di Sergio Bertolami
29 – La tempesta dell’Espressionismo
Ogni anno ha la sua storia. Per riprendere le fila del discorso sull’arte del Novecento (Seconda serie), scelgo il 1905 e non a caso. È l’anno in cui Einstein elabora la teoria della relatività ristretta e Robert Wood realizza il primo cristallo di sicurezza. Johon Danton costruisce il primo juke box con cui la gioventù dell’epoca può alternare le note di una doppia dozzina di dischi. Nella capitale austriaca, al Theater an der Wien, Franz Lehàr mette in scena l’operetta La vedova allegra e, alla Königliches Opernhaus di Dresda, Richard Strauss rappresenta in musica la Salomè di Oscar Wilde. Ma ciò che ci interessa più da vicino è che sempre a Dresda, in quello stesso anno 1905, un gruppo di studenti di architettura, desiderosi di conquistarsi “libertà d’azione e di vita”, fonda un movimento prorompente che chiamerà Die Brücke (il Ponte). Questi giovani hanno deciso di esprimersi con una tecnica recuperata dall’incisione e dalla xilografia del XV e del XVI secolo tedesco (Grünewald, Dürer, Cranach), ma tengono presenti le sperimentazioni condotte da Van Gogh, da Gauguin e le sue influenze polinesiane. La loro grafica restituisce linee spigolose, crude, immagini deformate. Non sono i soli, perché a Parigi, da ottobre a novembre di quello stesso 1905, nella sala 7 del Salon d’Automne, sono esposte opere così travolgenti per la violenza espressiva del colore, steso in tonalità pure e con effetti assolutamente innaturali, che il critico Vauxcelles definisce «cage aux fauves» quella sala del tutto inospitale, come dire la gabbia delle bestie “dal pelo fulvo”, cioè la gabbia delle belve selvagge. Sembra quasi che nella capitale francese non si paventi più che in una mostra possa esserci un nuovo scossone: i tempi dei contestati Salon sono lontani e la pittura rassomiglia all’acqua cheta della Senna che scorre sotto i ponti.
Scrive L’illustration: «Ci è stato detto: “Perché L’illustration, che consacra ogni anno ai tradizionali Saloni di primavera tutto un numero, sembra ignorare il giovane Salon d’Automne?”. Voi lettori di provincia e stranieri, esuli lontani dal Grand Palais, sareste felici di avere almeno un’idea di questi capolavori poco conosciuti, che i giornali più seri (lo stesso Temps) hanno così calorosamente elogiato. Per queste ragioni, dedichiamo due pagine, così da riprodurre al meglio delle nostre capacità una dozzina di quadri suggestivi del Salon d’Automne. Manca sfortunatamente il colore, ma si potranno almeno giudicare il disegno e la composizione. Se alcuni lettori rimarranno sorpresi da certe nostre scelte, invitiamo tutti a leggere le righe stampate sotto ogni quadro: sono i pareri dei più illustri scrittori d’arte, e noi ci sottraiamo (da ogni commento) dietro la loro autorevolezza. Mettiamo soltanto in evidenza che, se la critica, in passato, riservava tutto il suo incenso alle glorie consacrate e tutto il suo sarcasmo ad esordienti e praticanti, oggi le cose sono davvero cambiate». Sicuro che sono cambiate! Per tornare a Dresda, anche la Dresdner Secession è ormai fuori dal tempo e persone come il professore Gotthardt Kuehl, pioniere dell’Impressionismo tedesco col suo circolo Die Elbier (L’Elba), non possono che combattere una battaglia persa in partenza.
La verità è che in questi anni si stanno sviluppando nuove sensibilità che trovano le premesse nelle esperienze di personalità come Ensor, Munch, van Gogh, Gauguin. Sensibilità che scorgono possibili relazioni con l’arte popolare, con le culture primitive, con le nuove espressioni musicali. L’arte non è a compartimenti stagni, disciplinata e analgesica. Ci sono nuovi linguaggi, non sempre univoci, che non hanno ancora neppure un nome che li accomuni, né un organo di stampa che ne diffonda lo spirito. Tempo al tempo: solo cinque anni più tardi Herwarth Walden – scrittore, critico, compositore di musica – fonderà una galleria d’arte e una relativa rivista, Der Sturm, ovvero La tempesta: sono approdi concettuali di un movimento che alle “impressioni” di una realtà oggettiva sostituirà le “espressioni” del mondo soggettivo dell’artista. Sulle pagine di Der Sturm del 1914, Adolf Behne titola Deutsche Expressionisten un suo intervento. Nel 1916 Hermann Bahr pubblica un libro di successo: Expressionismus. L’Espressionismo, grazie a questi testi, si chiarisce al pubblico come movimento artistico che propone di contrapporre alla pittura impressionista un’arte personale, coinvolgente, capace di fare risaltare ogni umano dramma esistenziale. Mentre l’Impressionismo descrive ancora la realtà fisica, l’Espressionismo non ambisce più questa realtà, ma la vuole sottomessa alle turbolenze degli stati d’animo. Un movimento, dunque, del tutto innovativo che racchiude due vitalità contrapposte: l’una sensitiva, l’altra volitiva. Le sue forme espressive saranno per questo diverse. Nella Francia di Bergson, e del suo “slancio vitale”, prende strada il movimento dei Fauves. Nella Germania di Nietzsche, e della sua “volontà di potenza”, si affermeranno Die Brücke e Der Blaue Reiter. Due vitalità, quella francese e quella tedesca, che teoricamente avrebbero potuto fondere il classicismo latino e mediterraneo con il romanticismo germanico e nordico. Una fusione che non si realizzerà mai, in assenza di una ricerca comune, anche se ci saranno incontri e tentativi. Il vento della Storia spira in realtà in tutt’altra direzione. Il dissidio delle nazioni per l’egemonia economica e politica in Europa porterà ben presto al primo conflitto mondiale. Una sorta di testimonianza dal vivo è proprio il libro di Hermann Bahr. Expressionismus, uscito nel corso della Grande guerra, ebbe tre edizioni in poco tempo. Le sue intense pagine mettono in luce la reazione dell’Espressionismo nei confronti dell’Impressionismo, giustificando in qualche modo il suo grido di angoscia, la sua mancanza di speranza. Ne stralcio un brano iniziale, condensando più pagine in poche righe. Mi pare che rappresentino bene il dibattito interiore tra generazioni diverse.
«Dovrei tenere una conferenza a Danzica, all’Hebest. Il consigliere comunale Goerltz, presidente dell’associazione dove spesso prendo la parola, mi ha offerto di parlare sull’ultima arte: sull’Espressionismo, il Cubismo, il Futurismo. Mi ha incoraggiato a non risparmiarmi. Ma quando ho detto di sì, è stato difficile per me, perché ho dovuto riflettere prima di tutto su cosa penso io stesso dell’Espressionismo. Sono cresciuto con l’Impressionismo. Ero un impressionista prima di conoscerne uno. Quindi, ho seguito l’Impressionismo per tutto il corso della mia vita. E quando all’improvviso l’ho visto non più minacciato dal vecchio, ma dalla nuova gioventù, mi sono ricordato che per noi s’era fatta sera. All’inizio ho solo concluso che era finalmente ora che imparassi a invecchiare dignitosamente. Quelli che erano giovani quando anche io ero giovane non lo volevano affatto, e questo mi dava fastidio. Ora vedono i giovani così stolti e ingiusti, come trent’anni fa vedevano noi. La prima conseguenza è stata che ho evitato d’incontrare gli espressionisti. Piano piano l’ho superato, e mi sono detto: devi imparare a orientarti, delle nuove persone sono qui, lo vedi! Così ho fatto. Non ho capito tutto di loro, ma non ho trovato nulla che mi ha fatto arrabbiare: ho visto all’opera grande volontà, con passione pura e, anche se non sempre potevo interpretarla, ho avuto la forte sensazione della più bella promessa. Dopotutto, cosa c’entra con i cittadini di Danzica, se mi piace o non mi piace l’Espressionismo e per quali ragioni? Che senso ha promuovere un’arte o mettere in guardia contro quell’arte? Ha senso essere Giudici d’arte?».
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Pagina dopo pagina Hermann Bahr spiegava che inizialmente furono definiti “Espressionisti” i componenti di un gruppo di pittori francesi, non tedeschi. Erano Picasso e altri artisti della cerchia di Matisse. Era un modo appropriato per indicare i nuovi orientamenti dell’arte francese. Il termine Espressionismo entrò nell’uso “tedesco” dopo che nel 1914 il critico figurativo Adolf Behne, esponente dello Sturm, affermò che il nuovo movimento rappresentava «il ridestarsi di tendenze che hanno sempre dominato l’arte nelle sue epoche più felici». In realtà, sulla scena erano comparsi i due gruppi della Brücke e del Blaue Reiter. In sintonia con loro, Herwarth Walden colse nell’Impressionismo e nell’Espressionismo non due fasi storiche nella evoluzione dell’arte moderna, bensì due differenti momenti dello spirito umano. La ricerca comune consisteva per lui nel comprendere le immagini del mondo, non più necessariamente legate ad una rappresentazione naturalista (ein getreues Abbild der Natur), ma rispecchiava nell’opera d’arte il contenuto dell’immagine interiore (Bild). «È qualcosa di più di un mero ricordare o di una semplice riproduzione del vedere sensibile; è una produzione autentica, perché il vedere spirituale ha una forza creatrice, la forza di creare un mondo secondo leggi diverse da quelle della vista sensibile».
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Hermann Traub da Pixabay