All’esame di Maturità 2025 la scuola incontra il Futurismo di Boccioni

All’esame di Maturità 2025, una delle sorprese più inaspettate è arrivata dalla seconda prova del liceo scientifico, dove un esercizio di matematica ha preso spunto da una celebre scultura futurista di Umberto Boccioni. Un’insolita e stimolante connessione tra arte e scienza che ha aperto una riflessione sul potenziale dell’interdisciplinarietà nella scuola contemporanea.

La moneta italiana da 20 centesimi di euro


Raffigura sul lato principale la celebre scultura futurista di Umberto Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio (1913), emblema del dinamismo e della modernità tipici del Futurismo. Attorno all’immagine si dispongono le dodici stelle dell’Unione Europea. Sul lato sinistro compare il monogramma “RI”, che identifica la Repubblica Italiana, mentre sulla destra si trovano il simbolo della Zecca di Roma (“R”) e l’anno di emissione (2002 nella versione raffigurata). In basso compaiono le iniziali dell’autrice del disegno, Maria Angela Cassol (“M.A.C.”).

La moneta è coniata in “oro nordico”, una lega metallica composta da rame, zinco, alluminio e stagno. Misura 22,25 millimetri di diametro, pesa 5,74 grammi e presenta un bordo liscio con sette rientranze, che le conferiscono una caratteristica forma a “fiore spagnolo”.

La scelta della scultura di Boccioni rende omaggio a uno dei capolavori del Futurismo italiano, in cui il movimento e la continuità nello spazio si fondono nella materia per rappresentare l’energia dell’uomo moderno.

Alla Maturità 2025, la seconda prova scritta del liceo scientifico ha riservato una sorpresa. Accanto a funzioni, limiti e derivate, è comparsa la sagoma inconfondibile di una delle opere più iconiche del Novecento: Forme uniche della continuità nello spazio di Umberto Boccioni. Non si è trattato di una citazione decorativa o di un esempio collaterale, ma del fulcro di un esercizio di studio di funzione, fondato sull’analisi matematica di un profilo estratto dalla celebre scultura. Un esercizio che, a prima vista, può sembrare un semplice omaggio interdisciplinare. Ma che, a ben guardare, spalanca una finestra sorprendente sulla possibilità di dialogo tra logica scientifica e visione artistica.

Questa inattesa incursione dell’arte nel cuore della matematica ha suscitato la riflessione di studiosi e critici, come Vincenzo Trione sul Corriere dela Sera, che ha colto in questa scelta un segnale di rottura rispetto alla tradizionale compartimentazione del sapere scolastico. Un esercizio come questo impone infatti di interrogare la complessità dei linguaggi e dei metodi, facendo emergere connessioni fino a ieri trascurate. In fondo, Forme uniche nasce proprio come tentativo di fissare nella materia solida il dinamismo dell’esperienza, la durata del gesto, la traiettoria del corpo. E come un’equazione, condensa in un’unica figura molteplici istanti, punti di vista e tensioni.

Realizzata nel 1913, la scultura di Boccioni è un manifesto tridimensionale del Futurismo. Alta, compatta, tagliente, rappresenta un corpo umano in corsa, lanciato nello spazio. La figura, priva di braccia, è composta da volumi fluidi e sovrapposti che si slanciano in più direzioni, generando un senso di potenza inarrestabile. L’opera, oggi esposta in varie versioni in musei di tutto il mondo – tra cui il Museo del Novecento di Milano e la Galleria Nazionale di Cosenza – è anche impressa sul retro della moneta italiana da 20 centesimi di euro, testimonianza della sua potenza simbolica e della sua riconoscibilità popolare.

Nella concezione di Boccioni, ogni forma è il risultato di una fusione dinamica tra corpo e spazio, tra tempo e materia. La figura umana non è più ritratta nella sua immobilità ideale, ma attraversata dalle forze del movimento e della velocità, resa porosa rispetto al fluire della realtà. Per ottenere questo effetto, l’artista rompe con le convenzioni della scultura classica e lavora sul gesso con un’intenzione rivoluzionaria. Le versioni in bronzo, oggi celebri, sono state fuse soltanto dopo la sua morte. Le forme, spezzate e ripiegate, si protendono all’esterno, superano l’anatomia, cercano nello spazio il prolungamento del gesto. Così, nella fissità del bronzo, l’opera sembra muoversi, vibrare, correre.

L’interesse per il dinamismo accompagna tutta la carriera di Boccioni. Nato a Reggio Calabria nel 1882, cresciuto tra Roma e Milano, il giovane artista si forma accanto a Giacomo Balla, assorbendo l’energia delle avanguardie e delle teorie del movimento. Il suo incontro con Filippo Tommaso Marinetti segna una svolta. Insieme, tra il 1910 e il 1911, firmano il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista, documenti fondamentali per comprendere lo spirito di rottura del movimento. Boccioni, però, non si limita alle parole: le sue tele – come Dinamismo di un ciclista o Dinamismo di un calciatore – traducono la simultaneità degli istanti, la moltiplicazione delle prospettive, l’energia urbana e meccanica del nuovo secolo.

Nel 1912, l’artista inizia a dedicarsi con ossessione alla scultura, che considera un’arte da riformare radicalmente. In una lettera scrive: «Sono ossessionato dalla scultura! Credo di aver visto una completa rinnovazione di quest’arte mummificata». Inizia così a sperimentare con il gesso, spezzando e deformando i volumi, cercando di dare forma a un realismo “fisico”, quasi trascendentale, che accolga in sé la complessità della durata e del divenire. Opere come Sviluppo di una bottiglia nello spazio o L’antigrazioso – un ritratto spigoloso della madre – sono tappe fondamentali di questo percorso. Ma è con Forme uniche della continuità nello spazio che la sua visione tocca l’apice.

La scelta del Ministero dell’Istruzione di partire proprio da quest’opera per costruire un esercizio matematico non è casuale. La scultura di Boccioni incarna infatti una geometria fluida, una relazione aperta tra i volumi, una struttura che può essere interrogata anche in termini di funzione e di superficie. Così, un dettaglio plastico – la curva di una gamba, l’espansione di un’appendice, il flusso di un rilievo – diventa occasione per uno studio analitico, in cui il linguaggio dell’arte incontra quello della matematica.

È una suggestione che riecheggia lo spirito stesso del Futurismo, teso alla sintesi e all’integrazione dei saperi. In questo senso, l’opera di Boccioni si offre non solo come oggetto estetico, ma come “cronotopo”, per usare un termine caro alla critica letteraria: uno spazio in cui tempo e forma si fondono, dando luogo a una rappresentazione simultanea di eventi. I suoi lavori, infatti, pur nella loro apparente compiutezza, sembrano sempre aperti, attraversati da correnti, da tensioni, da forze contrapposte.

Umberto Boccioni muore tragicamente nel 1916, a soli 34 anni, in seguito a una caduta da cavallo durante l’addestramento militare, dopo essersi arruolato come fervente interventista. La sua opera, tuttavia, resta come una delle testimonianze più alte dell’utopia futurista, del desiderio di fondere arte e vita, pensiero e azione, e oggi – persino tra i banchi della Maturità – continua a parlare ai giovani, a interrogare il presente, a suggerire che anche la matematica, se osservata con occhi nuovi, può contenere una scintilla di visione.


Sotheby’s racconta Napoleone Bonaparte attraverso la collezione Chalençon

Un’asta straordinaria accende i riflettori sulla figura di Napoleone Bonaparte: il 25 giugno, Sotheby’s Parigi presenta la collezione di Pierre-Jean Chalençon, una delle più vaste raccolte napoleoniche mai apparse sul mercato. Oltre cento oggetti raccontano l’Imperatore tra mito, potere e intimità, restituendo un ritratto sfaccettato attraverso arte, storia e memoria.

Pierre-Jean Chalençon, Napoléon: La collection

Pierre-Jean Chalençon è considerato uno dei massimi esperti e collezionisti al mondo nel campo delle arti legate a Napoleone Bonaparte. Ha curato importanti mostre internazionali ed è stato ospite d’onore alla Biennale di Parigi del 2018, tenutasi al Grand Palais. Figura nota anche al grande pubblico, partecipa regolarmente a trasmissioni radiofoniche e televisive, tra cui il programma Affaire conclue su France 2. Dirige il Souvenir napoléonien, il Cercle France Napoléon e sovrintende alla gestione del Palais Vivienne, storica dimora parigina. Autore prolifico, ha firmato articoli e volumi di riferimento sull’arte dell’epoca imperiale, tra cui Napoleone, l’Imperatore Immortale (2002) e L’Incoronazione di Napoleone (2004).

Il prossimo 25 giugno, Sotheby’s Parigi aprirà le porte della sua storica sede di rue du Faubourg-Saint-Honoré a un evento che unisce storia, arte e collezionismo in una delle vendite più imponenti mai dedicate alla figura di Napoleone Bonaparte. Protagonista assoluta, la collezione privata di Pierre-Jean Chalençon: oltre cento oggetti tra arredi, cimeli, dipinti, documenti e reliquie personali che restituiscono la parabola straordinaria di un uomo diventato mito, dall’ascesa imperiale alla malinconia dell’esilio.

Frutto di oltre quarant’anni di ricerca appassionata e meticoloso studio, la collezione Chalençon è considerata una delle più vaste e autorevoli raccolte napoleoniche mai apparse sul mercato. Prima dell’asta parigina, due esposizioni internazionali ne hanno anticipato il prestigio: una a Hong Kong (23–27 maggio), l’altra a New York (5–11 giugno), tappe simboliche di un itinerario globale che conferma la rilevanza culturale del progetto. Ogni pezzo in asta è testimone della grandezza storica e della dimensione più intima dell’Imperatore: l’uomo stratega, il condottiero carismatico, ma anche il marito, il padre, il prigioniero.

A guidare la narrazione, oggetti di straordinario valore simbolico. In apertura, il leggendario bicorno indossato “en bataille”, uno degli emblemi più riconoscibili di Napoleone. Donato al generale Mouton dopo la battaglia di Essling, oggi è stimato tra i 500 e gli 800 mila euro. Seguono la spada cerimoniale usata per l’incoronazione a Notre-Dame (realizzata dall’armaiolo Boutet di Versailles), e il sigillo personale in oro ed ebano, sottratto a Waterloo e successivamente donato al maresciallo prussiano Blücher — entrambi icone di un potere costruito anche attraverso la cura dell’immagine e della rappresentazione.

Ma è forse nel dettaglio degli oggetti più minuti e privati che si coglie il senso profondo della raccolta: il codicillo autografo redatto a Sant’Elena, in cui Napoleone dispone gli ultimi beni a favore dei fedelissimi; la manica macchiata di salsa di un abito consolare, custodita per un secolo dal sarto Chevallier; o ancora il letto da campo pieghevole, compagno di viaggi e battaglie, progettato per accompagnarlo ovunque. Ogni oggetto è una scheggia di romanzo, un frammento autentico che collega l’epopea storica alla fragilità quotidiana.

Il percorso dell’asta tocca anche l’arte visiva e la pittura ufficiale, documentando l’impatto del linguaggio napoleonico sull’immaginario figurativo dell’epoca. Tra le opere in catalogo, lo studio per il ritratto d’incoronazione attribuito a François Gérard (stimato intorno ai 300 mila euro) e la struggente tela di Paul Delaroche, Napoleone a Fontainebleau (1848), in cui l’Imperatore è raffigurato nell’istante in cui prende atto della sconfitta, seduto e silenzioso in una stanza vuota: icona perfetta della transizione dal potere alla memoria.

Anche gli arredi parlano la lingua del potere e dell’intimità. Dal trono da parata proveniente dal palazzo di Stupinigi, espressione del gusto torinese sotto l’Impero, alla toeletta personale di Giuseppina, proveniente dal castello di Saint-Cloud, ogni oggetto è specchio di un’epoca che ha saputo coniugare la monumentalità della forma con l’eleganza della vita quotidiana. Non manca nemmeno un’intera sezione dedicata al giovane Re di Roma, figlio tanto atteso da Napoleone e Maria Luisa d’Austria: piccoli abiti, oggetti d’infanzia, testimonianze familiari che completano la narrazione con un registro più affettuoso e privato.

Il valore della collezione, però, non si misura soltanto nel pregio materiale o nell’unicità dei pezzi. Come sottolinea Marine de Cenival, responsabile della vendita per Sotheby’s, essa offre “una visione completa e complessa dell’eredità napoleonica, mescolando emblemi del potere e memorie personali”. Un punto di vista condiviso anche da Louis-Xavier Joseph, responsabile del dipartimento mobili europei, che evidenzia come questa raccolta rappresenti una sintesi insuperata di studio, passione e competenza istintiva, capace di raccontare tanto il mito pubblico quanto la vita privata dell’Imperatore.

Pierre-Jean Chalençon, “l’imperatore dei collezionisti”, è una figura nota agli appassionati di storia e al grande pubblico. Esperto di fama internazionale, volto televisivo e animatore culturale, ha costruito negli anni un vero e proprio cabinet de curiosités all’interno del Palais Vivienne di Parigi, tempio laico della memoria napoleonica. Direttore del Souvenir Napoléonien e del Cercle France Napoléon, ha anche pubblicato opere di riferimento come Napoleone, l’Imperatore Immortale (2002) e L’Incoronazione di Napoleone (2004), contribuendo alla diffusione e alla valorizzazione del patrimonio artistico dell’epoca imperiale.

Con questa asta, Sotheby’s non si limita a vendere oggetti: mette in scena un’intera visione del mondo, un universo culturale che ha saputo imporsi nella storia attraverso simboli forti e gesti teatrali. La collezione Chalençon non è un archivio di reliquie, ma un racconto continuo, un’opera aperta che rinnova la fascinazione per una delle figure più complesse e ambigue della modernità. E lo fa con la precisione del catalogo, la suggestione del museo e l’emozione di una biografia che continua a interrogarci.


Léon Krier: l’architetto che ha sfidato i dogmi del modernismo

Figura centrale del dibattito urbanistico contemporaneo, Léon Krier ha sfidato per oltre mezzo secolo i dogmi del modernismo architettonico, proponendo una visione alternativa fondata sulla città tradizionale, policentrica e a misura d’uomo. Teorico militante, progettista selettivo e influente docente, ha lasciato un’impronta profonda nella riflessione sul futuro dell’abitare.

Gli scarabocchi polemici di Léon Krier, il padrino intellettuale del New Urbanism

Il Nuovo Urbanesimo è un movimento nato negli Stati Uniti negli anni ’80 che promuove uno sviluppo urbano sostenibile e a misura d’uomo. Al centro della sua visione ci sono quartieri pedonali, ben serviti da infrastrutture pubbliche, che combinano abitazioni, luoghi di lavoro e servizi. L’obiettivo è contrastare l’espansione urbana incontrollata e i modelli suburbani del dopoguerra, incoraggiando stili di vita più ecologici e comunitari.

Ispirandosi all’urbanistica pre-automobile, il movimento sostiene lo sviluppo tradizionale dei quartieri e la pianificazione orientata al trasporto pubblico. Promuove inoltre un’architettura contestuale, la tutela del patrimonio storico, la sicurezza stradale, l’edilizia sostenibile e la riqualificazione delle aree degradate. Dal punto di vista stilistico, gli interventi si rifanno spesso all’architettura neoclassica, postmoderna o vernacolare, pur non essendo vincolati a un unico linguaggio formale.

Nel panorama dell’architettura del Novecento e oltre, Léon Krier si distingue come una figura isolata e controcorrente. Nato in Lussemburgo nel 1946 e scomparso nel giugno 2025, Krier è stato molto più di un architetto: è stato teorico, urbanista e una delle voci più autorevoli contro l’egemonia del modernismo, di cui ha contestato tanto i presupposti ideologici quanto gli effetti concreti sullo spazio urbano. Ha difeso, invece, la forma urbana tradizionale, la città a misura d’uomo, policentrica, fondata su un equilibrio organico tra funzioni e architettura.

La sua carriera, iniziata con una rottura: dopo un solo anno, abbandonò gli studi all’Università di Stoccarda per lavorare a Londra nello studio di James Stirling, da cui si allontanerà per collaborare con Josef Paul Kleihues a Berlino, salvo poi tornare nel Regno Unito. È qui che Krier resterà per due decenni, dividendosi tra la pratica progettuale e l’insegnamento presso l’Architectural Association e il Royal College of Art. Nel frattempo, prende forma la sua vocazione teorica e militante, come dimostra la celebre frase: “Sono un architetto perché non costruisco”. Un paradosso che sintetizza bene il suo atteggiamento: l’architettura, per lui, è innanzitutto un pensiero critico, un impegno intellettuale e civile.

A partire dalla fine degli anni Settanta, Krier diventa una delle figure centrali nel dibattito sul destino delle città europee. La sua critica al modernismo si concentra in particolare sulla zonizzazione funzionale, che ha prodotto sobborghi alienanti e reti urbane frammentate, e sulla crescente tendenza al gigantismo urbano. Per contrastare questi esiti, Krier elabora una visione alternativa fondata sulla città tradizionale, densa, compatta, policentrica, capace di crescere per moltiplicazione e non per estensione.

Le sue teorie non restano sulla carta. Krier lavora a numerosi masterplan, il più noto dei quali è quello per Poundbury, sobborgo di Dorchester nel Dorset, progettato per conto del Ducato di Cornovaglia e supervisionato per oltre due decenni in collaborazione con Carlo III. Un esperimento urbano emblematico, che rappresenta l’applicazione concreta delle sue idee: un tessuto urbano misto, a scala ridotta, privo di gerarchie funzionali rigide, con edifici di altezze contenute e attenzione all’identità locale.

Un altro progetto emblematico è Paseo Cayalá in Guatemala, estensione urbana concepita secondo i principi del Nuovo Urbanesimo, movimento di cui Krier è stato ispiratore e figura di riferimento, sia in Europa sia negli Stati Uniti. La sua influenza si estende anche alla cultura accademica: per quarant’anni è stato visiting professor in importanti università americane — Princeton, Yale, Virginia, Cornell, Notre Dame — e ha diretto dal 1987 al 1990 il SOMAI (Skidmore, Owings & Merrill Architectural Institute) di Chicago.

Al di là del ruolo di consulente urbanistico, Krier ha scelto di progettare soltanto edifici a cui attribuiva un valore personale. Tra questi figurano il Museo archeologico di São Miguel de Odrinhas in Portogallo, la casa Krier nel villaggio di Seaside in Florida, il Windsor Village Hall sempre in Florida, il Jorge M. Pérez Architecture Center dell’Università di Miami, e il centro di quartiere Città Nuova ad Alessandria.

Tuttavia, l’inizio della sua carriera fu segnato da un linguaggio modernista, come dimostra il progetto per l’Università di Bielefeld del 1968. Il passaggio a una visione classica e vernacolare si consolida nel 1978, con la proposta (mai realizzata) di ricostruzione del centro di Lussemburgo, sua città natale, devastata da interventi modernisti. Da quell’idea nasce anche la progettazione della nuova Cité Judiciaire, completata tra il 1990 e il 2008 dal fratello Rob, architetto anch’egli.

Il suo attivismo lo porta a sostenere la ricostruzione della Frauenkirche e dell’area Historische Neumarkt a Dresda nel 1990, sfidando apertamente l’ortodossia architettonica dominante. Allo stesso modo, nel 2007 sostiene l’iniziativa per ricostruire lo storico quartiere di Hühnermarkt a Francoforte, anche in quel caso contro forti opposizioni tecniche e politiche.

Numerosi i masterplan da lui elaborati, spesso non realizzati, ma di grande influenza: da Kingston upon Hull e Roma (1977) a Berlino Ovest, Stoccolma, Poing Nord (Monaco di Baviera), Washington DC (1984, su commissione del MoMA), Tenerife (1987), Novoli a Firenze (1993), Corbeanca in Romania (2007), High Malton nello Yorkshire (2014), Tor Bella Monaca a Roma (2010), Cattolica (2017). In Belgio, il quartiere Heulebrug fu realizzato seguendo il suo masterplan, mentre a Newquay (2002-2006), il progetto fu poi sviluppato da Adam Associates.

Alla base della sua teoria urbana vi è una concezione quasi morale della forma della città. Krier condivideva il pensiero di Heinrich Tessenow: una città funziona davvero solo se la sua popolazione è limitata. Questa non è una convinzione astratta, bensì una constatazione storica. Le misure, la densità, l’organizzazione spaziale delle città tradizionali non sono il frutto di un ordine economico, ma il riflesso di un ordine etico e legislativo che garantisce la sopravvivenza anche in tempi di crisi. “L’intera Parigi è una città preindustriale che funziona ancora”, diceva Krier, “perché è adattabile. Milton Keynes, invece, non sopravvivrà mai a una crisi, perché è un sistema matematicamente chiuso”.

Da qui deriva la sua proposta di città a scala umana: quartieri autosufficienti, misti per funzioni e dimensioni, di massimo 33 ettari (percorribili a piedi in dieci minuti), con edifici di altezze comprese tra i tre e i cinque piani. Un tessuto urbano costruito a misura dell’uomo, delimitato non da confini astratti ma da parchi, viali, percorsi pedonali e ciclabili, in cui la forma stessa della città sia espressione visibile di una civiltà.

Negli scritti, raccolti in saggi e libri come The Architecture of Community e Drawing for Architecture, Krier ha sviluppato un linguaggio chiaro, spesso corredato da disegni esplicativi. L’urbanistica modernista, con la sua rigida divisione in zone monofunzionali (residenziale, commerciale, industriale, ecc.) è vista come espressione di una visione ideologica e autoritaria. Contro questa visione, Krier propone il modello della res publica + res privata, dove gli edifici pubblici sono monumentali e classici, collocati nei punti focali della città; gli edifici privati, invece, sono progettati secondo logiche vernacolari e tipologiche.

Il cuore della sua proposta è la tipologia. Le architetture, per Krier, devono essere riconoscibili: casa, palazzo, chiesa, torre, finestra, tetto. Questo linguaggio “senza equivoci”, come lo definiva, è ciò che permette alla città di mantenere un ordine e un senso. E quando i programmi diventano complessi, come nel progetto per la scuola di Saint-Quentin-en-Yvelines (1978), la risposta non è la megalitica espansione, ma la suddivisione: la scuola si trasforma in una piccola città.

A questa impostazione corrisponde anche un’idea precisa di varietà: non un’eterogeneità gratuita, ma una differenziazione organica, coerente con le funzioni e le tecniche. In ogni isolato devono convivere lotti di diversa dimensione, destinazione e forma, generando spazi pubblici articolati — strade, piazze, viali, parchi — pensati come parte integrante dell’architettura stessa.

Paradossalmente, è stato detto che l’architettura di Krier “non ha stile”. Eppure, le sue opere evocano chiaramente un’ispirazione romana, che si ripresenta con coerenza nei contesti più diversi: Londra, Stoccolma, Tenerife, Florida. Ha persino difeso — non senza polemiche — l’opera dell’architetto Albert Speer, distinguendola dal regime per cui lavorava. Una posizione estrema, ma coerente con il suo intento: restituire all’architettura e alla città un linguaggio leggibile, uno spazio civile, una misura umana.


Torna l’Art Nouveau Week: la settimana del Liberty in Europa

Dal 8 al 14 luglio 2025 si rinnova l’appuntamento con l’Art Nouveau Week, la manifestazione europea dedicata allo stile Liberty e alle arti di inizio Novecento. Giunta alla sua settima edizione, è promossa da Italia Liberty e curata da Andrea Speziali con un comitato scientifico e d’onore.

Il tema 2025 è la Farfalla, emblema della trasformazione. L’immagine coordinata presenta un’illustrazione tratta da Ver Sacrum con un riferimento al ventaglio pubblicitario “Putnam Fadeless Dyes-Tints”.

Torna l’Art Nouveau Week:
La settimana del Liberty in Europa
 
Da martedì 8 a lunedì 14 luglio 2025 torna la settimana internazionale del Liberty, tra visite guidate, grandi tour, mostre e convegni

In programma conferenze online su architettura, arti decorative, moda, illustrazione, cucina e letteratura, con 14 incontri a cura dell’esperto in materia e docente Andrea Speziali, due al giorno per tutta la settimana.

Tra gli eventi speciali, i tour tematici: “Eterno Liberty” (Italia in jet e Frecciarossa con rievocazioni storiche); “Puglia Modernista” (9-11 luglio tra Bari e Lecce); “Valencia Modernista” (11-14 luglio); “Freccia Liberty” (in treno tra dieci stazioni liberty italiane).

Sicilia protagonista con visite a Catania, Palermo e Mondello, il ciclo di conferenze “Il Modernismo in Sicilia dal Liberty all’Art Déco“, la mostra “La Belle Époque a Palermo tra arte moda e storia” a villa Pottino e aperture esclusive a Villa Ardizzone e alla Casa Museo Liberty di Chiaramonte Gulfi.

Oltre 100 visite guidate giornaliere in 70 città italiane, progettate da Andrea Speziali insieme alle guide turistiche abilitate, con accessi straordinari a ville e palazzi di norma chiusi al pubblico.

Grande spazio anche all’arte funeraria liberty con itinerari nei principali cimiteri monumentali italiani: da Milano a Genova, da Roma a Firenze, con capolavori di Bistolfi, Wildt, Orengo e Manzù.

Una settimana per esplorare un mondo elegante, fiabesco e sorprendentemente attuale.

UN’ITALIA LIBERTY DA SCOPRIRE: OLTRE 100 ITINERARI DA NORD A SUD

La settima edizione della Art Nouveau Week propone un viaggio unico tra i tesori del Liberty italiano, con un ricco calendario di oltre 100 visite guidate, passeggiate tematiche, aperture straordinarie e racconti di famiglia che svelano l’anima modernista del nostro Paese, dal 6 al 14 luglio 2025.

La Basilicata sorprende con Melfi, dove i proprietari di Palazzo Pastore – raro esempio di Liberty lucano – accolgono i visitatori in un percorso affascinante che include anche la Farmacia Carlucci e ville storiche della città.

In Abruzzo, da Pescara a Sulmona, da L’Aquila a Giulianova, si riscoprono dettagli in ferro battuto, cementi decorati e architetture floreali.

In Calabria, Reggio apre le porte dei suoi palazzi tra Déco ed eclettismo, con tour urbani dedicati alle residenze progettate da Gino Zani.

Napoli e i suoi quartieri collinari (Vomero, Chiaia, Petraio) si rivelano con itinerari tra scale monumentali, panorami e ville d’epoca.

In Emilia-Romagna, da Bologna a Riccione, ogni città propone passeggiate nella Belle Époque, come a Faenza, Ferrara e Gambettola, fino agli itinerari curati da collezionisti privati come Roberto Parenti a Sogliano al Rubicone.

In Friuli Venezia Giulia, l’eleganza nascosta di Trieste viene raccontata in una passeggiata tra case Liberty celate tra edifici ottocenteschi.

Roma apre luoghi solitamente inaccessibili come il Villino Ximenes, il Museo Boncompagni Ludovisi e la Casina delle Civette a Villa Torlonia, mentre passeggiate serali tra i quartieri Prati, Ludovisi e Coppedè restituiscono il volto fiabesco della capitale d’inizio Novecento.

La Liguria propone visite nei luoghi-simbolo del Liberty costiero: da Genova a Imperia, da La Spezia a Savona e Chiavari, si ammirano ville, vetrate artistiche e musei come Villa Rosa e il MACI di Villa Faravelli.

La Lombardia è la “capitale italiana del Liberty”, con eventi in 10 città: dai capolavori di Giuseppe Sommaruga a Milano e Varese, alle ville di Monza, Brescia e Lodi, fino al villaggio operaio di Crespi d’Adda. A Cernobbio, si inaugura con un DJ set ispirato al volo delle farfalle presso Villa Bernasconi.

Le Marche partecipano con un tour a Pesaro tra villini e ceramiche Molaroni.

In Molise, Campobasso racconta la sua trasformazione novecentesca con esempi della bottega Tucci e dell’architetto Guerriero.

Il Piemonte, secondo solo alla Lombardia per diffusione dello stile, presenta un grande evento a Stresa tra mostre, spettacoli e visite gratuite. Torino svela quartieri iconici come Cit Turin, Crocetta e San Donato.

In Puglia, Bari presenta itinerari tra Art Nouveau e Déco con tappe esclusive, tra cui affreschi attribuiti a Duilio Cambellotti.

In Sardegna, Cagliari, Arborea e Sassari celebrano la figura femminile nel Liberty e l’architettura del primo Novecento.

La Sicilia si distingue per ricchezza e varietà: da Catania con Villa Ardizzone e via XX Settembre, al percorso mattutino a Mondello con colazione in stile Liberty, fino a Palermo con le architetture di Basile e la Casa Museo di Chiaramonte Gulfi.

La Toscana propone itinerari a Lucca, Firenze, Livorno e soprattutto Viareggio, che omaggia Galileo Chini e Belluomini con tour pomeridiani e serali sul lungomare.

In Umbria, Foligno e Perugia rendono omaggio alla borghesia che plasmò il Liberty locale.

Il Veneto partecipa con Vicenza, Verona, Thiene e Venezia Lido, tra ville, fregi e giardini segreti.

All’estero, itinerari speciali conducono il pubblico fuori dai percorsi consueti.

Barcellona, visite guidate alla Manzana de la Discordia, Casa Vicens e Palau Güell rivelano il Modernismo catalano. In Svizzera, ad Ascona si svolgono workshop gratuiti di arte orafa, mentre Palma di Maiorca e Valencia aprono le porte ai gioielli del Modernismo spagnolo.

Il nuovo catalogo ufficiale della Art Nouveau Week 2025 include scoperte inedite, restauri recenti e un censimento mondiale di oltre 15.000 edifici Art Nouveau aggiornato, frutto di anni di lavoro condotto dal curatore Andrea Speziali e dalla rete internazionale di studiosi e appassionati.

Il Festival Art Nouveau Week è promosso da Italia Liberty, associazione di promozione sociale, in collaborazione con un ampio network di associazioni e istituzioni. Tra questi, ConfGuide di Confcommercio, AGI e GTI – Guide Turistiche Italiane, che garantiscono visite guidate condotte da professionisti abilitati, capaci di valorizzare con competenza il patrimonio storico-artistico e paesaggistico italiano.

L’evento si avvale anche di partner internazionali, come il magazine Coup de Fouet e Art Nouveau European Route, realtà di riferimento nella promozione dell’Art Nouveau e dell’Art Déco in Europa.

Organizzatori
Il Festival Art Nouveau Week è promosso da Italia Liberty, associazione di promozione sociale, in collaborazione con un ampio network di associazioni e istituzioni. Tra questi, ConfGuide di Confcommercio, AGI e GTI – Guide Turistiche Italiane, che garantiscono visite guidate condotte da professionisti abilitati, capaci di valorizzare con competenza il patrimonio storico-artistico e paesaggistico italiano.
L’evento si avvale anche di partner internazionali, come il magazine Coup de Fouet e Art Nouveau European Route, realtà di riferimento nella promozione dell’Art Nouveau e dell’Art Déco in Europa.
 
Biglietti
Le prenotazioni per le attività del Festival Art Nouveau Week si effettuano tramite i contatti indicati nel programma o sul sito www.italialiberty.it.
Dall’inizio di giugno sono disponibili:
Visite di gruppo prenotabili online.
Pacchetti per visitatori individuali con orari prestabiliti (da fine giugno).
Visite “su misura” con scelta di edificio, giorno e orario.
Le visite sono in italiano, con possibilità di altre lingue su richiesta.
Prenotare in anticipo consente un’esperienza più fluida e senza attese.


Da Studio ESSECI <segreteria@studioesseci.net>

Massa, Museo Gigi Guadagnucci: in mostra un disegno inedito di Gio’ Pomodoro

Un’estate a Massa
con la mostra
 
“GIGI GUADAGNUCCI GIO’ POMODORO
CONVERSAZIONE SULLA NATURA”
 
Un disegno inedito di Gio’ Pomodoro e una dichiarazione inedita di Gigi
Guadagnucci

Opening: sabato 21 giugno 2025 ore 18.00
Preview: ore 16.00
21 giugno – 21 agosto 2025
Museo Gigi Guadagnucci, Villa Rinchiostra
Via dell’Acqua, 175 – Massa

Massa si prepara a vivere un’estate all’insegna dell’arte. Dal 21 giugno al 21 agosto, il Museo Gigi Guadagnucci a Villa Rinchiostra ospita la grande mostra “Gigi Guadagnucci Gio’ Pomodoro | Conversazione sulla natura”, un’iniziativa di grande prestigio che mette in dialogo i due scultori di fama internazionale, approfondendo il loro rapporto con la natura ed in particolare con il Sole. Questo tema, centrale nelle loro ricerche ed esecuzioni, viene messo in risalto non solo attraverso le loro straordinarie opere ma anche – simbolicamente – dalla scelta della data di apertura al pubblico, che non a caso cade il giorno del solstizio d’estate. A partire da sabato 21 giugno, sia all’interno che nel maestoso giardino con geometria settecentesca all’esterno della Villa, i visitatori avranno l’opportunità unica di ammirare ben 18 capolavori dei due artisti, di cui 13 sculture e 5 disegni, provenienti da Fondazioni e collezioni pubbliche e private. Elemento di elevato prestigio che impreziosirà questa già di per sé straordinaria mostra sarà la presentazione, per la prima volta in esclusiva, del disegno inedito di Gio’ Pomodoro “Senza titolo (Tensioni)“, realizzato nel 1963 con inchiostro di china su carta e prestato per l’occasione da un collezionista privato. Altro valore aggiunto che donerà originalità al progetto sarà l’esposizione di una dichiarazione inedita di Gigi Guadagnucci scritta di pugno, concessa e condivisa dalla moglie Ines Berti:”Scolpire vuol dire, per me, aver acquisito tanta familiarità con le forme della natura, attraverso il disegno… ma lo scultore non deve imitare la natura, deve procedere, nella creazione, come la natura.” – Gigi Guadagnucci (Massa, 18 aprile 1915 – Massa, 14 settembre 2013) La frase affiancherà uno scatto realizzato dal celebre fotografo Romano Cagnoni che ritrae Guadagnucci davanti ad un suo fiore di marmo, al fine di approfondire il rapporto che l’artista aveva con la scultura e di metterlo in relazione con quello di Gio’ Pomodoro.

Infatti, l’esposizione nasce con l’obiettivo di mettere in relazione i due Maestri, offrendo un’occasione unica di riflessione sul tema della natura attraverso le loro opere. Durante la conferenza stampa, il curatore Mirco Taddeucci ha raccontato le similitudini e le differenze tra i due scultori, dichiarando: “Guadagnucci e Pomodoro condividono non solo la ricerca sul rapporto con l’elemento naturale ma possiedono anche una profonda padronanza tecnica e un’enorme curiosità, elementi che hanno permesso loro di sperimentare materiali particolari, come ad esempio la pietra di Trani, il marmo statuario delle Apuane e il bronzo, fino a realizzare anche opere su carta. Gli esiti formali delle opere dei due artisti sono simili per certi versi, ma seguono percorsi differenti: all’approccio più emozionale di Gigi Guadagnucci si contrappone quello più razionale e fedele allo studio di Gio’ Pomodoro.

La natura che celebrano e indagano i due artisti è intesa sia come quella natura facente parte del luogo in cui hanno operato per un lungo periodo della loro attività – ai piedi delle Apuane – ma anche natura concepita come pretesto per parlare di movimentostrutture architettonichespazio e rapporti tra pieno e vuoto, che sono, come cita Gio’ Pomodoro, “l’ossessione di ogni vero scultore“.

Ulteriore elemento prestigioso del progetto espositivo che creerà un “ponte” con la Villa sarà l’installazione dell’opera monumentale in bronzo Sole Deposto di Gio’ Pomodoro nel centro storico poco distante dall’obelisco meridiana di Piazza Aranci in via Dante a Massa. La mostra, ideata dall’Amministrazione Comunale di Massa ed in particolare dall’Assessorato alla Cultura è curata da Mirco Taddeucci, in collaborazione con Bruto Pomodoro, figlio dell’artista e vicepresidente dell’Archivio Gio’ Pomodoro – diretto da Rossella Farinotti – e presenta i testi critici di Paolo Bolpagni, storico dell’arte e direttore della Fondazione Ragghianti.


INFORMAZIONI UTILI
TITOLO: Gigi Guadagnucci Gio’ Pomodoro | Conversazione sulla natura
CURATELA: Mirco Taddeucci con l’ausilio di Bruto Pomodoro
DOVE: Massa – Museo Gigi Guadagnucci, Villa Rinchiostra – Via dell’Acqua, 175
QUANDO: dal 21 giugno al 21 agosto 2025
ORARI: martedì e mercoledì 9:00 – 13:00 giovedì, venerdì, sabato, domenica 17:00 – 21:00
+ aperture serali fino alle 24.00 in occasione degli eventi
INGRESSO: gratuito
ORGANIZZAZIONE: NAVIGO TOSCANA
 
OPENING AL PUBBLICO: sabato 21 giugno ore 18:00
PREVIEW PER I GIORNALISTI: sabato 21 giugno ore 16.00
 
La giornata dell’inaugurazione sarà arricchita dallo spettacolo BIANCHISENTIERI, il primo appuntamento della rassegna Palcoscenici Stellati, in programma alle ore 18.00 nel giardino della Villa.
Ideazione Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari
Coreografia Patrizia de Bari
Composizioni originali Sabino de Bari
Produzione Giardino Chiuso
In collaborazione con Fondazione Toscana Spettacolo onlus
 
Il programma completo degli eventi collaterali è consultabile CLICCANDO QUI.
 
CONTATTI MUSEO GIGI GUADAGNUCCI
TEL: +39 0585 490204
EMAIL MUSEO: museoguadagnucci@comune.massa.ms.it
EMAIL SEGRETERIA MOSTRA: guadagnuccipomodoro@gmail.com 
SITO WEB: https://www.museoguadagnucci.it/
FACEBOOK: https://www.facebook.com/museoguadagnucci
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/museo_gigi_guadagnucci/

UFFICIO STAMPA DELLA MOSTRA
CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

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“Mirò incontra Maria Lai” – Un’occasione per lasciarsi coinvolgere anche durante l’estate

A soli due mesi dalla sua apertura lo scorso 12 aprile, la mostra Miró incontra Maria Lai – Il fascino della sorpresa, ospitata negli spazi del Museo CAMUC e della Stazione dell’Arte di Ulassai, ha già conquistato il pubblico registrando oltre 6.000 visitatori.
Di fronte all’interesse e all’intensa partecipazione del pubblico, la mostra viene straordinariamente prorogata fino al 14 settembre 2025. Un’occasione che permetterà a un numero ancora più ampio di visitatori – dai residenti agli amanti dell’arte in viaggio – di lasciarsi coinvolgere da questa mostra unica e suggestiva anche durante l’estate.

Grande successo per la mostra

“Mirò incontra Maria Lai. Il fascino della sorpresa”

che, negli spazi del Camuc e della Stazione dell’Arte di Ulassai, ha già accolto oltre 6.000 visitatori.

A grande richiesta, la mostra viene eccezionalmente
prorogata fino al 14 settembre.

CaMuC e Stazione dell’Arte, Ulassai

“Siamo felici di annunciare che oltre 6.000 persone hanno già visitato la mostra, confermando un grande interesse e un ampio apprezzamento da parte del pubblico – dichiara Marco Peri, co-curatore del progetto –. Per questo motivo, e per permettere anche ai visitatori e turisti di vivere questa esperienza nei prossimi mesi estivi, la mostra sarà prorogata fino al 14 settembre.”

La mostra propone un inedito dialogo tra le opere di Joan Miró (Barcellona, 1893 – Palma de Mallorca, 1983), maestro del Surrealismo, e Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013), figura centrale dell’arte contemporanea italiana. Attraverso un suggestivo percorso espositivo, si confrontano opere grafiche, pitture, arazzi e pezzi unici di Miró – provenienti dalla prestigiosa collezione della Fundació de Arte Serra di Palma de Mallorca – con una selezione significativa di lavori di Maria Lai, artista che ha saputo intrecciare memoria, identità e tradizione in un linguaggio visivo profondamente personale.

Curata da Lola Durán Úcar e Marco Peri, l’esposizione mette in luce le dimensioni poetiche e immaginative del lavoro di entrambi gli artisti: da un lato, Miró crea costellazioni simboliche con segni e colori che trasformano la realtà; dall’altro, Maria Lai cuce storie e relazioni attraverso fili di memoria e materia.

Un evento unico per scoprire il sorprendente incontro tra due grandi artisti dell’arte del XX secolo, uniti da una visione comune capace di emozionare, interrogare e ispirare.
Entrambi hanno radici in un’isola mediterranea: Miró ha sempre avuto un legame speciale con Maiorca, mentre Maria Lai con la Sardegna. Questi luoghi hanno plasmato il loro immaginario, pur spingendoli a cercare nuovi orizzonti. Miró ha vissuto a Parigi nel cuore delle avanguardie novecentesche, mentre Maria Lai ha trascorso periodi significativi a Roma e Venezia. Tuttavia, entrambi hanno scelto di trascorrere la parte più matura del loro percorso espressivo nei territori delle loro isole d’origine, trovando in essi una fonte inesauribile di ispirazione.

Attraverso una selezione di oltre 70 opere – tra grafiche, dipinti, libri, arazzi e pezzi unici della Fundació de Arte Serra di Palma de Mallorca – l’universo immaginifico di Miró dialoga con le opere tessili, i libri d’artista e i disegni che Maria Lai ha donato alla sua comunità nella Stazione dell’Arte di Ulassai. Il percorso espositivo rivela sorprendenti affinità espressive e interessi condivisi tra due artisti apparentemente lontani, ma uniti da connessioni immaginative e risonanze concettuali.

Promossa dal Comune di Ulassai, la mostra è prodotta dalla Fondazione Stazione dell’Arte con il supporto organizzativo di Arthemisia.
La mostra è finanziata dall’Unione Europea attraverso il programma NextGenerationEU, nell’ambito del PNRR | Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, per la rigenerazione culturale, sociale ed economica dei borghi.


Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
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Da UFFICIO STAMPA ARTHEMISIA <press@arthemisia.it> 

Museo dell’Arte Classica della Sapienza Università di Roma

Fino al 30 giugno 2025, il Museo dell’Arte Classica della Sapienza Università di Roma ospita la mostra “Corpi e città. Paesaggi urbani performativi“, a cura di Gianni Celestini, Giulia Marino e Annalisa Metta.

Il Museo dell’Arte Classica della Sapienza Università di Roma
presenta
 
“Corpi e città. Paesaggi urbani performativi”
A cura di Gianni Celestini, Giulia Marino e Annalisa Metta

Fino al 30 giugno 2025
Museo dell’Arte Classica
Sapienza Università di Roma | P.le Aldo Moro, 5 |Roma

L’esposizione esplora la centralità delle architetture e i modi con cui i corpi che abitano e attraversano la città ne definiscono e configurano gli spazi in diversi ambiti della cultura contemporanea, tra cui la progettazione del paesaggio, la fotografia, la sociologia e le arti visive. L’abitare richiede l’esserci: i luoghi sono abitati purché qualcuno vi porti i propri passi, vi indugi, vi si adatti e, viceversa, li adegui alle proprie esigenze, pratiche e poetiche. Dunque, l’abitare richiede il corpo. L’intento dell’esposizione è quello di descrivere la performatività dello spazio pubblico urbano del nostro tempo, leggendo la città come un insieme di esistenze e perciò di corpi individuali e collettivi, umani e non umani, che ne presidiano e configurano lo spazio condiviso. I materiali esposti, quali disegni, libri, video, fotografie testi ritraggono alcune tra le innumerevoli modalità con cui i corpi agiscono sullo spazio collettivo contemporaneo, per tratteggiare i lineamenti comuni di pratiche, rituali e cerimonie di abitabilità della città, spontanee e progettate.

Immersi nell’elegante contesto offerto dal Museo dell’Arte Classica, i visitatori avranno l’opportunità di esplorare – tra gli altri – opere, progetti, lavori e ricerche di Agence TVK, Animal Aided, Design, Bêka & Lemoine, Bruit du Frigo, Matilde Cassani, Lola Landscape Architècts, Modu Architecture, Mvrdv, Ooze, Studio Ossidiana, Gabriele Rossi e Vogt Landschaftsarchitèktèn.

IL PERCORSO DELLA MOSTRA
 
La mostra si articola in 5 sezioni principali.
 
ABITUDINI
Questa prima sezione indaga le situazioni quotidiane di soglia tra personale e collettivo, domestico e pubblico, intimo ed esposto, stabile e mutevole.
 
CONVIVENZE
Proseguendo, il pubblico viene sollecitato a riflettere sul significato della parola “convivenza”, con un accento sugli animali urbani, i quali ci invitano a ripensare il nostro modo di stare al mondo.
 
EVASIONI
La terza sezione si sofferma sui temi dell’emancipazione, della trasgressione e della liberazione dei corpi nello spazio pubblico. Questa parte della mostra indaga le evasioni urbane, cioè le pratiche con cui si va fuori dalla città, superando i limiti stabiliti da regole e consuetudini.
 
FISIOLOGIE
Passando alla quarta sezione, il visitatore viene chiamato ad indagare le condizioni ambientali di abitabilità dello spazio pubblico, che sono connesse, essenzialmente, al confort termico.
 
RITUALI
Infine, l’ultima sezione documenta pratiche e cerimonie collettive, talvolta spettacolari, che ingaggiano il pubblico come parte integrante della messa in scena.

In concomitanza con la mostra, la Sapienza Università di Roma organizza 3 incontri coordinati dai curatori, che dialogheranno con professori ed esperti al fine di approfondire le tematiche esposte. Gli incontri si terranno nelle aule indicate di seguito, presso la sede del Museo dell’Arte Classica, al piano terra dell’edificio di Lettere e Filosofia di Sapienza Università di Roma (Piazzale Aldo Moro, 5).

Il primo appuntamento, dal titolo “Corpi imprevisti“, è fissato per venerdì 13 giugno alle ore 10.30 all’interno dell’aula antichità etrusche e italiche. Interverranno Natalia Agati, Edoardo Fabbri, Tito Marci, Azzurra Muzzonigro; coordina la curatrice dell’esposizione Annalisa Metta.

Si prosegue martedì 17 giugno alle ore 17.30 presso l’auletta di archeologia con l’incontro “Corpi Progettanti“, coordinato dalla curatrice Giulia Marino e con protagonisti Federico De Matteis, Alberto Iacovoni Valeria Volpe.

Infine, mercoledì 25 giugno alle ore 17.30 nell’auletta di archeologia si terrà l’ultimo incontro che prende il nome di “Corpi evocati“, con la presenza di Lorenzo Catena, Valeria Tofanelli, Stefano Catucci Massimiliano Papini e coordinato dal curatore della mostra Gianni Celestini.

La mostra è parte delle iniziative con cui Sapienza Università di Roma partecipa al progetto Inhabiting Uncertainty. A Multifaceted Study on the Relationship between Social Attitudes and Lifestyles in Pandemic Spaces, finanziato con fondi Prin 2020 (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale), Ministero dell’Università e della Ricerca.


INFORMAZIONI UTILI
TITOLO: Corpi e città. Paesaggi urbani performativi
QUANDO: fino al 30 giugno 2025
DOVE: Museo dell’Arte Classica, Sapienza Università di Roma – Piazzale Aldo Moro, 5 ORARI: dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 19.00
INGRESSO LIBERO

CONTATTI POLO MUSEALE SAPIENZA
EMAIL: polomusealesapienza@uniroma1.it
SITO WEB: https://polomuseale.web.uniroma1.it/
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YOUTUBE: https://www.youtube.com/@polomusealesapienza4167/

UFFICIO STAMPA
CULTURALIA DI NORMA WALTMANN

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Le vincitrici premiate al Museo del Merletto di Burano

Il concorso nazionale, Un merletto per Venezia, ha le sue vincitrici. Le maestre merlettaie hanno raccolto la sfida per tradurre, con l’ago e con i fuselli, attraverso lo stile antico o quello moderno,  un grande tema letterario: le celestiali tematiche espresse da Dante Alighieri nel suo Paradiso. Come ogni anno, tutti i lavori rimarranno esposti nella quarta sala del percorso museale sino all’edizione successiva.

UN MERLETTO PER VENEZIA 
XI edizione del Concorso Internazionale
Burano (Ve), Museo del Merletto
14 giugno 2025 – 8 agosto 2026
Sono risultate vincitrici:
Sabrina ScantamburloPremio Merletto ad Ago, Stile Antico;
Nicoletta PascoliPremio Merletto ad Ago, Stile Moderno;
Agnese Molinelli (Camilla Beltrand disegnatrice), Premio Ex Aequo Merletto a Fuselli, Stile Antico;
Teresa AndrzejewskiPremio Ex Aequo Merletto a Fuselli, Stile Antico;
Luisella Comi, Lucia Pedrazzi, Cecilia PozziPremio Merletto a Fuselli, Stile Moderno;
Doris Christine Preisch, Premio Emma Vidal
Renata FranceschiPremio Umberto Marcello Del Majno
Giuditta Maria ParlongoMenzione Speciale Merletto a Fuselli, Stile Moderno

Da sapere: un merletto è definito “antico” quando l’opera risulta completa e comprensibile in sé, anche se tridimensionale, senza bisogno di elementi aggiuntivi. È invece considerato “moderno” se richiede installazioni o componenti esterne per esprimere appieno il suo significato artistico. La distinzione non dipende dai colori, tra monocromia o policromia, ma dalla necessità di elementi iconografici integrativi.

Burano è da sempre legata all’arte del merletto, una tradizione artigianale di altissimo livello per la quale è in corso la candidatura all’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale. Un riconoscimento che darebbe nuovo valore a una produzione raffinata, nata proprio a Venezia.

Giunto nel 2025 alla sua undicesima edizione, il Concorso Un Merletto per Venezia, realizzato in collaborazione con la Fondazione Andriana Marcello, è un’importante iniziativa che rientra nel novero di quelle attività che si pongono lo scopo di mantenere vivo l’interesse, esecutivo e artistico, nei confronti della realtà del merletto, declinato in modo originale anche sul versante contemporaneo.

La data del 14 giugno, scelta per la presentazione e premiazione dei merletti, non è casuale: vuole ricordare Emma Vidal, storica merlettaia di Burano e figura simbolo di quest’arte, scomparsa nel 2019 all’età di 103 anni proprio il 14 giugno. In suo onore è stato istituito un premio che porta il suo nome, assegnato al miglior merletto ad ago realizzato secondo lo stile tradizionale.

Il Museo del Merletto, ospitato nell’ex scuola fondata nel 1872 dalla contessa Andriana Marcello, racconta la storia del merletto attraverso un allestimento vivace e colorato, con pezzi rari che ripercorrono l’evoluzione del merletto veneziano.

Ma il concorso è anche l’occasione per ricordare un’altra protagonista fondamentale del merletto veneziano: la professoressa Doretta Davanzo Poli. Storica del tessile e del costume, il suo contributo allo studio di queste arti è inestimabile, come sottolineato anche dalla direttrice Scientifica Chiara Squarcina, che prosegue ricordando come il concorso “Un Merletto per Venezia” rappresenta non solo una celebrazione dell’eccellenza artigianale e creativa, ma anche un momento fondamentale per riaffermare il valore di una tradizione viva, che si rinnova di anno in anno. In quest’ottica, il Museo del Merletto di Burano è protagonista attivo nella promozione di questa arte e un punto di riferimento anche per il suo riconoscimento nel mondo; sono state numerose quest’anno le iniziative legate alla candidatura del Saper fare l’arte del Merletto italiano a Patrimonio Culturale Immateriale UNESCO, tra cui lo speciale workshop organizzato all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen per la Giornata del Made in Italy realizzata dall’Ambasciata d’Italia a Copenaghen, dal Ministero della Cultura con Fondazione Musei Civici di Venezia e “Rete del Merletto italiano”. Un impegno condiviso che testimonia la volontà di tutelare e tramandare un patrimonio immateriale di straordinaria rilevanza culturale.

In quest’ottica Un Merletto per Venezia è un’opportunità per conoscere le creazioni contemporanee da tutta Italia e scoprire realtà attive anche nel proprio territorio.


Museo del Merletto
Piazza Galuppi 187
30142, Burano
Tel. +39 041 730034
museomerletto.visitmuve.it
Da Studio ESSECI <segreteria@studioesseci.net> 

A Bologna la versione italiana della mostra realizzata a Porto Alegre in Brasile nel 2024

Il Museo civico del Risorgimento del Settore Musei Civici Bologna è lieto di presentare Un emblema di libertà. La Bandiera della Repubblica del Rio Grande do Sul e Livio Zambeccari, versione italiana di una mostra realizzata nel 2024 in Brasile, a Porto Alegre e in altre città del Rio Grande do Sul, stato federale del Brasile, e organizzata da Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul – PUCRS in collaborazione con Instituto Histórico e Geográfico do Rio Grande do Sul – IHGRGSUniversità degli Studi di Urbino Carlo Bo – Dipartimento di Scienze Pure e Applicate e lo stesso Museo civico del Risorgimento di Bologna.
Il progetto espositivo, a cura di Otello Sangiorgi, è visitabile dal 12 giugno al 5 ottobre 2025, ad eccezione del periodo di chiusura per la pausa estiva dal 21 luglio al 7 settembre 2025.

Settore Musei Civici Bologna | Museo civico del Risorgimento

Un emblema di libertà. La Bandiera della Repubblica del Rio Grande do Sul e Livio Zambeccari
A cura di Otello Sangiorgi

12 giugno – 5 ottobre 2025  
Museo civico del Risorgimento
Piazza Giosue Carducci 5, Bologna


www.museibologna.it/risorgimento

La mostra si incentra su Livio Zambeccari (Bologna, 1802 – ivi, 1862), singolare figura di combattente per la libertà in Europa e nell’America del Sud, che ebbe un ruolo storico fondamentale nella formazione dell’identità gaúcha, e sull’origine della bandiera della Repubblica Riograndense, da lui progettata e disegnata, assurta ad emblema nazionale dei riograndensi.

Il carbonaro bolognese Tito Livio Zambeccari, esule dopo i moti italiani del 1820-1821, arrivò a Porto Alegre nel 1831, dopo avere partecipato ai moti liberali in Spagna e nel Rio de la Plata.
Discendente da una nobile famiglia, il ramo Zambeccari di San Barbaziano, e affascinato dalle idee democratiche di Giuseppe Mazzini, divenne redattore di alcuni giornali repubblicani nella provincia più meridionale dell’impero brasiliano.
Geografo e naturalista, fu autore di mappe dell’intera provincia e della capitale, diventando di fatto il primo cartografo di quel territorio.
Allo stesso tempo si dedicò allo studio e alla classificazione della flora brasiliana, pubblicando parte dei risultati nel 1843 sulla Rivista “Nuovi Annali di Scienze Naturali” di Bologna.

Allo scoppio della guerra indipendentista farroupilha, che dal 20 settembre 1835 contrappose i rivoltosi della provincia di São Pedro (successivamente Stato del Rio Grande do Sul) alle truppe imperiali brasiliane, occupò il ruolo di Segretario e Capo di Stato Maggiore del generale dell’esercito ribelle, Bento Gonçalves da Silva, a cui lo univa una profonda amicizia.
Fatto prigioniero nel 1836, durante la battaglia del Fanfa in cui le forze imperiali brasiliane ottennero un’importante vittoria, rimase rinchiuso per tre anni nella fortezza di Santa Cruz, a Rio de Janeiro, dedicandosi alla traduzione di libri in portoghese e al disegno di una mappa del Rio Grande do Sul che si distinse come la più particolareggiata del tempo.


Nel 1838 incontrò in carcere Giuseppe Garibaldi, da poco esule nella capitale brasiliana, e lo coinvolse nelle imprese della rivolta farroupilha, concedendogli una “lettera di corsa” che lo autorizzava a attaccare e catturare i vascelli imperiali che avrebbe incontrato mentre navigava verso la provincia meridionale in armi.
Insieme all’Eroe dei due Mondi, altri esuli italiani abbracciarono la causa e lasciarono segni importanti con la loro partecipazione, in un conflitto che fu represso solo dieci anni più tardi. Con il passaggio dall’Impero alla Repubblica brasiliana (1889), la memoria della rivoluzione farroupilha cominciò ad essere valorizzata come momento fondativo ed elemento principale dello spirito gaúcho (aggettivo che caratterizza l’appartenenza allo stato del Rio Grande do Sul).

La paternità della bandiera utilizzata dagli indipendentisti che condussero la Rivoluzione farroupilha (1835-1845) nel sud del Brasile è stata attribuita a Livio Zambeccari grazie agli studi di Edison Hüttner, professore presso la Escola de Humanidades della Pontificia Universidade Católica do Rio. Grande do Sul – PUCRS, con la collaborazione dei ricercatori Eder Abreu Hüttner e Felipe Assunção Soriano, incrociando fonti storiche come il Libro degli appunti del processo Farrapos (1933) di Aurélio Porto, Res Avita (1935), di Alfredo Varela e altri autori, e un dipinto conservato presso il Museo civico del Risorgimento di Bologna raffigurante lo stesso Livio Zambeccari.

Intorno a questo ritratto, eseguito da un autore anonimo di ambito bolognese negli anni quaranta del XIX secolo forse identificabile con lo stesso Livio Zambeccari, ruota l’intera esposizione. Il quadro si presenta come documento fondamentale in quanto mostra il patriota bolognese come membro ed eroe della Rivoluzione farroupilha. Raffigurato in primo piano, intento a studiare una mappa, indossa una particolare uniforme che troverebbe riscontro nel ruolo di Segretario e Capo di Stato Maggiore assunto in America meridionale. Sullo sfondo un “lanceiro negro” (lanciere nero, rappresentante simbolico del gruppo di soldati schiavi che furono utilizzati nella guerra indipendentista) porta a cavallo la bandiera tricolore del Rio Grande do Sul (verde, gialla e rossa) da lui disegnata a Buenos Aires.

La mostra comprende anche pannelli con le ricerche di Edison Hüttner, Eder Abreu Hüttner, Felipe Assunção Soriano, Maria Letizia Amadori, Antonio de Ruggiero e Otello Sangiorgi, che approfondiscono la figura di Livio Zambeccari e il contributo significativo di altri esuli risorgimentali italiani – come Luigi Carlo Rossetti (Genova, 1800 – Viamão, 1840) – alle vicende rivoluzionarie del Rio Grande do Sul.
La rielaborazione dei testi per l’adattamento italiano della prima tappa della mostra in Brasile è a cura di Mirtide Gavelli e Otello Sangiorgi.
La traduzione dei testi è di Maria Letizia Amadori e Antonio de Ruggiero.

L’esposizione è arricchita infine da preziosi cimeli originali relativi alla partecipazione di Livio Zambeccari alle guerre del Risorgimento per l’Unità d’Italia, appartenenti alle collezioni del Museo civico del Risorgimento. Si tratta di documenti, mappe, disegni ad acquerello, uniformi e altri oggetti, che testimoniano l’impegno di questo patriota bolognese nelle lotte per l’unificazione e nella diffusione degli ideali di libertà e indipendenza, anche fuori dell’Italia.
I beni passarono in eredità alla sorella Carlotta (Bologna, 1792 – ivi, 1875), sposata con Francesco Rodriguez Laso y Gallego (Montejo de Salvatierra de Tormes, 1785 – Bologna, 1873), il cui figlio Annibale donò cimeli e memorie dello zio al museo felsineo al momento della sua costituzione nel 1893.
Questi oggetti personali offrono un affascinante approfondimento sulla vita di Zambeccari come leader e stratega nelle lotte per l’indipendenza, offrendo ai visitatori uno sguardo suggestivo sul suo impegno universale per la causa. 

L’evento espositivo è accompagnato da quattro iniziative di approfondimento che si svolgono tra il Museo civico del Risorgimento e il Cimitero Monumentale della Certosa.

Domenica 15 giugno 2025 ore 11.00
Museo civico del Risorgimento | Piazza Giosue Carducci 5, Bologna
Visita guidata alla mostra a cura di Otello Sangiorgi
Costo di partecipazione: biglietto museo (intero € 5 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 giovani 19-25 anni), non è richiesta prenotazione.
Info: 
www.museibologna.it/risorgimento

Domenica 6 luglio 2025 ore 11.00
Museo civico del Risorgimento | Piazza Giosue Carducci 5, Bologna
Visita guidata alla mostra a cura di Otello Sangiorgi
Costo di partecipazione: biglietto museo (intero € 5 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 giovani 19-25 anni), non è richiesta prenotazione.
Info: 
www.museibologna.it/risorgimento

Sabato 13 settembre 2025 ore 11.00
Museo civico del Risorgimento | Piazza Giosue Carducci 5, Bologna
Visita guidata alla mostra a cura di Mirtide Gavelli
Costo di partecipazione: biglietto museo (intero € 5 | ridotto € 3 | ridotto speciale € 2 giovani 19-25 anni), non è richiesta prenotazione.
Info: 
www.museibologna.it/risorgimento

Sabato 27 settembre 2025 ore 10.30
Cimitero Monumentale della Certosa | Via della Certosa 16, Bologna
“Descanse em paz”. Presenze brasiliane in Certosa

Visita guidata a cura di Roberto Martorelli
A cura di Museo civico del Risorgimento con Associazione Amici della Certosa
Costo di partecipazione: intero € 10 | ridotto possessori Card Cultura € 8 (pagamento preferibile con soldi contati)
Prenotazione obbligatoria: prenotazionicertosa@gmail.com
È necessario ricevere mail di avvenuta prenotazione.

Ritrovo: ingresso monumentale (lato via Andrea Costa), via della Certosa 16, Bologna.
Info: 
www.museibologna.it/risorgimento

Per maggiori informazioni sulla biografia di Livio Zambeccari: www.storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/zambeccari-livio

La mostra fa parte di Bologna Estate 2025, il cartellone di attività promosso da Comune di Bologna e Città metropolitana di Bologna – Territorio Turistico Bologna-Modena.


Mostra
Un emblema di libertà. La Bandiera della Repubblica del Rio Grande do Sul e Livio Zambeccari

A cura di
Otello Sangiorgi

Promossa da
Settore Musei Civici Bologna | Museo civico del Risorgimento

In collaborazione con
Pontifícia Universidade Católica do Rio Grande do Sul – PUCRS
Instituto Histórico e Geográfico do Rio Grande do Sul – IHGRGS
Università Degli Studi di Urbino Carlo Bo – Dipartimento di Scienze Pure e Applicate

Periodo di apertura
12 giugno – 5 ottobre 2025

Inaugurazione
Martedì 10 giugno 2025 ore 18.00

Orari di apertura
Martedì e giovedì 9.00 – 13.00
Venerdì 15.00 – 19.00
Sabato e domenica 10.00 – 18.00
4 ottobre 2025 (San Petronio) 10.00 – 19.00
Chiuso lunedì, mercoledì e dal 21 luglio al 7 settembre 2025

Ingresso
Intero € 5 | ridotto € 3 | ridotto speciale visitatori di età compresa tra i 19 e i 25 
anni € 2 | gratuito possessori Card Cultura


Informazioni
Museo civico del Risorgimento
Piazza Giosue Carducci 5 | 40125 Bologna
Tel. + 39 051 2196520
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Facebook: Museo civico del Risorgimento – Certosa di Bologna
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Settore Musei Civici Bologna
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Bologna: restauro e valorizzazione di uno sgabello in avorio etrusco unico al mondo

Si è concluso il progetto di salvaguardia e valorizzazione di un raro sgabello in avorio, tra i più importanti reperti dell’antica Bologna etrusca e unico al mondo, appartenente alle collezioni del Museo Civico Archeologico di Bologna.
L’intervento è stato realizzato con la collaborazione culturale del Rotary Club Bologna Est in occasione dei 60 anni dalla sua fondazione.

Settore Musei Civici Bologna | Museo Civico Archeologico

Nelle terre dei Rasna


Museo Civico Archeologico 
Via dell’Archiginnasio 2, Bologna 
www.museibologna.it/archeologico

Si è concluso Nelle terre dei Rasna, il progetto per la salvaguardia e la valorizzazione di un reperto prezioso e unico al mondo, appartenente alle collezioni del Museo Civico Archeologico del Settore Musei Civici Bologna: uno sgabello in avorio datato alla fine del VI secolo a.C., raro esempio di manufatto con funzioni di rappresentanza nell’ambito della società etrusca.

L’iniziativa – a cura scientifica di Federica Guidi Marinella Marchesi, archeologhe del museo felsineo diretto da Paola Giovetti – è stata avviata nell’ottobre 2024 in stretta collaborazione culturale con il Rotary Club Bologna Est in occasione del 60° anniversario dalla sua fondazione, sotto la presidenza dell’avvocata Silvia Stefanelli.

Dopo otto mesi lo sgabello in avorio torna ad essere esposto nella Sala X della collezione permanente del Museo, dedicata alla Bologna etrusca, con un nuovo supporto e un nuovo apparato multimediale che ne illustra la struttura e il contesto di rinvenimento, con una narrazione più stimolante e coinvolgente nel rispetto del rigore metodologico.

Lo sgabello è parte del ricco corredo rinvenuto nella tomba 173 portata alla luce nel 1887 dall’allora direttore del Museo Archeologico Edoardo Brizio (Torino, 1846 – Bologna, 1907) nel parco dei Giardini Margherita a Bologna, in occasione dei lavori di sistemazione per accogliere i padiglioni dell’Esposizione Emiliana del 1888. Già in precedenza l’area aveva restituito 172 tombe di epoca etrusca e, dopo lo scavo di Brizio, le indagini archeologiche proseguirono fino agli anni Ottanta del XX secolo, per restituire complessivamente oltre 230 tombe databili tra la seconda metà del VI e gli inizi del IV secolo a.C.

Lo sgabello è formato da due coppie di gambe incrociate, fissate fra loro con perno metallico e raccordate nella parte superiore da due traverse, cui era fissata la seduta, che doveva probabilmente essere in cuoio, così da consentirne la chiusura.
Mentre sono piuttosto frequenti le attestazioni in epoca etrusca di piccoli mobili in legno come sedili o tavolini, la scelta dell’avorio rende questo elemento un reperto di eccezionale rilevanza nel panorama non solo dell’area bolognese ma dell’Etruria in generale.
La manifattura particolarmente preziosa ha indotto a formulare la suggestiva ipotesi che si tratti di una sella curulis, il sedile pieghevole su cui sedevano i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. L’oggetto potrebbe dunque essere stato deposto nella sepoltura per ricordare una carica magistratuale ricoperta dal defunto all’interno della comunità civica bolognese.


Il restauro e le analisi diagnostiche
L’intervento di restauro è stato realizzato dalla ditta Kriterion e sono state eseguite anche indagini diagnostiche per meglio comprendere la struttura del raro manufatto.
Il reperto presentava una fragilità elevata dovuta ad un degrado molto avanzato, che aveva comportato fratturazione, frammentazione e disgregazione di alcune parti, oltre al dislocamento parziale di porzioni e a un generale inaridimento della superficie. Nel corso dei precedenti restauri l’avorio era stato pulito, consolidato e incollato, ma in alcuni punti gli adesivi avevano ceduto, provocando altri distacchi di materiale.

Prima di procedere allo smontaggio dei frammenti dal supporto in plexiglass sono state eseguite la documentazione fotografica e la mappatura descrittiva dei frammenti. Una volta smontati, le singole porzioni di avorio e gli elementi metallici sono stati puliti e consolidati. Poi si è effettuata un’attenta ricerca degli attacchi tra i frammenti già in opera e quelli non assemblati, esclusi dalla ricostruzione precedente. In questa fase è stato possibile ricondurre all’esatta pertinenza e alle giuste connessioni le porzioni, che non sempre erano state collocate correttamente.

L’attento esame dei frammenti ha anche premesso di individuare alcuni elementi relativi all’originario sistema di montaggio (piccoli fori con tracce di chiodi, tasselli di avorio, ecc.).
Le indagini radiografiche hanno dato un ulteriore contributo allo studio del sistema di assemblaggio delle parti di avorio per mezzo di elementi metallici. Per quanto riguarda la giunzione tra le coppie di “gambe”, una boccola in ferro alloggia i due perni in bronzo con una estremità decorata in argento, permettendo così allo sgabello di richiudersi con naturalezza e senza attrito.

Un’altra interessante novità riguarda proprio l’avorio che costituisce la quasi totalità del mobile. Le analisi effettuate dall’archeozoologo Fabio Fiori di ArcheoLaBio – Centro di Ricerche di Bioarcheologia dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna hanno permesso di ricondurre con certezza l’avorio ad un proboscidato, escludendo quindi l’utilizzo dell’avorio di altre specie animali, quali l’ippopotamo, il tricheco e alcuni cetacei.

Inoltre, contrariamente a quanto presupposto in passato, si è confermato che non si tratta di zanne intere ma di porzioni di esse e, anche se lo stato precario di conservazione non consente una lettura precisa sul metodo di intaglio, tutti i pezzi potrebbero essere stati realizzati anche da una singola zanna.
Sono attesi nei prossimi giorni i risultati delle analisi di spettrometria LC-MS/MS, una tecnica analitica molto sensibile e precisa che combina cromatografia liquida (LC) e spettrometria di massa tandem (MS/MS). Con questa analisi, condotta dal Laboratorio ArchaeoBiomics dell’Università di Torino, si spera di identificare l’origine dell’avorio, definendo con certezza il proboscidato come elefante africano o asiatico, grazie all’esame dei profili delle proteine specifiche per specie.

L’intervento di restauro è stato infine completato dalla progettazione e realizzazione di un nuovo supporto espositivo sul quale sono stati fissati i frammenti. Il supporto in plexiglass presenta una robusta stabilità che permette di movimentare l’oggetto archeologico senza che vibrazioni nocive ne alterino la struttura e l’integrità.

Crediti progetto Nelle terre dei Rasna

Una collaborazione culturale tra:
 Museo Civico Archeologico | Settore Musei Civici Bologna (Direttrice Paola Giovetti) e Rotary Club Bologna Est (Presidente 2025 Silvia Stefanelli)

Progetto scientifico e coordinamento: Federica Guidi e Marinella Marchesi (Museo Civico Archeologico | Settore Musei Civici Bologna)

Restauro: Kriterion, Bologna (Isabella Rimondi, Elena Betti, Silvia Ferucci)

Esperienza interattiva: Genera, Bologna

Disegni: Elena Maria Canè (Museo Civico Archeologico | Settore Musei Civici Bologna)

Analisi archeozoologiche: Fabio Fiori (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà-ArcheoLaBio – Centro ricerche di Bioarcheologia, Ravenna)

Indagini diagnostiche TAC: Maria Pia Morigi e Matteo Bettuzzi (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi”)

Analisi di spettrometria LC-MS/MS: Beatrice Demarchi e Carmen Domìnguez Castillo, (Laboratorio ArchaeoBiomics, Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Università di Torino); Bruno Martínez Haya (Universidad Pablo de Olavide, Siviglia)

Un ringraziamento particolare a: Giuseppe Sassatelli (Professore emerito Alma Mater Studiorum – Università di Bologna) per i preziosi consigli e il costante supporto.

Si ringraziano inoltre: Antonio Curci (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Dipartimento di Storia Culture Civiltà); Angelo Febbraro (Museo Civico Archeologico | Settore Musei Civici Bologna); Sara Campagnari e Monica Zanardi (Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara); Beatrice Borghi, Luca Fasano e Maurizio Fusari (Rotary Club Bologna Est).

L’esperienza interattiva
Il progetto Nelle terre dei Rasna si è posto anche l’obiettivo di rendere l’esperienza di visita e la fruizione museale inclusiva, accessibile e interattiva. Proprio per questo si è scelto di creare una narrazione completa, offrendo al pubblico un’esperienza interattiva che narra non solo il restauro dello sgabello, ma anche il contesto storico e culturale da cui proviene.

La ditta Genera ha realizzato un applicativo digitale composto da tre moduli tematici, liberamente fruibile attraverso un’apposita postazione con touch screen installata al lato della vetrina che custodisce il corredo della tomba 173 nota come “tomba dello Sgabello”.
Il primo modulo tematico permette ai visitatori del Museo Civico Archeologico di ripercorrere le fasi fondamentali del restauro, attraverso un video-racconto realizzato sia in lingua italiana che in lingua inglese con un filmato, appositamente progettato nel rispetto dei criteri di accessibilità per le persone ipoudenti o non udenti.
Il secondo modulo consente al pubblico di entrare virtualmente all’interno della tomba etrusca, di acquisire informazioni dettagliate sui singoli oggetti e di ricollocarli nella loro posizione originaria, grazie ad una esperienza digitale interattiva ideata e sviluppata secondo i principi del gaming e dell’edutainment. Tutti i reperti sono stati accuratamente digitalizzati in versione tridimensionale grazie all’utilizzo di scanner professionali a luce strutturata: i modelli ottenuti non assolvono solo alla funzione educativa ma sono di grande importanza anche per la tutela e conservazione dei beni stessi.
Infine, il terzo modulo tematico contiene i reperti del corredo nella versione 3D, per consentire agli utenti di interagire con essi ruotandoli a 360° così da apprezzarne meglio dettagli e caratteristiche.

Il Museo Civico Archeologico di Bologna è riconosciuto come uno degli Istituti museali più importanti per la conoscenza della civiltà dei Rasna, il nome in cui i popoli Etruschi si riconoscevano. Le sue raccolte comprendono una ricchissima documentazione derivante sia dalla raffinata tradizione collezionistica di antichità propria della storia culturale della città, sia soprattutto dalle testimonianze archeologiche rivenute durante le campagne del XIX e XX secolo che hanno messo in luce il passato etrusco di Bologna, quella Felsina sviluppatasi tra IX e IV secolo a.C. e definita da Plinio il Vecchio “princeps Etruriae”.

Il Rotary Club Bologna Est ha scelto il Museo Civico Archeologico di Bologna per celebrare la ricorrenza del 60° anniversario dalla sua fondazione. Nel corso della sua lunga attività il Club ha posto una costante attenzione a progetti di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della città, contribuendo a importanti interventi quali il restauro del modello in cera della Venerina esposta al Museo di Palazzo Poggi, il restauro e riapertura al pubblico dell’Oratorio di Santa Maria della Vita e il restauro del Baldacchino della Madonna del Rosario nella Basilica di San Domenico. In occasione del cinquantenario, nel 2014 il Bologna Est si è fatto carico del restauro conservativo del Bacile Longobardo nel Cortile di Pilato, all’interno del Complesso monumentale di Santo Stefano.


Informazioni
Museo Civico Archeologico
Via dell’Archiginnasio 2 | 40124 Bologna
Tel. +39 051 2757211
www.museibologna.it/archeologico
mca@comune.bologna.it
Facebook: Museo Civico Archeologico di Bologna
YouTube: Museo Civico Archeologico di Bologna

Orari di apertura invernali [dal 4 novembre 2024 all’8 giugno 2025]Lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì 9.00 – 18.00
Sabato, domenica, festivi 10.00 – 19.00
Chiuso martedì non festivi

Orari di apertura estivi [dal 9 giugno 2025]Lunedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato, domenica, festivi 10.00 – 19.00
Chiuso martedì non festivi

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