All’indomani del sisma, a popolare Messina, non sono
rimaste che quattro-cinquemila persone riparate in ricoveri di fortuna
costruiti con materiali di recupero. Il resto della popolazione (poco più di
sessantamila senzatetto sui 111.815 abitanti che la città contava) si è
allontanato spontaneamente o è stato instradato dai comitati di soccorso
verso varie località della penisola. Nel corso del 1909 tuttavia la
popolazione tornerà gradualmente ad aumentare, per il rientro dei profughi
e per l’immigrazione conseguente alla edificazione della città baraccata.
Il programma di soccorso che il Governo ha stabilito
prevede di non protrarre i termini per il riassetto oltre il 30 giugno 1909.
In un primo tempo l’opera e le spese previste sembra debbano limitarsi alla
costruzione di baracche provvisorie fatte con copertoni di gomma o di
cartone-cuoio. Serviranno a riparare per i primi mesi sopravvissuti e
soccorritori dalle rigidezze invernali. Ma è con l’istituzione dell’Ufficio
Speciale del Genio Civile che, all’incalzare dei provvedimenti dettati
dall’emergenza, si sostituisce una visione documentata della realtà di
fatto. I ricoveri temporanei vanno sostituiti con soluzioni più stabili
soprattutto in previsione di un rientro dei profughi, necessario e
inevitabile; bisogna inoltre ricostituire le sedi degli uffici
amministrativi e dei servizi pubblici. Prevale l’opinione che tutto ciò
vada fatto in modo organico, cosicché la scala delle previsioni temporali si
allarga da qualche mese a qualche anno.
Ridare vita ad una città rasa al 95% non è un problema
risolvibile a tempi brevi, soprattutto se si vuole percorrere la strada
della ricostruzione stabile del patrimonio edilizio. Ciò significherebbe
demolizioni e sgombro delle macerie di cui il centro urbano è ricolmo e
risistemazione della rete viaria per il trasporto dei materiali pesanti: ma
le strade sono sconvolte, ingombre, fangose a causa della stagione piovosa.
Manca la manodopera edile, specializzata o meno, giacché manca la
popolazione stessa: persino il Genio Militare trova difficoltà a reclutare
cottimisti civili per costruire i propri alloggiamenti.
Certo erigere costruzioni in muratura risolverebbe al
contempo il duplice problema di fornire con urgenza una abitazione ai
superstiti nuclei familiari e di riedificare la città distrutta riattivando
così l’attività economica, commerciale e industriale. Ma il Governo ritiene
opportuno raggiungere il medesimo obiettivo optando per la costituzione di
una città provvisoria, formata da gruppi organici di baraccamenti da
trasformare gradualmente nella città stabile. La soluzione permette innanzi
tutto di sgravare l’Erario dello Stato da una spesa ben maggiore
condividibile all’atto della ricostruzione vera e propria con l’impegno
economico dei privati. Sin da ora però occorre aver chiaro l’iter
legislativo per risolvere i problemi relativi all’occupazione delle aree,
compito che sarà attribuito alla apposita commissione istituita con la L.
12/1/1909 n. 12. Al momento lo strumento cui attenersi è la vecchia legge
del 1865 n. 2359 sull’espropriazione dei suoli per pubblica utilità,
espropriazione temporanea che l’art. 71 limita a due anni e che in deroga a
questo l’art. 3 della legge n. 12 porterà a cinque, da protrarsi anno per
anno per il massimo di un altro quinquiennio. A conti fatti dieci anni di
respiro e di riflessione.
In quest’ottica la città più che provvisoria andrebbe
considerata semistabile; e questo sa |