Più che un vero movimento si trattò di uno stato d’animo che si diffuse negli ambienti letterari
Con la pubblicazione dei Saggi sulla psicologia contemporanea di Paul Bourget nel 1883, iniziò a prendere forma il movimento decadente. Di fronte a un sentimento di declino, un’intera generazione di artisti si identificò nelle analisi delle nevrosi dei maestri contemporanei. Più che un vero movimento o scuola artistica, si trattò di uno stato d’animo, di un atteggiamento che si diffuse negli ambienti letterari e tra alcuni artisti visivi alla fine del XIX secolo. Non era una corrente letteraria omogenea, in realtà, ma una sensibilità comune che univa vari autori, ciascuno dei quali esprimeva situazioni e atmosfere diverse.
All’interno del decadentismo operarono grandi autori, ognuno con una propria personalità, testimoni di una crisi che portò a risposte contrastanti e talvolta estreme. Da una parte, c’era la poetica futurista di impronta italiana, carica di vitalismo; dall’altra, la letteratura mitteleuropea, che in quegli anni conobbe una fiorente stagione.
Il termine “decadentismo” deriva dall’aggettivo francese décadent, utilizzato dal poeta Paul Verlaine nella sua lirica Langueur, pubblicata sulla rivista Le Chat Noir, per descrivere il proprio stato d’animo rispetto alla società contemporanea. Il termine ha due significati contrapposti, in relazione alla visuale. Da un lato, quello usato in senso dispregiativo dalla critica, per descrivere la nuova generazione di poeti maledetti che scandalizzavano il pubblico rifiutando la morale borghese e vivendo al di fuori delle norme, sia nella produzione artistica che nella vita quotidiana. Dall’altro, il significato positivo rivendicato dagli autori stessi, che promuovevano un nuovo modo di pensare, estraneo ai valori della società borghese.
Lo stato d’animo decadente portò alla coniazione del termine “Fin de Siècle”, noto anche come “Décadence” (decadentismo) per l’appunto. Questo termine descrive le tendenze artistiche e l’atteggiamento verso la vita degli ultimi due decenni dell’Ottocento e, in generale, la Belle Époque fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Sebbene il termine sia tipicamente associato alla vita francese dell’epoca, il “Fin de Siècle” venne utilizzato in tutta Europa per descrivere il clima generale antecedente la Prima Guerra Mondiale.
All’alba del XX secolo, dunque, la malinconia della decadenza si evolse in uno stato d’animo apocalittico, tramutandosi in paura del mondo, come espresso da Rilke, e persino in orrore, come nelle opere di Trakl.
Il decadentismo, che nella seconda metà dell’Ottocento, aveva già fatto il suo ingresso nel panorama letterario con lo scrittore Huysman e i poeti Baudelaire, Rimbaud e Verlaine, trovò nuove ispirazioni nelle suggestioni dell’inconscio, nella raffinatezza di una sensibilità estenuata e nella rievocazione di stati d’animo morbosi ed irrazionali. Le radici del decadentismo vennero a contrapporsi, pertanto, al verismo di Zola e di Verga, trovando interpreti di spicco in autori come Oscar Wilde, Marcel Proust e Gabriele D’Annunzio.
Oscar Wilde è uno dei principali esponenti della corrente letteraria decadente. Le sue opere, come Il Ritratto di Dorian Gray e Salomè, sono dei significativi esempi. Wilde, nato a Dublino nel 1854, è noto per il suo spirito brillante e il suo stile di vita eccentrico. La sua scrittura si distingue per l’uso raffinato del linguaggio e per una sottile critica alla società vittoriana.
Una delle più alte espressioni del decadentismo viene raggiunta dal francese Marcel Proust. Nel suo monumentale romanzo Alla ricerca del tempo perduto, egli non si limita a descrivere i personaggi in modo oggettivo, ma va oltre l’apparenza, esplorando una realtà interiore attraverso un metodo simile agli studi psicoanalitici di Freud a Vienna. Proust, nato a Parigi nel 1871, è celebre per la sua prosa intricata e la sua capacità di scandagliare la memoria e il tempo. Il suo romanzo introduce il lettore in un microcosmo che riflette la società di quegli anni, ancora lontani dagli orrori della guerra, caratterizzati da frivolezza, ma già segnati dall’ombra della nostalgia e della morte.
Di tutt’altra natura è il decadentismo di Gabriele D’Annunzio. Nato a Pescara nel 1863, il poeta italiano raggiunse il successo da giovanissimo con il libro di poesie Canto nuovo, che favorì la sua tendenza a una vita fastosa, alternata da ritmi prodigiosi di lavoro e amori tempestosi, come quello con l’attrice Eleonora Duse. Nei suoi poemi (Alcione) e nei suoi romanzi (Il Piacere, L’innocente) si rispecchia lo stile decadente della sua vita. D’Annunzio, noto anche per il suo ruolo politico e le sue imprese militari, fu fautore della guerra e compì durante il conflitto imprese eroiche e demagogiche, come il sorvolo di Vienna senza bombardarla.
Il Decadentismo non si limitò a essere un semplice movimento letterario, ma si configurò come un fenomeno complesso e multiforme, permeando profondamente la cultura del primo Novecento. Le sue tematiche si intrecciarono con il pensiero filosofico, trovando espressione nelle arti visive, influenzando i dibattiti politici e lasciando un’impronta indelebile sui costumi e sulla sensibilità del tempo. Questo intreccio di discipline e prospettive definì una visione generalizzata intrisa di inquietudine, ricerca dell’assoluto e tensione verso l’ineffabile, riflettendo le ansie e le aspirazioni di un’epoca in profonda trasformazione.
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