Espressionismo – La forza creatrice per scrutare l’interiorità più profonda dell’animo

di Sergio Bertolami

29 – La tempesta dell’Espressionismo

Ogni anno ha la sua storia. Per riprendere le fila del discorso sull’arte del Novecento (Seconda serie), scelgo il 1905 e non a caso. È l’anno in cui Einstein elabora la teoria della relatività ristretta e Robert Wood realizza il primo cristallo di sicurezza. Johon Danton costruisce il primo juke box con cui la gioventù dell’epoca può alternare le note di una doppia dozzina di dischi. Nella capitale austriaca, al Theater an der Wien, Franz Lehàr mette in scena l’operetta La vedova allegra e, alla Königliches Opernhaus di Dresda, Richard Strauss rappresenta in musica la Salomè di Oscar Wilde. Ma ciò che ci interessa più da vicino è che sempre a Dresda, in quello stesso anno 1905, un gruppo di studenti di architettura, desiderosi di conquistarsi “libertà d’azione e di vita”, fonda un movimento prorompente che chiamerà Die Brücke (il Ponte). Questi giovani hanno deciso di esprimersi con una tecnica recuperata dall’incisione e dalla xilografia del XV e del XVI secolo tedesco (Grünewald, Dürer, Cranach), ma tengono presenti le sperimentazioni condotte da Van Gogh, da Gauguin e le sue influenze polinesiane. La loro grafica restituisce linee spigolose, crude, immagini deformate. Non sono i soli, perché a Parigi, da ottobre a novembre di quello stesso 1905, nella sala 7 del Salon d’Automne, sono esposte opere così travolgenti per la violenza espressiva del colore, steso in tonalità pure e con effetti assolutamente innaturali, che il critico Vauxcelles definisce «cage aux fauves» quella sala del tutto inospitale, come dire la gabbia delle bestie “dal pelo fulvo”, cioè la gabbia delle belve selvagge. Sembra quasi che nella capitale francese non si paventi più che in una mostra possa esserci un nuovo scossone: i tempi dei contestati Salon sono lontani e la pittura rassomiglia all’acqua cheta della Senna che scorre sotto i ponti.

Scrive L’illustration: «Ci è stato detto: “Perché L’illustration, che consacra ogni anno ai tradizionali Saloni di primavera tutto un numero, sembra ignorare il giovane Salon d’Automne?”. Voi lettori di provincia e stranieri, esuli lontani dal Grand Palais, sareste felici di avere almeno un’idea di questi capolavori poco conosciuti, che i giornali più seri (lo stesso Temps) hanno così calorosamente elogiato. Per queste ragioni, dedichiamo due pagine, così da riprodurre al meglio delle nostre capacità una dozzina di quadri suggestivi del Salon d’Automne. Manca sfortunatamente il colore, ma si potranno almeno giudicare il disegno e la composizione. Se alcuni lettori rimarranno sorpresi da certe nostre scelte, invitiamo tutti a leggere le righe stampate sotto ogni quadro: sono i pareri dei più illustri scrittori d’arte, e noi ci sottraiamo (da ogni commento) dietro la loro autorevolezza. Mettiamo soltanto in evidenza che, se la critica, in passato, riservava tutto il suo incenso alle glorie consacrate e tutto il suo sarcasmo ad esordienti e praticanti, oggi le cose sono davvero cambiate». Sicuro che sono cambiate! Per tornare a Dresda, anche la Dresdner Secession è ormai fuori dal tempo e persone come il professore Gotthardt Kuehl, pioniere dell’Impressionismo tedesco col suo circolo Die Elbier (L’Elba), non possono che combattere una battaglia persa in partenza.

Henri Matisse, Donna con cappello, 1905, San Francisco Museum of Modern Art

La verità è che in questi anni si stanno sviluppando nuove sensibilità che trovano le premesse nelle esperienze di personalità come Ensor, Munch, van Gogh, Gauguin. Sensibilità che scorgono possibili relazioni con l’arte popolare, con le culture primitive, con le nuove espressioni musicali. L’arte non è a compartimenti stagni, disciplinata e analgesica. Ci sono nuovi linguaggi, non sempre univoci, che non hanno ancora neppure un nome che li accomuni, né un organo di stampa che ne diffonda lo spirito. Tempo al tempo: solo cinque anni più tardi Herwarth Walden – scrittore, critico, compositore di musica – fonderà una galleria d’arte e una relativa rivista, Der Sturm, ovvero La tempesta: sono approdi concettuali di un movimento che alle “impressioni” di una realtà oggettiva sostituirà le “espressioni” del mondo soggettivo dell’artista. Sulle pagine di Der Sturm del 1914, Adolf Behne titola Deutsche Expressionisten un suo intervento. Nel 1916 Hermann Bahr pubblica un libro di successo: Expressionismus. L’Espressionismo, grazie a questi testi, si chiarisce al pubblico come movimento artistico che propone di contrapporre alla pittura impressionista un’arte personale, coinvolgente, capace di fare risaltare ogni umano dramma esistenziale. Mentre l’Impressionismo descrive ancora la realtà fisica, l’Espressionismo non ambisce più questa realtà, ma la vuole sottomessa alle turbolenze degli stati d’animo. Un movimento, dunque, del tutto innovativo che racchiude due vitalità contrapposte: l’una sensitiva, l’altra volitiva. Le sue forme espressive saranno per questo diverse. Nella Francia di Bergson, e del suo “slancio vitale”, prende strada il movimento dei Fauves. Nella Germania di Nietzsche, e della sua “volontà di potenza”, si affermeranno Die Brücke e Der Blaue Reiter. Due vitalità, quella francese e quella tedesca, che teoricamente avrebbero potuto fondere il classicismo latino e mediterraneo con il romanticismo germanico e nordico. Una fusione che non si realizzerà mai, in assenza di una ricerca comune, anche se ci saranno incontri e tentativi. Il vento della Storia spira in realtà in tutt’altra direzione. Il dissidio delle nazioni per l’egemonia economica e politica in Europa porterà ben presto al primo conflitto mondiale. Una sorta di testimonianza dal vivo è proprio il libro di Hermann Bahr. Expressionismus, uscito nel corso della Grande guerra, ebbe tre edizioni in poco tempo. Le sue intense pagine mettono in luce la reazione dell’Espressionismo nei confronti dell’Impressionismo, giustificando in qualche modo il suo grido di angoscia, la sua mancanza di speranza. Ne stralcio un brano iniziale, condensando più pagine in poche righe. Mi pare che rappresentino bene il dibattito interiore tra generazioni diverse.

kirchner, Invito alla Brücke, 1906

«Dovrei tenere una conferenza a Danzica, all’Hebest. Il consigliere comunale Goerltz, presidente dell’associazione dove spesso prendo la parola, mi ha offerto di parlare sull’ultima arte: sull’Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo. Mi ha incoraggiato a non risparmiarmi. Ma quando ho detto di sì, è stato difficile per me, perché ho dovuto riflettere prima di tutto su cosa penso io stesso dell’Espressionismo. Sono cresciuto con l’Impressionismo. Ero un impressionista prima di conoscerne uno. Quindi, ho seguito l’Impressionismo per tutto il corso della mia vita. E quando all’improvviso l’ho visto non più minacciato dal vecchio, ma dalla nuova gioventù, mi sono ricordato che per noi s’era fatta sera. All’inizio ho solo concluso che era finalmente ora che imparassi a invecchiare dignitosamente. Quelli che erano giovani quando anche io ero giovane non lo volevano affatto, e questo mi dava fastidio. Ora vedono i giovani così stolti e ingiusti, come trent’anni fa vedevano noi. La prima conseguenza è stata che ho evitato d’incontrare gli espressionisti. Piano piano l’ho superato, e mi sono detto: devi imparare a orientarti, delle nuove persone sono qui, lo vedi! Così ho fatto. Non ho capito tutto di loro, ma non ho trovato nulla che mi ha fatto arrabbiare: ho visto all’opera grande volontà, con passione pura e, anche se non sempre potevo interpretarla, ho avuto la forte sensazione della più bella promessa. Dopotutto, cosa c’entra con i cittadini di Danzica, se mi piace o non mi piace l’Espressionismo e per quali ragioni? Che senso ha promuovere un’arte o mettere in guardia contro quell’arte? Ha senso essere Giudici d’arte?».

Il numero della rivista Der Sturm sulla quale appare il saggio di Adolf Behne, 1914
CLICCA E LEGGI

Pagina dopo pagina Hermann Bahr spiegava che inizialmente furono definiti “Espressionisti” i componenti di un gruppo di pittori francesi, non tedeschi. Erano Picasso e altri artisti della cerchia di Matisse. Era un modo appropriato per indicare i nuovi orientamenti dell’arte francese. Il termine Espressionismo entrò nell’uso “tedesco” dopo che nel 1914 il critico figurativo Adolf Behne, esponente dello Sturm, affermò che il nuovo movimento rappresentava «il ridestarsi di tendenze che hanno sempre dominato l’arte nelle sue epoche più felici». In realtà, sulla scena erano comparsi i due gruppi della Brücke e del Blaue Reiter. In sintonia con loro, Herwarth Walden colse nell’Impressionismo e nell’Espressionismo non due fasi storiche nella evoluzione dell’arte moderna, bensì due differenti momenti dello spirito umano. La ricerca comune consisteva per lui nel comprendere le immagini del mondo, non più necessariamente legate ad una rappresentazione naturalista (ein getreues Abbild der Natur), ma rispecchiava nell’opera d’arte il contenuto dell’immagine interiore (Bild). «È qualcosa di più di un mero ricordare o di una semplice riproduzione del vedere sensibile; è una produzione autentica, perché il vedere spirituale ha una forza creatrice, la forza di creare un mondo secondo leggi diverse da quelle della vista sensibile».

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Hermann Traub da Pixabay 

Pierre-Auguste Renoir – Les Parapluies, 1881-86

Galleria d’arte sotto forma di puzzle.
A cura di Laura Gentile

Proviamo a realizzare una galleria d’arte con opere famose. Facciamolo però in modo diverso, per rilassarci mentre impariamo a guardare i particolari attraverso le minuscole tessere di un puzzle da montare. Quanti minuti impiegheremo? Naturalmente ciò dipenderà dal numero dei pezzi, perché ognuno potrà scegliere il livello di difficoltà. Buon divertimento.

Un particolare dell’opera

Gli ombrelli (Les Parapluies) è un dipinto del pittore francese Pierre-Auguste Renoir, realizzato nel 1881-86 e conservato alla National Gallery di Londra. In quest’opera Renoir, memore delle teorie estetiche di Charles Baudelaire, sceglie di raffigurare la poesia e la meraviglia della vita moderna cogliendo un frammento di vita contemporanea della società moderna parigina. Il soggetto della tela, infatti, è la commedia umana della folla che, dopo un improvviso temporale, cerca di ripararsi dalla pioggia con gli ombrelli. A destra troviamo una madre elegantemente vestita con gli occhi rivolti alle sue due bambine, che si stanno divertendo sotto la pioggia. Dietro di lei una donna, con fare interrogativo, alza gli al cielo per vedere se sta piovendo: questo dettaglio, apparentemente insignificante, ci fa comprendere che il temporale è appena iniziato. A sinistra, invece, si erge statuaria una midinette con il volto stanco per la giornata lavorativa appena trascorsa: con le mani alza la sua veste per proteggerla dal fango depositato sulla strada, esposta com’è alla furia del temporale. Non ha né un ombrello, né un impermeabile, né un cappello per coprirsi dalla pioggia: dietro di lei, tuttavia, incede un gentiluomo dalla barba raffinatemente mascolina che è pronto a offrirle un riparo.

CONTINUA LA LETTURA SU WIKIPEDIA: Gli ombrelli

Il nuovo Bauhaus europeo: una iniziativa creativa e interdisciplinare per progettare futuri modi di vivere

Arte/cultura/inclusione sociale/scienza/tecnologia 

Dopo il Bauhaus – la scuola di arte e design che svolse una importante attività artistica in Germania dal 1919 al 1933 – ecco riproposto ai nostri giorni il Nuovo Bauhaus Europeo! Lanciato dall’Unione Europea come parte del suo Patto Verde, intende promuovere stili di vita più estetici, sostenibili e inclusivi. «Il nuovo Bauhaus europeo – dice la guida ufficiale – ha l’ambizione di trasformare il Green Deal in un’esperienza culturale, positiva e tangibile, incentrata sulle persone. Tutti dovrebbero essere in grado di sentire, vedere e sperimentare la trasformazione verde e digitale e il modo in cui essa migliora la nostra qualità di vita. Si tratta di collegare le sfide globali alle soluzioni proposte a livello locale, per raggiungere i nostri obiettivi climatici e sostenere una prospettiva di trasformazione più ampia». Il suo obiettivo è esplicitare, in un modo del tutto innovativo, tre dimensioni fondamentali: sostenibilità (compresa la circolarità); estetica (e altre dimensioni della qualità dell’esperienza oltre alla funzionalità); inclusione (compresa l’accessibilità, anche sotto il profilo economico).

Per questo motivo è stato creato un concorso, e i progetti dei vincitori possono essere guardati in questa galleria virtuale. Solo per portare all’attenzione qualche esempio, il primo che apre la lunga serie, concepito in Austria, riguarda tecniche, materiali e processi per la costruzione e la progettazione, con elementi costruttivi prefabbricati in terra battuta non stabilizzata realizzati al 100% in terra naturale e completamente riciclabili. Il secondo denominato, non a caso, Gardens in the Air è un’iniziativa di rinaturalizzazione urbana: in pratica sono proposti mini “giardini in aria”, irrigati con acqua riciclata dai condizionatori in un quartiere povero di Siviglia, “Tres Barrios-Amate”. Basta scorrere la sequenza dei progetti per trovarne di interessanti, come La Fàbrika, un’ex stabilimento di cemento nell’Estremadura rurale abbandonata per decenni; qui sono state inventate molteplici attività da parte di collaboratori locali e internazionali: ad esempio hanno installato un cinema all’aperto, piantagioni per la rigenerazione del suolo, laboratori di arte o edilizia sostenibile, laboratorio buen vivir (“vivere bene”) … Insomma, i progetti si susseguono, avendo tutti come riferimento l’incitamento di Ursula von der Leyen: «Voglio che NextGenerationEU faccia partire un’ondata di ristrutturazioni in tutta Europa e renda l’Unione capofila dell’economia circolare. Ma non è solo un progetto ambientale o economico: dev’essere un nuovo progetto culturale europeo».

GUARDA COME SI POSSONO COSTRUIRE INSIEME SPAZI DI VITA PIÙ BELLI, SOSTENIBILI ED INCLUSIVI

Nuovo-Bauhaus-Europeo.jpeg

Gustave Caillebotte – I piallatori di parquet, 1875

Galleria d’arte sotto forma di puzzle.
A cura di Laura Gentile

Seconda versione detta anche “versione piccola” de I piallatori di parquet (1876)

Les raboteurs de parquet (I piallatori di parquet) è un dipinto del pittore francese Gustave Caillebotte, realizzato nel 1875. Nella sua tipica interpretazione impressionista, mostra tre uomini al lavoro, prestando molta attenzione all’effetto del controluce. L’opera è ora nella collezione del Musée d’Orsay di Parigi.

La prima grande mostra retrospettiva del lavoro di Caillebotte ha avuto luogo nel 1994, cento anni dopo la sua morte. Per gran parte del ventesimo secolo, il suo lavoro è rimasto quasi del tutto sconosciuto. Il motivo era che i dipinti di Caillebotte non potevano essere visti nei musei fino agli anni ’50. Non c’erano nemmeno immagini delle sue opere. Essendo benestante, non aveva mai sentito il bisogno di mettere in vendita il suo lavoro pittorico nel corso della sua vita. Inoltre, dopo la morte del fratello minore René nel 1876, fece redigere un testamento in cui stabiliva che la sua opera fosse lasciata in eredità allo Stato francese, ma che potesse essere esposta nei principali musei solo non appena fosse diventato evidente che il grande pubblico era in grado di apprezzare le sue opere impressioniste. Pierre Auguste Renoir dopo la sua morte, avvenuta nel 1894, in quanto esecutore testamentario, ebbe grandi difficoltà ad assecondare tale volontà. Ne conseguì che la famiglia decise di mantenere il possesso di tutte le opere. Fu solo negli anni ’50 che iniziarono a vendere il suo lavoro alla spicciolata e gradualmente il nome del pittore prese ad essere conosciuto anche dal grande pubblico.

Si verificò, tuttavia, un’eccezione a questa linea di condotta da parte degli eredi del pittore: nel 1897 lo Stato francese acconsentì alla raccolta di una collezione di quaranta dipinti impressionisti nel Musée du Luxembourg, una sorta di riconoscimento semiufficiale del movimento. Tra questi dipinti c’era anche un’opera di Caillebotte, aggiunta dall’amico Renoir: Les raboteurs de parquet. Per molto tempo questa rimarrà l’unica opera di Caillebotte a sfuggire all’oblio temporaneo. L’opera fu trasferita al Louvre nel 1929, alla Galerie nationale du Jeu de Paume nel 1947 e infine al Musée d’Orsay nel 1986, dove è tuttora esposta.

Gli impressionisti dipingevano non solo il lavoro rurale, come i pittori di Barbizon, ma anche il lavoro urbano. Caillebotte raffigura tre piallatori di parquet al lavoro, probabilmente nel suo studio in Rue de Miromesnil. Che Caillebotte abbia scelto un soggetto così apparentemente banale è stata una sorpresa per i suoi contemporanei ed è stata presa anche come una provocazione da parte di alcuni. Il comitato di selezione del salone di Parigi rifiutò quindi il dipinto e lo espose infine insieme ad altre sette sue opere nel 1876, durante la seconda grande mostra impressionista.

L’aspetto più sorprendente di Les raboteurs de parquet è l’illuminazione resa tecnicamente in modo estremamente intelligente che proviene sullo sfondo dalla portafinestra che immette sul piccolo balcone. Riflette il bagliore delle braccia e della schiena degli operai. Le strisce di laccatura scura sul pavimento risplendono di luce mentre le assi già sverniciate appaiono opache. I due uomini davanti eseguono lo stesso movimento. Stanno discutendo rivolgendo lo sguardo l’uno verso l’altro. Il collega che lavora in secondo piano sulla sinistra è tagliato fuori dal bordo dell’immagine, un principio fotografico che enfatizza l’idea dell’istantanea. La sua schiena corre parallela alla linea orizzontale della boiserie, ricordando certi studi di movimenti ritmici similari che possono vedersi nelle ballerine e nei cavalli da corsa di Edgar Degas. Dal punto di vista compositivo, c’è molta attenzione per una linea prospettica equilibrata.

Per questo dipinto relativamente grande (102×146,5 cm) Caillebotte ha prima realizzato uno schizzo più piccolo, che misura 26×39 cm. Un anno dopo dipinse un secondo quadro con il medesimo tema dei piallatori di parquet, detto anche “versione piccola” (31,5 x 39,5 cm.), anch’esso esposto alla seconda grande mostra impressionista, ora di proprietà privata.

LEGGI SU WIKIPEDIA: I piallatori di parquet

Pierre-Auguste Renoir – La Grenouillère, 1869

Galleria d’arte sotto forma di puzzle.
A cura di Laura Gentile

Una differente versione del medesimo tema, sempre realizzata da Pierre-Auguste Renoir nel 1869, oggi conservata nella Oskar Reinhart Collection a Winterthur

La Grenouillère e Bain à la Grenouillère sono due quadri dipinti quasi contemporaneamente e nello stesso luogo nel 1869 da Pierre-Auguste Renoir e Claude Monet, rispettivamente due pittori francesi. Entrambi sono annoverati tra le prime opere in cui i principi dell’impressionismo furono pienamente applicati. Il dipinto di Renoir può ora essere ammirato al Museo Nazionale di Stoccolma, quello di Monet al Museum of Modern Art di New York.

Intorno al 1870, il concetto di svago iniziò ad assumere un nuovo significato tra la borghesia parigina, soprattutto la domenica. Molti andavano “fuori” a passeggiare lungo la Senna, in cerca di luce e aria fresca. La costruzione di nuove ferrovie e altre forme di trasporto lo rendevano sempre più possibile.

Una delle destinazioni più popolari dei parigini era “La Grenouillère” (letteralmente: lo stagno delle rane), uno stagno vicino a Bougival. Si trovava sulla Senna, appena a monte di Le Port-Marly, vicino a Louveciennes, dove Renoir soggiornava allora con i suoi genitori, e alla frazione di Saint-Michel, dove Monet era andato a vivere alla fine del 1868. La Grenouillère era così popolare che anche Napoleone III e l’imperatrice Eugenia ogni tanto vi si recavano. Di solito, tuttavia, il pubblico era composto da visitatori più giovani e distaccati della borghesia benestante, che cercavano il loro intrattenimento lontano dalle preoccupazioni della vita quotidiana. La Grenouillère era regolarmente oggetto di vignette sulle riviste, spesso raffigurata come un luogo in cui la moralità civica era rilassata e dove si poteva amoreggiare.

Nell’estate e prima dell’autunno del 1869, gli amici Monet e Renoir sistemano regolarmente i loro cavalletti a La Grenouillère per dipingere, attratti dall’atmosfera rilassata e dalla luce solare. Entrambi i pittori realizzarono diversi quadri a seconda del tema, di solito seduti appena fuori dal trambusto, a volte cambiando leggermente posizione, in modo che più opere affiancate formassero quasi una sorta di panorama. Le opere qui discusse, con la rappresentazione centrale del pontone, il ristorante che si estende sul fiume a destra e il noleggio di barche in primo piano (i bagni a sinistra sono fuori vista), sono i più noti e sono considerati quelli di maggior successo dal punto di vista artistico.

I due dipinti risalgono a un periodo in cui l’Impressionismo, di cui Renoir e Monet furono importanti esponenti, stava appena iniziando ad assumere il suo carattere definitivo. Le peculiarità erano quasi tutte presenti in queste opere: l’attenzione all’atmosfera e all’impressione passeggera, la pennellata spontanea e sciolta, gli spessi strati di pittura, la pittura en plein air e soprattutto: una particolare attenzione agli effetti della luce solare. Colpisce anche la tecnica del “taglio” sui lati e sulle barche davanti, influenzata dalla fotografia e dall’incisione giapponese, che ha dato alle opere un tocco di modernità.

Le due scene sono inequivocabilmente simili, non solo per il soggetto, dipinto da punti di vista quasi identici, ma anche in termini di stile. Tuttavia, c’erano già chiare differenze che si sarebbero rivelate esemplari per rivelare la cifra stilistica tra Renoir e Monet.

In termini compositivi, ad esempio, Monet sembra chiaramente prestare maggiore attenzione a ciò che si vede intorno al pontone, in particolare al gioco atmosferico tra luci e ombre. Le sue figure appaiono come accenti nel paesaggio circostante, in contrasto con le miscele sottilmente tenui della sua tavolozza. Il suo stile disinvolto e abbozzato fornisce l’idea del movimento e la sensazione di vicinanza. Con la sua pennellata più ampia è in grado di rappresentare i riflessi increspati della luce del sole nell’acqua meglio del suo amico Renoir. A volte queste spazzate astratte sembrano giacere quasi liberamente sull’acqua, il che crea anche un’idea di spaziosità.

Renoir presta chiaramente maggiore attenzione agli eventi sociali e all’interazione tra le persone, come aspetto della vita moderna. Disegna anche le sue figure in modo più preciso e delicato, con le quali riesce giustamente a toccare l’atmosfera animata della compagnia. È anche più forte nella composizione dei colori, un aspetto che diventerà poi il suo marchio di fabbrica.

Tuttavia, le differenze tra le due opere sono velate dalle somiglianze. Il modo in cui Monet e Renoir dipingevano le loro opere a Grenouillère, con potenti spruzzi di colore, si adattava perfettamente alla rumorosa turbolenza di una folla rumorosa e al gioco di riflessi di luce colorata sulla superficie inquieta dell’acqua. Il concetto di “impressione” ha trovato qui il suo decisivo equivalente. “Nei quadri di La Grenouillère – scrive lo storico dell’arte Peter Feist – nasce quello che cinque anni dopo prese il nome di Impressionismo.

LEGGI SU WIKIPEDIA: La Grenouillère



Degas – La scuola di danza, 1874

Galleria d’arte sotto forma di puzzle.
A cura di Laura Gentile

Edgar Degas, Studio preparatorio di ballerina che si gratta la schiena (1873-1874); matita nera e biacca su carta, 46,5×30,8 cm, museo del Louvre, Parigi

La classe de danse (La classe di balletto) è un dipinto del pittore impressionista francese Edgar Degas, realizzato tra il 1873 e il 1876. Mostra le ballerine del corpo dell’Opéra di Parigi, in attesa della valutazione del loro maestro Jules Perrot. Il conte Isaac de Camondo, noto collezionista di arte impressionista, lasciò in eredità il dipinto al Louvre nel 1911. Dal 1986 è al Musée d’Orsay di Parigi. Nel museo francese si può vedere una variante del dipinto conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

Dall’inizio degli anni ’70 dell’Ottocento, Degas dipinse una vasta serie di scene rivoluzionarie per l’epoca, con il tema del balletto e del teatro. Solitamente ritraeva le ballerine durante le prove o nel backstage, quasi casualmente, in un momento di spensieratezza. Era particolarmente affascinato dalla forma umana e mostrava le sue eccellenti capacità di disegno, influenzato da Dominique Ingres. “Un ballerino – scrisse una volta – mi permette di dipingere bellissimi tessuti e rappresentare il movimento”. Per quasi tutte le sue opere ha realizzato numerosi schizzi come studi preliminari. L’influenza degli impressionisti è particolarmente evidente nella pennellata vivace e nei colori chiari e luminosi. Di solito usa una tavolozza di colori limitata, con molto bianco, che alterna con accenti di colore puro. Inoltre, è possibile anche la stampa giapponese e la fotografia siano citate come importanti fonti di ispirazione, soprattutto nella composizione. Il pittore, infatti, ha spesso lavorato con tagli laterali, posizionamento decentrato delle figure e divisioni strette della superficie. I suoi dipinti erano altamente innovativi per il suo tempo, ma allo stesso tempo conservavano le linee tecnicamente forti, qualcosa di classico, che mostrava l’ammirazione di Degas per i vecchi maestri olandesi.

La classe de danse è una delle opere più ambiziose di Degas e la sua prima grande tela di ballerine. Ha iniziato il dipinto nel 1873, commissionato dal cantante d’opera Jean-Baptiste Faure, una delle poche commissioni che Degas accettò durante la sua vita. Tuttavia, ha combattuto molto con la composizione e all’inizio il lavoro è progredito lentamente. Nondimeno, poiché Faure insisteva per ottenere il suo dipinto in tempo, Degas realizzò una variante dell’opera in un periodo di tempo relativamente breve nel 1874, che consegnò nel novembre di quell’anno. Nel frattempo, aveva già esposto la prima versione, non ancora del tutto completata, durante la prima grande mostra impressionista nel marzo 1874. Continuerà poi a lavorare sul dipinto fino al 1876 prima di considerarlo completo.

La classe di balletto mostra le ballerine del corpo dell’Opera di Parigi, in attesa della valutazione del loro insegnante Jules Perrot. La sala è illuminata da una grande finestra invisibile sulla destra. È chiaramente percepibile che la lezione sta volgendo al termine. Le ballerine sono stanche e da tempo hanno smesso di prestare la massima attenzione al loro insegnante. Si grattano la schiena, si allungano, giocherellano con un orecchino o si sistemano i vestiti. Sembra che non si accorgano dello sguardo velato del pittore. La figura del Perrot, che già allora aveva cessato di insegnare, fu aggiunta al dipinto solo nel 1875, basato su uno schizzo precedente che ha utilizzato anche per la variante del dipinto per Faure. Colpiscono anche i vari dettagli dell’opera, come la luce rosata sul polpaccio della danzatrice in primo piano, il cane, la brocca dell’acqua e le lesene accuratamente elaborate.

LEGGI SU WIKIPEDIA: La scuola di danza