di Sergio Bertolami
45 – I protagonisti
Abbiamo letto nella puntata scorsa che Fernand Léger descriveva così Salon des Indépendants (ripeto la citazione per comodità, vostra e mia): «È soprattutto una fiera di pittori per pittori, una fiera di dimostrazioni d’arte, il suo eterno rinnovamento, che è poi la sua ragion d’essere. Il Salon des Indépendants è un salone per dilettanti, il salone degli inventori. I borghesi che vengono a ridere di queste palpitazioni non sospetteranno mai che si stia recitando un dramma completo, con tutte le sue gioie e le sue storie. Se ne fossero consapevoli, perché in fondo sono brave persone, vi entrerebbero con rispetto, come in una chiesa».
A rileggere le fonti, sorprende come siano ricorrenti alcuni termini, accompagnati a immagini suggestive, come questo della chiesa, riferito da Léger. Scriveva, infatti, Vauxcelles: «È stata istituita una cappella, officiano due preti superbi. MM. Derain e Matisse; poche decine di catecumeni innocenti hanno ricevuto il battesimo». Solo che i nomi che enumera non sono quelli battezzati come fauves nell’articolo d’apertura del Salon d’Automne. In questo caso, il critico del quotidiano Gil Blas, affermava esserci «una quantità di Indipendenti», come Marquet e compagni. Di Marquet ho già accennato, ma vorrei aggiungere qualche parola.
Albert Marquet
Lo abbiamo già conosciuto, quando con l’amico Matisse iniziò un percorso comune ai tempi in cui praticavano regolarmente lo studio di Gustave Moreau. Seguendo l’incitamento del maestro, Marquet percorreva in lungo e largo la città per appuntare sul suo taccino schizzi di banchine e ponti, sul lungosènna. Disegnava di tutto, velocemente, con maestria, riprendendo chiatte e lavandaie, scene di strada e passanti, carrozze, ciclisti, caffè-concerto. Usava pastelli a colori vivaci, ma anche pennelli. Quando racimolava qualcosa, affittava una stanza di servizio o una stanza d’albergo, per farne uno studio momentaneo.
Come al 25 quai de la Tournelle nel 1902 per dipingere scorci di Notre-Dame oppure al 1di rue Dauphine vedute della Senna nel 1904. Di nuovo nel 1906 dipinge il panorama dalla Torre Eiffel all’Île de la Cité. Fonte d’ispirazione era Monet con la serie delle cattedrali di Rouen. A conti fatti, Marquet fa l’esperienza fauvista, espone insieme ai compagni. Ammira Matisse, ma non lo segue del tutto nelle sue sperimentazioni. Naturalmente la critica lo percepisce e lo fa notare, perché i suoi dipinti, pur usando i colori puri, resistono a certe forzature coloristiche dei suoi compagni. Gustave Coquiot gli rimprovera «un fauvismo castigato capace di piacere al grande pubblico», che, in verità, ai grandi felini preferisce i «gatti di casa» (Tériade).
Dal 1905, meglio dal 1906, avviene la svolta che lo scioglie dalle endemiche difficoltà finanziarie. Lo Stato acquista alcuni suoi dipinti (Les Arbres à Billancourt nel 1904, e l’anno successivo Notre-Dame, soleil e nel 1906 Le Port de Fécamp). Espone al Salon belga de La Libre Esthétique. A Parigi è presente nelle gallerie di Berthe Weill e Bernheim-Jeune. Firma un contratto di esclusiva con Eugène Druet che gli assicura così di che vivere. Ora può viaggiare, e dipingere anche fuori di Parigi. Gli piace divertirsi, ha una vita sociale interessante. Ama il bigliardo e molto meno le discussioni intellettuali. Piuttosto preferisce i bordelli, che frequenta con Charles Camoin o George Besson. Riprende in questo modo, nell’inverno 1908-1909, gli studi di nudo trascurati dai tempi delle Accademie. Proseguirà così fino allo scoppio della guerra. Modella preferita è Ernestine Bazin, in arte Yvonne, alla quale si lega fino al 1922. È giovane, bella, vivace e impertinente. Soprattutto, davanti allo stesso carattere scontroso di suo padre che ogni tanto riemerge, Ernestine sa come farlo ridere. Chiaramente, gli ispira pose meno convenzionali delle modelle ritratte nelle sessioni di studio accademico.
Quando viene dichiarata la guerra, anche Marquet è mobilitato, ma dimesso subito dopo per motivi di salute. Passeggiando tra una riva e l’altra della Senna o per il Quartiere Latino con Matisse e Van Dongen, attendono momenti migliori dandosi da fare a favore degli amici al fronte. Certo dal tempo dei fauves era passato qualche anno. Nell’ambito del movimento, Marquet aveva sviluppato uno stile personale, differenziandosi per un cromatismo meno marcato.
Dal 1909 alla violenza dei contrasti prediligeva toni grigi e sommessi, attraverso cui tradurre luci e atmosfere del paesaggio urbano (Il ponte Saint-Michel, Grenoble, Musée de Peinture et de Sculpture). Ora i suoi interessi si indirizzavano verso i grandi spazi di acqua e di cielo, come le sue vedute dei porti di Fécamp, Algeri, Napoli, Amburgo, Stoccolma. Aveva cominciato dopo il 1905, sulle orme di Matisse, ad intraprendere viaggi di studio in Francia, ora lo faceva anche all’Estero e continuerà per tutta la vita con questa passione dei viaggi: in Algeria e in Egitto, in Romania, Russia e Scandinavia.
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IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay