Una mattinata fruttuosa, quella appena trascorsa con Eulalie e Alizée. Eppure, c’è stata una coincidenza che quest’oggi mi ha impressionato più di tutto. Nel fornire l’indirizzo al taxi, venuto a prendermi per rientrare in albergo, ho fatto riferimento alla rotonda di Place de la Nation. Fino a quel momento non avevo fatto caso che il monumento centrale alla piazza, intitolato “Il Trionfo della Repubblica”, venne eretto dopo la battaglia di Sedan. Fu lo scontro decisivo che risolse la guerra franco-prussiana con la memorabile sconfitta francese, rovesciò l’ordine del Secondo Impero e portò alla proclamazione della Terza Repubblica.

Qual è la coincidenza? La guerra franco-prussiana. Questo avrei dovuto precisare alle ragazze, sulle scale, anziché rispondere loro in modo laconico. In taxi, riflettendo, ho ripetuto a mezza bocca: «Je suis sûr qu’il y a une explication à tout ça». L’autista, distratto dal traffico, ha pensato che mi rivolgessi a lui. Gli ho chiarito che stavo pensando al fatto che per ogni cosa c’è sempre una spiegazione. Persino per le coincidenze, come sosteneva quell’anziano signore incontrato al Marché aux puces da André Bellegarde – chi lo ricorda? – protagonista di uno sceneggiato televisivo di successo a metà degli anni Sessanta. Proprio così. L’anziano signore sosteneva che le coincidenze sono come un arcipelago di isole. Sembrano emergere dall’acqua separate le une dalle altre, mentre appartengono al medesimo fondale marino, unico per tutte.

Émile e Vivienne, che sono benestanti, ma non ricchi, hanno idea di vivere a Creil tutto l’anno. Diversamente, i Rothschild arrivano a Férrières agli inizi di ottobre e rientrano a Parigi in gennaio. È la loro villeggiatura. In campagna, la principale fra le occupazioni sono le battute di caccia, a piedi o a cavallo. Quindi ospitano amici e parenti, e per loro imbandiscono pranzi e cene e li intrattengono con feste da ballo e spettacoli serali. Lo stesso avviene per i d’Hancourt, che all’inizio di luglio lasciano la loro residenza parigina di Place des Invalides per trasferirsi nel castello di Sainthe-Eusoge, nel cuore del Gâtinais. Si tratta, più che di una semplice villeggiatura, di un vero trasloco stagionale. Un imponente spostamento che coinvolge ogni cosa: dai giocattoli dei bambini ai loro libri scolastici, dall’argenteria alle porcellane, ai cristalli, trasferiscono persino un pianoforte a coda per le serate in musica.

La dimora di campagna dei d’Hancourt, progressivamente ampliata nel tempo, rispecchia la consueta organizzazione degli spazi delle grandi case: al piano rialzato si trovano i saloni di rappresentanza, la sala da pranzo, la sala da biliardo e la biblioteca; al primo piano, una decina di camere per i proprietari e i loro ospiti; il secondo piano è riservato ai figli; mentre i domestici alloggiano nel sottotetto. Fino a Natale, il castello vive una stagione vivacissima, animato da un continuo via vai di ospiti illustri.

A prima vista sembrerebbe che nella casa di Creil non ci siano domestici stabili. Non è proprio vero: è previsto che siano alloggiati nel sottotetto. Detto ciò, nelle dimore di campagna la distinzione fra spazi pubblici e privati, nonché spazi di servizio, assume connotazioni sempre più marcate, con l’aggiunta di ambienti concepiti per il prestigio sociale, l’ostentazione del gusto e la pratica di un tempo libero esclusivo, alimentato da laute risorse economiche e da un preciso stile di vita. Una delle prime manifestazioni di questa trasformazione è l’introduzione sistematica della sala da biliardo. Il gioco del biliardo conosce nel corso dell’Ottocento una vera e propria esplosione di popolarità. Il suono secco delle bocce d’avorio che si urtano diventa un sottofondo familiare nei palazzi più prestigiosi.

Alizée ha smesso di prendere appunti sul suo Moleskine rosso e replica: «C’è una litografia di Honoré Daumier intitolata “Una giornata di pioggia”. L’accompagna una divertente didascalia: “l’invitato è condannato a sei ore di biliardo forzato”». La vignetta di Daumier ci mette allegria, ma io, incrollabile, continuo il discorso che non ho ancora concluso.

Anche se il biliardo definisce la socialità maschile, è un altro elemento a conferire alle residenze di questo periodo un tratto distintivo inconfondibile: il giardino d’inverno in serra. Si impone ben presto come simbolo di raffinatezza e modernità. La sua collocazione ideale è a ridosso del salotto. Nel nostro caso vi si accede dalla sala da biliardo, in continuità con gli altri spazi di rappresentanza. Le serre diventano architetture leggere in ferro e vetro, spazi luminosi che sfidano le intemperie e portano la natura all’interno delle case, anche nei mesi più rigidi dell’inverno.

La serra è inondata da una luce soffusa e gremita di vegetazione: edere rampicanti, ficus e piccole palme ornamentali, piante esotiche. La nostra serra di Creil guarda verso la corte silenziosa, l’ampio giardino protetto dal muro di cinta, con i suoi angoli riservati. In questo contesto, il biliardo e la serra non sono semplici dettagli d’arredo, ma veri e propri strumenti di distinzione sociale. Parlano della gerarchia degli spazi, dell’estetica del quotidiano. Raccontano, in fondo, di un secolo in cui anche la casa – più che mai – si fa teatro della modernità.

Eulalie dubbiosa prende a rovistare fra le carte della carpetta. Io attendo che abbia finito, perché sono curioso di vedere cosa voglia mostrarci. Estrae due planimetrie dal progetto di Émile. Non ricordo se, a suo tempo, il nonno di Marcel me le avesse mostrate. Non le avrei comunque utilizzate dal momento che stavo per intraprendere accurati rilievi dei locali. I disegni si riferiscono a una redazione di progetto precedente rispetto a quella effettivamente realizzata. La distribuzione delle stanze a uno sguardo sbadato sembrerebbe la stessa, ma non lo è affatto. Hanno, tuttavia, ragione Eulalie e Alizée: i disegni effettivamente dimostrano una idea non attuata.

Per questo le due ragazze mi fanno subito notare almeno due incongruenze nella planimetria iniziale del piano terra. Quello che nel vestibolo è stato realizzato come guardaroba in realtà era un disimpegno d’ingresso allo studio di Émile. È una sorpresa anche per me, perché quel “pensatoio privato” che avevo descritto difronte l’evidenza dell’uso, in realtà si rivela come un luogo di lavoro indirizzato anche a rapporti esterni. Fosse solo per ricevere quella gente semplice del villaggio che veniva a ripianare i conti e a pagare gli affitti. Quella gente con gli scarponi infangati e il pastrano sulle spalle, alla quale alludeva il papà di Émile.

S’è fatto tardi. Sono quasi sulla porta, quando Eulalie e Alizée, mi fanno presente anche la seconda incongruenza. Ho sempre parlato di sala da biliardo, e così è riportato negli stessi disegni definitivi. Tuttavia, nella casa di Creil non c’è mai stato un biliardo e gli arredi che a suo tempo ho restaurato sono quelli piuttosto di un “Petit salon” ovverosia quello spazio raccolto, all’epoca pensato per la vita domestica, non certo per il gioco o i ricevimenti formali. Un Petit salon adibito a quelle riunioni intime che solitamente coinvolgono parenti e amici stretti. Un ambiente informale che oggi chiameremmo soggiorno, da vivere da parte di chi, in casa, trascorre molto del proprio tempo.

«Lo confermano gli oggetti eterogenei – puntualizza Alizée – che arredano un tale spazio, accostati con gusto, talvolta per contrasto, ma pur sempre secondo un criterio estetico che punta più all’armonia domestica che al “teatro della modernità”, come hai poc’anzi affermato».

Ho annuito, ma ero già sulle scale. Spontaneamente non ho potuto fare a meno di rimandare il discorso a un altro giorno e rispondere laconicamente: «Sono sicuro che ci sia una spiegazione per tutto questo». Avrei dovuto invece puntualizzare in modo chiaro e inequivocabile: «Una spiegazione c’è ed è conseguenza della disastrosa guerra franco-prussiana».

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