
Ciascuno è figlio del suo tempo
di Gio Bonaventura
Mi piacciono queste due ragazze, sono trendy, belle, allegre, esuberanti. Più di tutto non seguono la moda del momento, forse perché la maggior parte di persone non si veste più. Il gusto s’è conformato alla nullità, alla monotonia: felpe con cappuccio, magliette, sneaker. Loro invece indossano di tutto: vintage, look firmati, griffe emergenti. Stamane, a guardarle, hanno miscelato qualche colore di troppo per i miei gusti, ma confesso di aver trovato quei colori sorprendentemente indossabili. Mi ricordo di Lilli alla loro età. Portava minigonne e calze operate, traforate, colorate, con la stessa disinvoltura con la quale Eulalie e Alizée sfoggiano i loro outfit insoliti. «Ciascuno è figlio del suo tempo», ragiono.
Eulalie, ritornata nella stanza, posa sul tavolo da riunione una carpetta zeppa di fogli che fuoriescono. È fra i documenti che le ragazze hanno reperito nell’archivio di Gaspard, il nonno di Marcel. La carpetta sembra, in questa stanza modernissima, l’ultima testimonianza di un mondo in cui si usava ancora la carta.
«A ben pensare – considero – anche Émile era figlio del suo tempo, quando ha progettato la sua casa a Creil». Sebbene partisse da presupposti romantici, legati al fascino per il medioevo, la sua opera era guidata da una razionalità profonda, da un’idea dell’architettura che sembra anticipare alcune delle istanze del modernismo. Émile propone una onestà strutturale che nel tempo entrerà a fare parte dei capisaldi dell’architettura moderna. Si attiene alla lezione – spesso travisata – del suo maestro, Viollet-le-Duc. Perché se è vero che i castelli si moltiplicarono in tutta la Francia, è altrettanto vero che il ruolo di Viollet-le-Duc in questo processo fu meno diretto di quanto si sia a lungo creduto. Il suo insegnamento fu più teorico e simbolico che operativo: fornì il vocabolario, le regole grammaticali, le nozioni tecniche necessarie. Furono altri a disseminare castelli goticheggianti da nord a sud del paese.
«Non c’è interesse per lo stile, in Émile. Lui si concentra sulle soluzioni costruttive. In tal senso vanno letti questi appunti». Eulalie a riprova mostra dalla carpetta alcuni fogli ingialliti. La discussione ha preso l’abbrivio, come una nave che ha lasciato gli ormeggi. «Tutto giusto – fa notare Alizée, cercando qualcosa nella carpetta. Ne trae una lettera – È del padre di Émile. Mi pare che possa indicare l’ottica migliore per capire questa nostra storia. Per gli sposi il vero nodo della questione è se continuare ad abitare l’antica casa di famiglia o costruirne una del tutto nuova, come sembrano volere i due giovani. In stile gotico o rinascimentale non importa proprio, perché i problemi sono di ben altra natura.
Ascoltate: “Caro Émile, so che stai per mettere mano al progetto della nuova casa che abiterai con Vivienne. Dal punto di vista architettonico sarà certo in linea con i tempi e soddisferà le vostre ricorrenti esigenze di vita. Con tutto ciò, riconosco che anche questa nostra casa piace a tua madre e piace a me. Sotto il suo tetto, siete nati tu e le tue sorelle. Mio padre me l’ha lasciata così come l’aveva ricevuta, e io, in tutti questi anni, non vi ho aggiunto altro che l’indispensabile. Ogni suo angolo porta con sé un ricordo – di gioia o di dolore – ed è il frutto, silenzioso ma tenace, del lavoro onesto di tre generazioni.
Nel borgo chiamano la nostra casa “castello”. Non è però da confondere con i “castelli” di oggi. Ti spiego il perché. Tutti i nostri compaesani sanno bene che qui non mancano mai di un pezzo di pane, di un abitino per i figli, di un consiglio in caso di lite, di una mano tesa se li coglie una malattia. Nessuno ha bisogno di farsi indicare il portone d’ingresso o la scala: li conoscono da sempre. Come noi, sanno dove si trovano quei gradini disagevoli, quei rompicolli di cui ti lamenti spesso, e non si perdono nei corridoi, lunghi, ma consueti.
La cucina, in effetti, è distante dalla sala da pranzo, ma grande abbastanza per accogliere i mietitori al calare del sole o i pecorai quando vengono a sistemare i conti sul formaggio che abbiamo concordato per concedere loro il pascolo sui nostri terreni. Questa casa è nostra, quanto loro. È la nostra gente. E tu, come me, non devi dimenticare che nel 1789 mio nonno vi rimase con mia nonna e mio padre piccolo, senza che nessuno osasse toccarli, mentre le dimore attorno venivano abbandonate e saccheggiate.
So bene, almeno quanto te – forse meglio – ciò che manca a questa casa per rispondere ai gusti e alle esigenze della vita moderna. Ma so anche che, se un giorno dovessi venderla a qualche ricco signore, c’è da scommettere che la demolirebbe in fretta per tirar su un altro dei loro “castelli”, più comodi, più adatti al modo di abitare moderno.
Questo con una evidente conseguenza. Il vecchio castello, occupato da persona estranea, perderebbe del prestigio giustamente tenuto in conto generazione dopo generazione. Dunque, quale vantaggio ci sarebbe a conservare del vecchio dominio la sua autentica fisionomia? Allora, forse, sarebbe il caso di innalzare una nuova costruzione. Nel paese si abitueranno a poco a poco e nessuno troverà strano che si modifichi in parte o si demolisca del tutto il vecchio edificio.
Al contrario, la gente semplice del villaggio, quella che passa con gli scarponi infangati e il pastrano sulle spalle, quella che ha dimostrato – se mai ce ne fosse stato bisogno – di essere pronta a proteggere questa vecchia casa, non metterebbe più piede in una dimora rinnovata, che non conosce e che, con i suoi arredi moderni ed eleganti, finirebbe per farla sentire fuori posto o, peggio, in imbarazzo. Questo accadrebbe se, dopo averla ricevuta in eredità, a rinnovarla fossi te.
L’abitudine di uno sguardo non è da pigliarsi sottogamba. Per chi vive qui, la casa e chi la abita sono una sola cosa. Cambiando la casa, smetterebbero di riconoscere anche noi. Ho visto troppi proprietari dei poderi attorno trasformare la casa ereditata, convinti di sostituirla con qualcosa di più adatto ai tempi. Così facendo, non solo hanno spezzato un legame affettivo con il passato, ma anche quello, prezioso, silenzioso, duraturo, con la gente che da generazioni conduce la sua vita attorno a noi. Per cui invito te e Vivienne, con tutto il cuore, ad accettare la proposta di Éléonore e costruire una casa del tutto nuova e del tutto vostra. Con affetto, Tuo padre».
Per un attimo, forse più, siamo rimasti attonici… proprio nel senso di “storditi dal fragore di un tuono”. Se fumassi avrei acceso una sigaretta, ma non fumo. Ho preferito sgranocchiare croccantini di mais al formaggio e bastoncini di patate. Eulalie ne ha posto due belle ciotole al centro del tavolo da riunioni e ha invitato a servirci degli aperitivi nel frigo incassato in un mobile nero. All’improvviso, aprendo lo sportello ci siamo resi conto come la mezza luce di questa giornata nuvolosa abbia reso buia la stanza. «Questa lettura non è stata illuminante?», ha ironizzato Alizée, mentre le lampade appena accese tornavano a rischiarare la stanza.
Il punto al quale siamo giunti – puntualizzo io – è quanto mai delicato, perché sposta l’attenzione, la nostra attenzione di contemporanei, da tematiche teoriche sui revival di carattere romantico, gotico, rinascimentale alle realtà di vita vissuta, capaci di influenzare gli individui. «Siamo in presa diretta col passato», conferma Eulalie.
In sintesi: il padre di Émile da sempre si identifica con la proprietà, grazie a quel tessuto di relazioni derivato da una lunga consuetudine, da una presenza radicata, da tradizioni familiari che si sono trasmesse nel tempo. Proprio per questo motivo gode di una fiducia spontanea e condivisa, che nessuno eredita direttamente acquisendo una proprietà. Al contrario, la costruzione della “nuova abitazione” rappresenterebbe l’inizio di una “nuova fase”. In breve tempo chiunque nel borgo si abituerà alla casa e agli stili di vita moderni di Émile e Vivienne.
Stiamo di fronte a un momento di transizione: una fase in cui le vecchie consuetudini del mondo rurale, ancora vive, ma sempre più fragili, si avviano verso un inevitabile tramonto. È proprio nella consapevolezza di questo passaggio che si può intendere il senso più profondo dell’attaccamento al passato. Amare ciò che è stato, infatti, non significa illudersi sulla sua eternità, ma cercare – finché è possibile – di conservare ciò che ha valore. Insieme, prepararsi ad accogliere il momento in cui il passato sarà superato dalla modernità.
I gesti, i comportamenti, le abitudini del padre di Émile sembrano così naturali perché sono il frutto di una vita lunga, coerente, fedele a sé stessa. Per Émile e Vivienne, senza quella storia familiare alle spalle, non sarebbe facile aderirvi. Ecco allora che la soluzione migliore per loro è innalzare una casa tutta nuova, pur mantenendo in efficienza il vecchio castello, anziché demolirlo. È lo stesso padre di Émile che consiglia suo figlio di accettare l’idea di Éléonore che generosamente donerebbe loro il terreno con questo proposito. La scelta non susciterebbe alcuna resistenza da parte degli abitanti del borgo, anzi ne sarebbero felici. Ogni evento futuro rifletterà il carattere dei nuovi abitanti: giovani, moderni, con abitudini differenti, perché rispecchieranno l’armonia con i tempi moderni.
Maison de campagne – 9
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