accennato parlando di Derain. La sua unione con i fauves fu fragile e breve, come per molti altri del gruppo che dopo il 1907 intraprenderanno, chi più chi meno, un percorso autonomo.
Il sodalizio con André Derain fu per Maurice de Vlaminck determinante, per gli sviluppi artistici che lo imposero all’attenzione come una delle personalità più forti e tenaci del gruppo. Conobbe l’amico Derain il 18 giugno 1900, in occasione del deragliamento di un treno per pendolari. L’anno successivo, visitando nella galleria Bernheim una retrospettiva dedicata a Vincent van Gogh sceglie la pittura come percorso privilegiato di vita. Fino a quel momento, pur di lavorare, aveva fatto un po’ di tutto: prima il meccanico, poi il corridore di bicicletta, poi il musicista suonando il violino nelle orchestrine della domenica. Infine, decise di unirsi a Derain e impiantare un proprio atelier artistico a Chatou, nell’antica Maison Levanneur, che attualmente ospita il Centre National Édition Art Image (Cneai).
Un anno dopo Derain lo lasciò a sé stesso, perché chiamato a prestare il servizio militare, ma tenne col giovane uno stretto rapporto epistolare. Si apriva un periodo da bohémien per l’artista, con una famiglia da mantenere, costretto a raschiare vecchi dipinti per recuperare le tele. Alla pittura accomunò la scrittura di due romanzi dall’estetica decadente e i contenuti piuttosto spinti per l’epoca. La passione verso l’arte primitiva e il fauvismo, che lo coinvolse completamente, gli permisero di inserirsi a pieno titolo fra gli artisti emergenti. Alla ricca cultura di Matisse de Vlaminck contrapponeva il suo istintivo entusiasmo di chi scopre il mondo da autodidatta. Si vantava di non essere un frequentatore di musei, ma di «amare van Gogh più di suo padre».
Matisse lo invitò a presentare lavori alla galleria di Berthe Weil e al Salon des Indépendants del 1905. Qualche mese dopo al Salon d’Automne. Lo scandalo smosse il mondo delle gallerie. Il mercante d’arte Ambroise Vollard fu affascinato dal lavoro di de Vlaminck. Lo sostenne con acquisti e nel 1908 gli dedicò una mostra personale. Non fu però l’unico mercante d’arte, perché anche Daniel-Henry Kahnweiler si interessò a lui. Sono questi gli anni, prima della guerra, in cui la pittura di Maurice de Vlaminck è incentrata su violenti toni puri (Il ponte di Chatou, Soleure, collezione privata; Paesaggio con alberi rossi, 1906, Parigi, Musée d’Art Moderne). Trascorsa, però, la stagione fauve, l’artista si accostò alla costruzione pittorica di Paul Cézanne (Autoritratto, 1912), passando poi a interessi condivisi dalla ricerca contemporanea (H. Rousseau e l’arte negra) fino ad intraprendere qualche sperimentazione cubista.
Con la guerra venne assegnato a una fabbrica nella regione di Parigi e non spedito al fronte, avendo allora una moglie e tre figlie. Quando a conclusione del conflitto il peggio fu superato, divorziò e si risposò con Berthe Combe, che gli diede altre due figlie. L’arte fauves era ormai alle spalle e l’artista preferì concentrarsi su di una figurazione realistica, dai forti accenti espressionistici, con paesaggi dai colori cupi e densi. Dal 1925 si stabilirà a Rueil-la-Gadelière fino alla morte.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay