Storie curiose: Alessandro Barbero – A che ora si mangia?

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento le classi agiate europee hanno modificato l’orario dei pasti, spostando il pranzo da mezzogiorno a metà pomeriggio, in orari che a noi sembrano molto strani: all’epoca in cui scriveva i Promessi Sposi, per esempio, Manzoni pranzava alle 17. “Pranzar tardi” divenne uno status-symbol, col risultato che l’orario del pranzo si è spostato sempre più avanti, fino a raggiungere le 20 o le 21. Le conseguenze linguistiche si avvertono ancora oggi, come la nascita del breakfast inglese, per “rompere il digiuno” troppo prolungato in attesa del pranzo; oppure, in Italia, lo snobismo di chiamare, in certi ambienti, “colazione” quello che per la stragrande maggioranza degli italiani è tuttora il “pranzo” di mezzogiorno. (Cucina d’epoca 2019 domenica 22 settembre – Genova, Palazzo Ducale, Sala del Maggior Consiglio).

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di photosforyou da Pixabay 

Testimonianze dirette di due ebrei napoletani vittime delle Leggi Razziali

5 febbraio 2020, ore 17.30 presso la Comunità Ebraica di Napoli
Via Cappella vecchia 31, Napoli
Presentazione del memoriale delle Quattro Giornate di Napoli del prof. ing. Alberto Defez

Il volume RACCOLTA DI MEMORIE di Alberto Defez comprende le testimonianze dirette, finora inedite, di due ebrei napoletani, figli di padri immigrati, vittime delle Leggi Razziali. Si tratta di MEMORIE DI ALBERTO DEFEZ, noto ingegnere edile e professore di Architettura alla “Federico II”, e di MEMORIE DI BRUNO HERRMANN, compagno di studi di ingegneria di Defez, primo a introdurre il personal computer a Napoli, il quale personalmente gli aveva consegnato la sua testimonianza di perseguitato razziale e che Defez aveva rilegato in dattiloscritto insieme al suo inedito.
Due testimonianze dirette preziose per la comprensione di due microcosmi umani sullo sfondo della storia della persecuzione degli ebrei in Italia.
Il Memoriale di Alberto Defez è di grandissima importanza storica in quanto testimonianza di un ebreo che da vittima delle Leggi Razziali a Napoli, escluso dalla scuola, a 20 anni impugna la pistola datagli dal padre e con il fratello Leo Defez partecipa attivamente ai combattimenti delle Quattro Giornate, rischiando due volte la vita.
Il suo coraggio e amor patrio tuttavia non finisce qui e, dopo aver combattuto per la liberazione di Napoli dai nazifascisti, si arruola volontario, coinvolgendo il fratello ed alcuni amici, nel Battaglione San Marco, partecipando attivamente alla liberazione dell’Italia.
Un Memoriale che, specie per la parte di Defez, testimonia di grandi valori umani e ne restituisce la speranza con il suo messaggio di impegno civile, oggi più che mai necessario, per i contemporanei e i posteri.

In apertura:
Saranno proiettati brani del film BRUCIATE NAPOLI di Arnaldo Delehaye che, con un montaggio ad opera dello stesso regista napoletano, introducono alcune scene dell’intervista filmata ad Alberto Defez a Napoli, prodotta dalla SHOAH FOUDATION di Steven Spielberg.
Intervengono:
SANDRO TEMIN consigliere della Comunità Ebraica di Napoli e dell’Unione Comunità Ebraiche Italiane (UCEI)
GIUSEPPE ARAGNO storico, autore della prefazione al volume
MASSIMO CARUSO nipote, figlio della sorella Ada, autore del testo introduttivo “Zio Alberto”
SUZANA GLAVAŠ curatrice
GIOVANNI SPEDICATI titolare de La Mongolfiera Editrice&Spettacoli

Lettura brani di testimonianze di Defez e Herrmann
In chiusura:
Brani di musica classica ed ebraica:
GENEROSO VEGLIONE fisarmonica

Il giorno seguente 6 febbraio 2020 alle ore 17
presso l’associazione A.D.A. – Via Portiello 3 – Somma Vesuviana, Napoli
si terrà un’altra presentazione a cura dell’istituto Campano per la Storia della Resistenza e condotta dal prof. Guido D’Agostino, presidente dell’istituto

IMMAGINE DI APERTURA – la copertina del libro

Collezioni: Museo di Storia Naturale di Milano

Scheletro di capodoglio – Museo civico di storia naturale di Milano – trattasi di scheletro di un capodoglio maschio lungo circa 11,75 metri e pesante 18 tonnellate arenatosi a Forte Dei Marmi (Lucca) il 17 giugno 1988
VISITA IL SITO WEB


Museo di Storia Naturale di Milano
Milano, Italia

Il Museo di Storia Naturale è il più antico museo civico milanese ed è oggi il centro delle attività del Giardino delle Scienze, che comprende due grandi laboratori didattici, Paleolab e Biolab, e il Civico Planetario Ulrico Hoepli

VISITA LA COLLEZIONE SU GOOGLE ARTS & CULTURE: MUSEO DI STORIA NATURALE DI MILANO, ITALIA

PASSEGGIA NEL MUSEO SU WIKIMEDIA

Places to see in ( Milan – Italy ) Civico Museo di Storia Naturale

IMMAGINE DI APERTURA – Il celebre fossile dello Scipionyx samniticus (nel museo è esposto un calco).(Fonte Wikipedia)

La Comunità ebraica di Napoli ricorda le vittime napoletane della Shoah

Il 30 gennaio, nel corso di due distinte cerimonie programmate in piazza Bovio e in via Luciana Pacifici dalle ore 10:45 alle 12 (circa), la Comunità ebraica di Napoli ricorderà: Amedeo Procaccia, Iole Benedetti, Elda Procaccia, Loris e Luciana Pacifici, Sergio Oreste Molco, Milena Modigliani, Aldo e Paolo Procaccia, vittime dell’odio e della violenza razziale, deportate nel campo di sterminio di Auschwitz il 30 gennaio 1944.  

Il programma

Ore 10:45 (Piazza G. Bovio n.33)

Presenta l’evento:

  • Daniele Coppin (responsabile della comunicazione della Comunità ebraica di Napoli).

Intervengono:

  • Lydia Schapirer (presidente della Comunità ebraica di Napoli)
  • Sandro Temin (consigliere UCEI)
  • Miriam Rebhun (presidente della sezione di Napoli Adei-Wizo)
  • Giuseppe Crimaldi (presidente nazionale della Federazione delle Associazioni Italia-Israele)
  • Nico Pirozzi (storico della Shoah)
  • Ugo Foà (testimone degli eventi)
  • Irio Milla (nipote di Luciana Pacifici)
  • Maskil Ariel Finzi, rabbino della Comunità ebraica di Napoli, leggerà una preghiera composta da Rav Samuel Hirsch Margulies (1858-1922) e, accompagnato dalle note del violino di Angela Yael Amato, intonerà il “Kaddish”. La solennità dell’evento sarà sottolineata dal suono dello Shofar.
  • Nel corso della cerimonia l’attrice Cristina Donadio leggerà alcuni passi estrapolati dal volume di Nico Pirozzi “Traditi – Una storia della Shoah napoletana”

Ore 11:45 (via Luciana Pacifici)

Cerimonia di ricordo della più piccola delle vittime napoletane della Shoah.

Intervengono:

  • Nico Pirozzi (storico della Shoah)
  • Nino Daniele (già assessore alla Cultura del Comune di Napoli, promotore dell’iniziativa del cambio del nome di via Gaetano Azzariti in via Luciana Pacifici)

Teresa Lazzaro – Ravensbrück, breve viaggio nella memoria 2/2

Appunti di Teresa Lazzaro

L’ideologia della razza spingeva le SS a trattare le donne secondo una scala gerarchica, così le tedesche erano trattate meglio delle scandinave e delle polacche. Anche chi aveva il triangolo nero, da asociale, o il triangolo verde da criminale era trattata meglio di altre. Pertanto, le deportate mal sopportavano chi aveva “potere” come le kapò, in genere asociali e criminali che facevano abusi di potere, che torturavano, che decidevano chi andava punita, che potevano avere qualcosa in più da mangiare e che potevano favorire alcune internate solo per simpatia.  Tale odio per le kapò è espresso nei disegni in cui appaiono come figure grottesche ma anche ironiche nei confronti delle altre. Erano vestite meglio perché rubavano o perché si procuravano dei capi in modo illecito. Nei processi dopo la guerra due delle kapò di Ravensbrück subirono la condanna a morte per aver collaborato con le SS mandando gente nella camera a gas.

Legami di tipo religioso o politico furono meno importanti della solidarietà e del patriottismo sebbene nella sua vasta testimonianza Corrie Ten Boom affermasse di essere cristiana prima ed olandese dopo. Nanda Herbermann vedeva se stessa prima cattolica e poi tedesca e condannava i suoi compatrioti per il comportamento immorale. Le comuniste erano tra loro molto legate prima per l’ideologia e poi per orgoglio nazionale. Questo variava a seconda dei gruppi e insieme alla posizione sociale è stato determinante per la loro sopravvivenza.

Memoriali e poesie sul campo di Ravensbrück confermano l’esistenza di pregiudizi. Zingare ed Ucraine era anche target di discriminazione. Considerate infantili ed ignoranti venivano emarginate perché avevano portato i pidocchi e se veniva a mancare qualcosa erano loro ad essere accusate di fare ciò che altre non avrebbero osato fare, anche rubare un arto artificiale!

Peggiori le considerazioni per le ucraine considerate maligne e pronte a prendersi quel poco che altre le deportate avevano. Un altro gruppo indesiderato era quello delle prostitute, considerate delinquenti e crudeli. Soggette a devianza, perverse erano accusate di essere lesbiche. Interessate solo a rapporti intimi le polacche si baciavano sulla bocca e mettevano a disagio le francesi. Molte ebbero rapporti da lesbiche come l’unico modo per superare la solitudine ed evitare isterismi ma erano spesso accusate di furti e di terrorizzare le altre. È difficile trovare qualche testimonianza che non le stigmatizzi.

C’era nel campo anche il sottobosco culturale e le Jules erano coloro che fisicamente assomigliavano a uomini. Pertanto, come tali vestivano. Venivano scelte come kapò ed in una delle poesie Charlotte Delbo descrive i loro rapporti intimi come quelli di coppie legalmente sposate mentre le altre sono stanche morte in quella specie di strapuntini. Le Jules godevano di protezione e vivevano meglio grazie a compiti di lavoro più leggeri, razioni di cibo più grandi e qualche vestito in più.

Spesso costrette in tre in un “letto” il freddo le costringeva a tare strette strette per scaldarsi e la cosa a volte sfociava in qualche relazione illecita. A volte erano amicizie solidali a sfociare nell’intimità. L’affetto le rendeva umane ed era l’unico modo per sentirsi tali e quindi per sopravvivere. Era importante cercare di creare dei legami, lontano dalla propria famiglia, per sopportare le sofferenze e poter dipendere le une dalle altre dava loro molta forza. È chiaro dunque che chi era isolata soffriva di più. L’amicizia tra due o più donne era più forte di quella che poteva esistere tra gli uomini. Lo stesso Wiesel abbandonò il proprio padre. Gli uomini potevano essere accusati di omosessualità e per questo motivo non creavano legami tra loro. Le donne al contrario per questo tipo di rapporti ebbero una chance di sopravvivenza maggiore.

Chi non aveva legami era esclusa dalla vita del campo, come fu il caso di Helen Ernst, un’artista che a Ravensbrück venne accusata di essere arrogante nei confronti delle altre. Lei si isolò dagli altri vivendo nel proprio mondo senza dar peso a quanto potevano pensare gli altri di lei. Disegnare fu per lei una medicina, un modo per guarire dall’abisso in cui era sprofondata nel campo. Disegnare era un lottare ma nel suo caso la sua riservatezza fu presa per arroganza mentre nei suoi disegni lei mette in evidenza la mutua assistenza e teneri atteggiamenti che permettevano alle donne di confortarsi tra loro.

Tra le artiste deportate a Ravensbrück merita di essere ricordata Aat Breuer, i cui disegni sono arrivati fino a noi. Artista di grande talento catturò l’anima e le emozioni delle cose in quei tanti ritratti di bambini: unico ricordo rimasto alle madri che persero i figli. Chiederle di fare ritratti di defunti serviva ad onorare la persona per la quale non c’era funerale. Anche se nel campo di concentramento si moriva per le dure condizioni di vita nei suoi disegni l’artista ritrasse le persone avvolte nella pace e nella bellezza.

Nelle poesie gli uomini raccontavano le brutture del campo mentre le donne il loro desiderio della casa o della famiglia. Poesie e disegni erano doni gli uni per le altre, a volte, erano preferiti anche a un tozzo di pane. Lo scambio di doni era il pretesto per un sorriso, un modo per sentire la propria umanità. Ammirevole che trovassero la forza di farlo. Spesso infatti per una matita rinunciavano a quel poco cibo. Le donne nascondevano poesie e disegni nei loro stracci o nei muri delle baracche, ben sapendo che se gli trovassero indosso qualcosa significava morire. Le donne non solo scrissero testi di poesia propri ma fecero raccolte dei propri tesori culturali, di poesie, canzoni, favole, ricette. Quanto è arrivato fino a noi rivela anche il senso dell’umorismo in mezzo all’indescrivibile orrore. Un biglietto dato ad una donna che era stata vittima di esperimenti medici aveva l’immagine di un coniglio. Nel 1944 per Natale Aat Breur fece un biglietto in cui Babbo Natale schiacciava il campo portando morte: significativo del fatto che per le donne non c’era nessuna festa di Natale. Per quanto riguarda il campo di concentramento delle donne, scritti e disegni, furono fatti durante gli anni di internamento e dopo la guerra. Sono una finestra aperta su quel posto. Le donne rubavano materiali mentre lavoravano in fabbrica per scrivere o per disegnare o per cucire. Le poesie le imparavano a memoria e le recitavano durante il lungo appello. Era un modo per lottare, proprio perché proibito. In un ambiente in cui avevi solo quanto indossavi, io disegno, la poesia, il dono erano quell’IO che nel campo non potevano essere. Una piccola cosa importante per non farle sentire solo il numero tatuato. Una piccola cosa per tenere la donna legata alla vita. Una piccola cosa che rappresentava il coraggio, l’ingenuità, la voglia di vivere. Una piccola cosa che rappresentava il futuro da vivere fuori dal campo.

IMMAGINE DI APERTURA: Monumento alle vittime dell’Olocausto a Minsk – Foto di Lynn Greyling da Pixabay 

Dal Museum of History and Holocaust Education la mostra “Ricordare Ravensbrück”

Il Museum of History and Holocaust Education (negli Stati Uniti) rappresenta una divisione all’interno del Dipartimento di musei, archivi e libri rari della Kennesaw State University (MARB). Istituito nel 2010, il Dipartimento di musei, archivi e libri rari è sotto la guida esecutiva della dott.ssa Catherine Lewis, professore di storia alla Kennesaw State University. Il dipartimento è costituito dal Museo di storia e dell’educazione all’Olocausto, dalla Sala dei libri rari di Bentley, dagli archivi della KSU e dalla gestione dei registri.

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Su Experiences pubblichiamo i pannelli espositivi riguardanti il grande campo di concentramento femminile di Ravensbrück, a 90 chilometri da Berlino. (Leggi la scheda su Wikipedia)

La versione in lingua italiana dei pannelli della mostra è stata tradotta da Teresa Lazzaro.

CLICCA I PULSANTI ALLA BASE DEL PANNELLO E PRENDI VISIONE DELL’INTERA MOSTRA

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Teresa Lazzaro – Ravensbrück, breve viaggio nella memoria 1/2

Appunti di Teresa Lazzaro

Nell’inferno dei campi di concentramento, al momento dell’arrivo, le donne, costrette a spogliarsi completamente nude e a lasciare ogni cosa, dalla fede nuziale al fazzoletto, rasate e tatuate, perdendo la loro dignità e identità, cessavano anche di potere essere madri. Gravissimo era pertanto il trauma subito dalla disumanizzazione provocata dalle SS. Condizioni di vita terribili da schiave era ciò che le attendeva non appena un numero tatuato dolorosamente con inchiostro indelebile le trasformava in pezzi. Teniamo anche conto del fatto che si giungeva all’inferno dopo un viaggio di circa cinque giorni e che arrivando, a malapena coscienti, quando si spalancavano le porte dei vagoni in cui respirare era stato faticoso, le SS gridavano tenendo a guinzaglio i cani, mostrando la frusta e prendendo a calci le vittime, costrette a raggiungere il luogo dello sterminio e rimanere per ore in piedi senza potersi muovere e sopportare le terribili rigide temperature. La rasatura era un terribile e umiliante degrado. Poi c’erano quelle che venivano sfruttate sessualmente. Tutte quelle deportate nel campo di Ravensbrück raggiungevano il campo a piedi da Füstenberg.

Nella sua testimonianza, Jacqueline Péry d’Alincourt, ricorda di aver scoperto molto dopo, che il famigerato luogo fosse nella Germania settentrionale vicino al Baltico. La stessa rivive raccontandola, la terribile angoscia subentrata con la confisca di qualunque cosa, una foto, un libro, una semplice lettera. Per lei fu terribile, trovarsi completamente nuda, pigiata con le altre e tutte, evitando per la vergogna di guardarsi, obbligate ad imparare a memoria il numero assegnato, nel suo caso il 35243, confinate ad uno spazio ristretto in cui era impossibile avere un attimo di privacy. Lei, prigioniera politica, arrestata nel settembre del 1943 e rinchiusa a Fresnes, sei mesi dopo era stata portata a Romainville, un’installazione militare ad est di Parigi, dove non più sola, per qualche settimana era riuscita a sentirsi viva! Lei apparteneva al gruppo francese conosciute come les politiques, quelle prigioniere dal triangolo rosso. Dopo tre settimane di isolamento si riunì con l’amica Geneviève de Gaulle, con la quale avrebbe poi diviso per alcuni mesi lo stesso pagliericcio!

Le donne del campo di Ravensbrück, determinate a sopravvivere, riuscirono a sostenersi a vicenda e ad esprimere sofferenza e disagi in varie espressioni artistiche. In modo silenzioso riuscirono a lottare e le loro espressioni artistiche, dopo la guerra, costituirono prove che dimostrano di quali orrori erano state testimoni e vittime. Quella di Grażyna Chrostowska fu la prima voce femminile dell’Olocausto ad essere conosciuta anche se poi la risonanza l’avrebbe avuta quella di Anna Frank, accanto a quelle maschili di Elie Wiesel e Primo Levi. Oggi grazie a diari, libri e numerose testimonianze orali, aumenta il numero delle voci femminili conosciute. Poche quelle voci disponibili in lingua italiana, ma in crescente aumento quelle in altre lingue.

Metà delle vittime furono donne e la loro esperienza, per motivi biologici, fu diversa da quella degli uomini. Un fatto interessante emerge dal campo di Ravensbrück: le deportate riuscivano a scambiarsi regali e ricette. Spesso il loro spirito di adattamento costituì la loro forza, quella marcia in più, che le donne ebbero, rispetto ai maschi, per sopravvivere, pur essendo ridotte peggio di animali sporchi e senza cibo. L’orrore da loro affrontato era diverso, basti pensare al trauma della rasatura delle loro bellissime chiome e all’amenorrea che sopraggiungeva. Cercarono tutte di aiutarsi tra loro e la forza dell’amicizia permise loro di dare, in quel contesto doloroso, il meglio delle loro capacità mentali.

Ravensbrück fu un campo molto diverso dagli altri. Non fu concepito come campo di sterminio ma prigione per disadattate. Essendo situato nella Germania orientale si è potuto avere accesso in quel luogo soltanto negli anni Novanta, dopo la riunificazione del paese.

Nel 1935 i Nazisti implementarono un programma, meglio noto come Lebensborn. In una serie di case, donne singole o maritate, di “pura” razza potevano far nascere i loro figli che là potevano crescere ben accuditi. Nello stesso tempo l’aborto divenne illegale per le donne “pure” mentre aumentarono i controlli sulle nascite e le restrizioni per le altre donne costrette alla sterilizzazione. Non possiamo dimenticare a tal proposito la testimonianza di Ceja  Stojka, bambina dall’infanzia rubata, che prima di finire nei campi di concentramento era già prigioniera da libera e che a Ravensbrück venne sterilizzata insieme a tante altre deportate, contro la sua volontà.

Alla fine del 1938 i Nazisti decisero di costruire un campo di prigionia per sole donne a poca distanza da Berlino per internare il crescente numero di prigioniere politiche che il regime considerava sgradite. Dal vicino campo di Sachenhausen  arrivarono i prigionieri per costruire le diverse strutture femminili ai margini del lago vicino il villaggio di Füstenberg. Il campo di concentramento di Ravensbrück, aperto il 18 Maggio dell’anno successivo accolse quasi 900 donne tedesche ed austriache precedentemente internate nella fortezza di Lichtenberg. Fu utilizzato soprattutto per prigioniere politiche, asociali, criminali, Testimoni di Geova ed Ebree. Inizialmente costruito per la detenzione di 4000 persone, il campo nel 1945 aveva 50000 prigioniere, provenienti da 23 nazioni.

Diverse le trasformazioni del luogo che da prigione divenne campo di lavoro, rimanendo operativo fino al 30 Aprile 1945 quando la Croce Rossa si prese cura delle ultime tremila donne. Le donne trasferite in questo campo servivano come manodopera per la macchina da guerra nazista. Nel 1944 fu costruito un forno crematorio e nella primavera successiva venne fatta una camera a gas, in cui morirono 6000 donne. In precedenza, le donne venivano invece mandate a morire nei sottocampi o ad Auschwitz. Cambiando le caratteristiche del campo cambiò anche la tipologia delle deportate. Furono solo 15000 quelle tornate libere con le proprie gambe! Poi furono anche trasferiti nel corso degli anni degli uomini da Buchenwald per le riparazioni delle automobili e per lavori elettrici, uomini che erano alloggiati in una struttura isolata dalle donne.

In media le donne qui avevano meno di trenta anni e provenivano soprattutto da Polonia, Russia e Germania. Queste erano le percentuali: 78% prigioniere politiche, 12% Ebree, 7.1% asociali, 2.8% criminali. Le asociali comprendevano zingare, prostitute, alcolizzate e senzatetto. Nel triangolo che le deportate dovevano cucirsi indosso c’era anche l’iniziale del paese di provenienza. L’unico triangolo che a Ravensbrück non si vedeva era quello rosa, usato per gli omosessuali. Le SS consideravano l’omosessualità una malattia da curare, quindi le lesbiche che venivano arrestate rientravano nel gruppo delle asociali, sebbene negli elenchi accanto al nome c’era un’annotazione come si legge nella testimonianza di Nanda Hebermann, cattolica, che fu arrestata nella Cattedrale di Munster l’8 febbraio 1941 per l’aiuto che offriva alla Resistenza e che scrisse un memoriale sulla sua esperienza, lei che fu costretta a vivere proprio nel blocco delle prostitute. Donna pia e buona, si trovò malissimo in mezzo a loro il cui linguaggio era volgare e scurrile e che avrebbe voluto essere in un’altra baracca magari insieme alle combattenti della Resistenza. Per lo più francesi queste erano classificate come prigioniere Nacht und Nebel. Vivevano completamente isolate dal mondo e non potevano né ricevere né scrivere lettere. Scomparvero senza lasciare tracce e di loro non fu rilasciata alcuna notizia. Le ceneri delle donne uccise venivano gettate nel lago Schwetd. Oggi in loro ricordo chi visita il campo getta rose nelle acque del lago.

Molti disegni fatte dalle deportate del campo mettono in evidenza il sovraffollamento ed una prigioniera politica, Nina Jirsikova ne fa un quadro alquanto umoristico. Il disegno conosciuto come Block Assignment fa vedere le donne una sull’altra. Dalle figure si notano le diverse nazionalità e la mancanza di privacy. Accumunate solo dall’essere donne, tutte di etnia e religione diversa! E nel disegno si notano le babuskas, tipiche babucce russe.

IMMAGINE DI APERTURA: Monumento alle vittime dell’Olocausto a Minsk – Foto di Lynn Greyling da Pixabay 

27 Gennaio, Giorno della Memoria: Teresa Lazzaro. Le venti farfalle di Bullenhuser Damm

Rimane viva la memoria dei venti bambini di Bullenhuser Damm

Durante il corso della settimana in cui ricade il Giorno della Memoria, dedicato nel mondo alle vittime della Shoah, vorremmo ricordare anche Teresa Lazzaro che ha dedicato i suoi anni d’insegnamento alla sensibilizzazione delle giovani generazioni sulla «tempesta devastante» (questo il significato di Shoah) che ha colpito il popolo ebraico durante il Secondo conflitto mondiale. Per contribuire ad evitare che si possa dimenticare un simile orrore, per il 27 gennaio e per tutta la settimana successiva, il bel libro “Venti farfalle e una nuova primavera” di Teresa Lazzaro sarà interamente sfogliabile online e, chi vorrà, potrà conservarlo operando il download del file.

Experiences ha pubblicato “Venti farfalle e una nuova primavera” di Teresa Lazzaro, perché è un libro che cammina e scuote le coscienze. Nel giardino di rose bianche della scuola di Bullenhuser Damm (Amburgo) è scritto: “Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla”. Nel cantinato dell’istituto, il 20 aprile 1945, venti bambini ebrei provenienti da vari paesi d’Europa furono uccisi spietatamente. Sergio De Simone era italiano. Insieme agli altri fu ingannato ed usato come cavia in esperimenti contro la tubercolosi. All’arrivo delle truppe angloamericane, i bambini furono impiccati e i loro corpi trasportati col vagone postale a Neuengamme, per farne sparire ogni traccia nel forno crematorio.

Teresa, cattolica praticante, insegna(va) ai suoi piccoli allievi a guardare il mondo. Aderendo alle indicazioni della conferenza di Stoccolma del 2000 contribuisce «a promuovere l’istruzione, la memoria e la ricerca sull’Olocausto». L’idea di comporre il libro è sorta quando è stata invitata a Uppsala in Svezia, per testimoniare la propria esperienza d’insegnamento della Shoah. Ora il suo libro esiste e ad aprile del 2015 è stata curata la versione inglese presentata ad Amburgo, per la ricorrenza del 70° anniversario. Le colorate farfalle dei piccoli ometti di Teresa sono state esposte nel museo della memoria della scuola di Amburgo, come illustrato dalle foto che accompagnano il nostro servizio sulla giornata della memoria.

Teresa Lazzaro nella libreria Doralice di Messina firma le copie del suo libro
Le farfalle degli alunni dell’Istituto Comprensivo Manzoni-Dina e Clarenza di Messina in mostra ad Amburgo nella scuola di Bullenhuser Damm dove furono uccisi i venti bambini.

GIORNATA DELLA MEMORIA 

Il volume di Teresa Lazzaro comprende un suo saggio presentato alla Conferenza Memory Revisited che si è svolta ad Uppsala (Svezia) nel 2013 e poesie sulla tragica storia di bambini ebrei uccisi nella scuola di Bullenhuser Damm (Amburgo) il 20 Aprile 1945

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia

Questo libro avanza una diagnosi del populismo, ma soprattutto indica rimedi specifici, costituzionali, politici e mediatici. Invece di sconnettersi dalla rete, come molti sono ormai tentati di fare, bisogna agire come Ulisse con le sirene: restare strettamente legati all’albero della razionalità.

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Pixelkult da Pixabay

Fondazione Nuovo Mezzogiorno – Scuola di democrazia

Invito di Francesco Barbalace
V. Presidente della Fondazione Nuovo Mezzogiorno

L’Università di Messina – Dipartimento Di Scienze Politiche e Giuridiche e la Fondazione Nuovo Mezzogiorno promuovono la terza iniziativa della Scuola della Democrazia come previsto nel programma relativo all’Anno 2019 -2020.Tema dell’incontro : “LIBERTA’ DEGLI ANTICHI e LIBERTA’ DEI MODERNI- DEMOCRAZIA DIRETTA E DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA.”RELATORE: PROF GIUSEPPE GIORDANO ORDINARIO DI STORIA DELLA FILOSOFIA DELLA UNIVERSITA’ DI MESSINAINTRODUCONO I PROFF: MARIO CALOGERO E PATRIZIA TORRICELLIL’INCONTRO  SI TERRA’ A PARTIRE DALLE ORE  15.00 DEL 3 GENNAIO 2020 presso l’AULA “A. CAMPAGNA” DEL DIPARTIMENTO  DI SCIENZE POLITICHE E GIURIDICHE in VIA XX SETTEMBRE – MESSINA

Visita il sito web: https://www.scuoladellademocrazia.it/

IMMAGINE DI APERTURA: La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (Fonte Wikipedia)