
Prendete diecimila svizzeri ed educateli all’arte, magari in Francia. 9999 sarete tentati di abbandonarli in un bosco, l’altro è Le Corbusier. Sarà lui che vi spiegherà come progettare la città nel bosco.
Luigi Prestinenza Puglisi
Sessant’anni fa, il 27 agosto 1965, le onde del Mediterraneo accolsero per l’ultima volta Le Corbusier. Architetto, urbanista, pittore e teorico, la sua vita fu un continuo esperimento. Ancora oggi, il suo nome evoca l’idea di un’architettura moderna, radicale e visionaria.

Il mare lo sorprese durante una nuotata al largo di Roquebrune-Cap-Martin, sulla Costa Azzurra. Era il 27 agosto 1965. Così si spense Le Corbusier, pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, uno degli architetti più influenti e discussi del XX secolo. Sessant’anni dopo, la sua figura resta divisiva: genio per alcuni, dogmatico per altri, ma indiscutibilmente protagonista di una stagione che ha ridisegnato il modo di pensare e abitare le città.
Dalla Svizzera al mondo
Nato nel 1887 a La Chaux-de-Fonds, un piccolo centro svizzero noto per l’orologeria, Le Corbusier cresce in una famiglia di artigiani. Avrebbe potuto seguire la tradizione, invece preferì guardare oltre. I suoi insegnanti lo indirizzarono verso l’architettura, che allora era meno un mestiere e più un’avventura intellettuale. Giovanissimo, parte per l’Italia, visita Venezia, Ravenna e Firenze: un vero viaggio di formazione che lo mette in contatto con la storia dell’arte europea. Poi approda a Parigi, dove negli studi dei fratelli Perret scopre il cemento armato, materiale destinato a cambiare la sua visione.
Un’idea radicale: la casa come macchina
Nel 1923 pubblica Vers une Architecture, il libro-manifesto che scuote la cultura del tempo. Qui lancia la sua celebre definizione: «Una casa è una macchina per abitare». Per molti suona freddo e provocatorio, ma dietro quella formula c’è la convinzione che l’architettura debba rispondere prima di tutto ai bisogni reali delle persone, con razionalità e funzionalità. È la nascita di un linguaggio nuovo, destinato a diventare internazionale.
I cinque punti e una villa che sembra una nave
Le Corbusier traduce le sue idee in cinque principi, semplici e rivoluzionari: pilastri che sollevano gli edifici da terra, piante libere senza vincoli portanti, facciate indipendenti, finestre orizzontali a nastro, tetti-giardino. Il manifesto prende forma nella Villa Savoye a Poissy, alle porte di Parigi: un parallelepipedo bianco sospeso su esili colonne, con grandi vetrate che lasciano entrare la luce. Ancora oggi sembra una nave astrale atterrata in campagna.
Dal sogno urbano alle polemiche
Le sue ambizioni non si fermano alla casa. Sogna città ordinate, funzionali, razionali. Nel dopoguerra disegna Chandigarh, in India, un’intera capitale costruita dal nulla: viali diritti, edifici pubblici monumentali, piazze austere. Un laboratorio di modernità, che ancora oggi divide urbanisti e storici. In Francia sperimenta l’Unité d’Habitation di Marsiglia, un gigantesco condominio pensato come città verticale: dentro ci sono appartamenti, negozi, palestra, persino una scuola. Un modello innovativo, ma anche contestato da chi lo considera impersonale.
La spiritualità del cemento
Nonostante l’immagine di architetto “razionale”, Le Corbusier sorprende con opere di grande intensità emotiva. La cappella di Ronchamp, con le sue forme curve e le pareti spesse traforate da piccole finestre colorate, sembra scolpita dal vento. Qui il cemento, materiale della modernità, diventa poesia e spiritualità. È uno dei suoi capolavori più amati.
Una personalità complessa
Le Corbusier non fu solo architetto. Dipinse, scrisse, progettò mobili, disegnò città ideali. Fondò il CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne), il principale movimento del modernismo. Ma fu anche una figura controversa: accusato di rigidità ideologica, criticato per alcune posizioni politiche e per un’idea di città che talvolta sacrificava la dimensione umana alla geometria.
Un’eredità monumentale
Oggi diciassette sue opere, dalla Villa Savoye all’Unité d’Habitation, sono riconosciute patrimonio UNESCO. Il suo nome resta sinonimo di architettura moderna, e anche chi non lo conosce direttamente ha visto tracce della sua eredità in tanti edifici contemporanei. Se i suoi modelli urbani hanno suscitato dibattiti accesi, nessuno può negare che abbia lasciato un segno profondo e duraturo.
Conclusione
Sessant’anni dopo la sua morte, Le Corbusier continua a dividere e a ispirare. Visionario e radicale, ha immaginato un mondo in cui l’architettura fosse al servizio della vita moderna. Le sue opere restano lì, bianche, geometriche, luminose, a ricordarci che il Novecento ha avuto un suo architetto-filosofo capace di parlare al futuro.
Cinque opere per conoscere Le Corbusier
Villa Savoye (Poissy, 1928-1931)
Forse la sua creazione più celebre: un cubo bianco sospeso su sottili pilastri (pilotis), con grandi finestre “a nastro” orizzontali e un tetto trasformato in giardino. Un manifesto in cemento del Modernismo, che mostra come la casa possa essere anche un oggetto elegante e leggero.
Unité d’Habitation (Marsiglia, 1945-1952)
Un condominio alto diciassette piani, concepito come una città verticale, “una macchina per abitare”: appartamenti, negozi, servizi, persino una scuola sul tetto. È il prototipo dell’edilizia sociale del dopoguerra e un laboratorio di convivenza urbana che ancora oggi suscita dibattiti.
Cappella di Notre-Dame du Haut (Ronchamp, 1950-1955)
Un’opera sorprendente: muri spessi e curvi, tetto dalle linee irregolari, piccole finestre che proiettano fasci di luce colorata. Qui il rigore lascia spazio all’emozione: il cemento diventa spirituale e poetico, un rifugio per l’anima.
Chandigarh (India, anni ’50-’60)
Un’intera città progettata da zero, voluta da Nehru come simbolo dell’India indipendente. Le Corbusier disegna il piano urbanistico e gli edifici principali: viali diritti, piazze monumentali, un’idea di modernità ordinata e geometrica. Un sogno utopico che ancora oggi divide urbanisti e cittadini.
Carpenter Center for the Visual Arts (Cambridge, 1961-1965)
È l’unico edificio progettato da Le Corbusier negli Stati Uniti, all’interno dell’università di Harvard. Celebre la rampa che lo attraversa, quasi un percorso urbano dentro l’edificio. È il segno conclusivo della sua carriera, realizzato poco prima della morte.
A chiarimento delle problematiche relative al copyright delle immagini.
Le immagini eventualmente riprodotte in pagina sono coperte da copyright (diritto d’autore). Tali immagini non possono essere acquisite in alcun modo, come ad esempio download o screenshot. Qualunque indebito utilizzo è perseguibile ai sensi di Legge, per iniziativa di ogni avente diritto, e pertanto Experiences S.r.l. è sollevata da qualsiasi tipo di responsabilità.












