Mentre le lasagne, come abbiamo visto, erano il
formato di pasta usato quotidianamente per il pasto serale del contadino, i maccheroni
venivano, di solito, mangiati in occasione di festività e di ricorrenze importanti per le
famiglie. Uno dei motivi principali del loro consumo limitato rispetto all'altro formato,
era dovuto al lungo e complesso procedimento di lavorazione che costringeva le massaie a
preparare la pasta alla vigilia della festa o all'alba.
I maccarruna sono ricavati da un vigoroso impasto
di farina, acqua tiepida, sale e uova in alcune zone della Sicilia. Dal composto ottenuto, ridotto prima in lunghi
cordoncini dallo spessore uniforme di un grissino, successivamente tagliato in piccoli
pezzi, la massaia, con un abile movimento delle palme delle mani, premerà sui tocchetti
di pasta fresca gli spiti (spiedi, ferri da
calza). La bravura della donna consiste nel
confezionare, nello stesso tempo, cinque o sei maccarruna
cu purtusu (col buco) alla volta. Sfilati
dai ferri i maccheroni vengono allineati su una candida tovaglia per asciugare. Successivamente bisognerà coprirli con altre
leggere tovaglie affinché possano riposare al pulito.
Dopo l'essiccazione all'aria aperta, la pasta sarà pronta per essere lessata.
Classica pietanza del Carnevale siciliano sono i "maccarruna
ca sasizza" comuni in tutta
l'Isola. Il procedimento dell'impasto è
quello che ho descritto sopra: i maccheroni ora saranno pronti per essere lessati al
dente, verranno conditi, dopo essere stati scolati, nel tegame con il pecorino e il ragù
ottenuto facendo cuocere, per ben tre ore, il concentrato di pomodoro (che originariamente
non doveva essere presente nella ricetta), la carne trita di manzo e rocchi di salsiccia. L'usanza di mangiare maccarruna ca sasizza per Carnevale viene
rispettata rigorosamente sia dalle famiglie ricche che da quelle povere anzi, uno
studioso, il Cacioppo ritiene che è "infelice colui che non può provvedersi di cibi
cotanto usitati: bisogna ch'ei sia dei più miserabili viventi, giacché n'è tanta la
voglia che alcuni degli stessi poveri in quella sera chieggono i maccheroni per elemosina.
Esiste una variante di questa ricetta nell'antica
Contea di Modica, si tratta dei "maccarruna
di sdirrimarti" . Le differenze consistono nella composizione della pasta,
che in questo caso è di farina anziché di semola, e viene impastata con l'aggiunta di
qualche uovo. Il condimento è di solo ragù
di cotenna di maiale o salsa di pomodoro. Il termine
sdirrimarti si riferisce al pranzo dell'ultimo giorno di Carnevale (la domenica ed il
lunedì precedenti erano detti sdirriminica e
sdirriluni ) che si protraeva, in questa Contea, finché non fosse suonata, a
mezzanotte, la campana a mortorio che annunciava la sopravvenuta Quaresima.
Il martedì grasso cade la tavulata, il banchetto solenne della famiglia, che
si verifica solo in questo giorno dell'anno, o lo si celebra in occasione delle nozze. La
sera, la famiglia si riunisce intorno alla grande madia dove "nuotano" nel sugo
abbondantissimi maccheroni, che saranno divorati in men che non si dica da tutti gli
astanti, dopo che il capofamiglia ha impartito la sua benedizione: "Diu vi binidica,
comu iu vi binidicu che equivale al segnale di inizio per mangiare. Le mani si stendono sui maccheroni con una tale
velocità che la madia in pochissimo tempo rimane vuota e ben pulita. Segue poi lo stufato di carne, salsiccia e per
ultimo lu scacciu (ceci, fave e mandorle
abbrustolite), il tutto innaffiato da vino abbondante.
Non solo a Carnevale si mangiano i maccheroni, come
ho già detto, ma anche durante il banchetto di nozze. La pasta, in virtù di quest'uso
nuziale, prende il nome di maccarruna di ziti. I maccheroni vengono preparati in abbondanza, sia
perché tutti vogliono fare onore al piatto di rito, sia perché una cortese usanza vuole
che un piatto se ne mandi in dono a ciascuna famiglia del vicinato. I maccheroni una volta
cotti e conditi con il sucu dello stufato,
vengono versati nella madia, dalla quale ogni invitato attinge a piene mani fino a quando
non sarà sazio. Una usanza caratteristica,
relativa al banchetto di nozze, riportata dal Pitrè, è quella di Milazzo: i maccheroni,
che anche in questo caso segnano l'inizio del banchetto, vengono versati su una tovaglia
spargendovi sopra del formaggio grattugiato. La
particolarità consiste nel fatto che, a differenza di tutti gli altri paesi siciliani in
cui la pasta veniva versata nella madia, in questo caso la si versa sulla tovaglia. L'abitudine è insolita: plausibile il mangiare
comunitario nella madia, perché l'uso di stoviglie era troppo costoso per un contadino,
ma inverosimile il costume di utilizzare la tovaglia come supporto dì questa pietanza che
l'avrebbe sporcata inevitabilmente.
Ritroviamo ancora una volta i maccheroni in occasione
di altre ricorrenze quale quella del banchetto per il battesimo. La famiglia e gli invitati al ricevimento sedevano
attorno alla tavola dove venivano serviti i maccheroni
incaciati oltre a salsiccia, coste di maiale o di montone e del vino . Questo tipo di pasta 'ncaciata veniva consumata anche per
il pranzo di mezz'agosto. Si trattava di maccheroni conditi con ingredienti stagionali che
facilmente potevano trovarsi nella cucina del contadino: pomodoro, melanzane, uova,
formaggio, salame e salsiccia. Questa
ricetta, tipicamente messinese, presenta una variante ragusana: la pasta 'ncasciata. Sostanzialmente gli ingredienti non sono
dissimili, ci sono delle aggiunte: i piselli, i fegatini di pollo, la carne tritata, la
mozzarella; restano: i pomodoro, le melanzane, il formaggio, le uova e il salame. Cambia totalmente il procedimento di cottura: nel
primo caso la pasta viene stufata con tutti gli ingredienti, nel secondo questi vengono
rosolati con l'aggiunta di olio e poi versati insieme alla pasta lessata in una teglia che
successivamente verrà messa a cuocere in forno. Da
qui il nome 'ncasciata che significa mettere in
cassa, oltre che per assonanza incaciare.
Di periodo molto antico è il piatto classico della
cucina siciliana, forse il più originale: la pasta
chi sardi. Gli elementi che la
compongono ne fanno un piatto unico: essi vanno dalla pasta al pesce, dalle verdure alla
frutta. La caratteristica più evidente è il
contrasto fra piccante e dolce, tipico della cucina siculo-araba. L'origine del piatto è leggendaria: la sua
paternità viene attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio, che sbarcato in Sicilia
alla conquista dell'Isola, si trovò a dover sfamare le sue truppe in condizioni precarie. Il cuoco aguzzò l'ingegno mettendo insieme quello
che la natura dei luoghi gli offriva e cioè il pesce e i finocchietti, la fantasia, poi,
gli suggerì l'aggiunta dei pinoli, della passolina e dello zafferano.
Forse in origine questo piatto non dovette essere
completo così come lo conosciamo, ma dovette andare incontro a progressivi
perfezionamenti attraverso i secoli. E'
probabile anche che l'uso di aromatizzare il pesce con il finocchietto selvatico risalga
al Greci o ai Romani: questi ultimi, infatti, facevano largo uso di pesce per ricavare il
"liquamen" ed il "garum" con le quali condivano pure i dolci. Certamente
l'uso arabo vi aggiunse l'uva passa, i pinoli e lo zafferano.
Non si trova d'accordo con questa attribuzione Pino
Correnti che ritiene di dover assegnare la ricetta, per l'impianto barocco che presenta,
al periodo spagnolo. L'uso
del pomodoro è stato una aggiunta successiva, come sappiamo, in quanto fu dovuta
allintroduzione di questo frutto in Sicilia intorno all'ottocento; infatti la
ricetta originale non ne prevedeva l'impiego, poiché per ottenere il necessario
colore" c'è già lo zafferano.
La realizzazione di pietanze a base di pasta così
ricche di ingredienti è una caratteristica della cucina popolare siciliana, perché
l'alimentazione frugale del contadino, dovuta essenzialmente alla sua scarsa
disponibilità economica, non permetteva di poter fare dei pasti sontuosi con abbondanza
di portate diverse. Al contrario, il mangiare
di costui era sostanzialmente costituito da un'unica portata: la pasta, appunto. La pasta, essendo un prodotto
ottenuto dalla macinazione del frumento, quindi di un cereale, apporta una considerevole
quantità di calorie , adatte a chi, come il contadino, ne spreca parecchie durante il
lavoro nei campi. Proprio perché il consumo
della carne costituiva un "unicum" nell'alimentazione del contadino, la massaia
arricchiva la pasta con altri ingredienti di più facile accesso per le sue disponibilità
economiche, facendo, così, ricorso ad elementi di largo consumo: le verdure, il formaggio
e, nelle zone costiere, il pesce.
Ecco nascere i
piatti unici. Unici in quanto non venivano
seguiti da altre portate, se non da un tozzo di pane. Piatti unici
possono considerarsi, secondo quest'ottica, tutti quelli analizzati finora, escludendo
soltanto le pietanze mangiate in occasione delle ricorrenze e delle festività, poiché,
in questo caso, venivano seguite da altre portate.
Possiamo ascrivere nella lista un altro piatto
consumato regolarmente nella tavola del contadino: la pasta chi brocculi 'rriminati. Gli ingredienti, escludendo il pesce, ci ricordano
la pasta chi sardi.
Anche qui troviamo le verdure, il cavolfiore, poi la passolina, i pinoli
e lo zafferano; di conseguenza, anche in
questo caso, la sua attribuzione può essere riportata o al connubio della cucina
siculo-araba, o a quella spagnola.
Un impianto non dissimile dalla pasta chi sardi lo si trova nella pasta c anciova e ca muddica: al di là del pangrattato abbrustolito
che ne costituisce la componente principale, ritroviamo gli stessi ingredienti: i pinoli,
l'uva passa, i finocchietti selvatici, infine le acciughe salate che furono in uso in
Sicilia dopo che i Normanni si acclimatarono nell'Isola, portandoci tanti insegnamenti sul
pesce salato. Si ritrova nella variante
palermitana l'aggiunta del pomodoro che non era presente nella ricetta originale. E' questo un piatto che si dovrebbe mangiare, in
teoria, durante la Quaresima, ma che specialmente d'inverno, è abbastanza frequente sulle
tavole della povera gente.
Proprio per l'importanza che rivestiva questo
prodotto nell'alimentazione contadina, in alcuni casi, veniva portato, crudo, come dono 4
o 5 giorni dopo il giorno del battesimo, alla famiglia che aveva festeggiato il lieto
evento, dal compare ammogliato, oltre a confetti, o galline e nastri colorati, a seconda
della consistenza delle sue finanze. Ritroviamo il costume di regalare la pasta cruda
nell'ambito degli usi funebri. Alla morte di
una persona importante per la famiglia, uno o più amici o parenti portano come dono
pasta, galline, carne od altro. Tale usanza
suole chiamarsi cunsulu o cunsula-tu cioè "quasi consolamento a
ristoro dei poveri afflitti.
Un'usanza del messinese, ma prima diffusa anche nel
resto della Sicilia, è quella del tributu o donu che fa il villico (contadino
colono, o mezzadro) al padrone, per contratto o per tradizionale uso.Tre sono i tributi
annuali che il contadino deve presentare al padrone: per Natale, per Pasqua e per la festa
del Santo Patrono. Il donu consiste in: uova, pasta e pane confezionati
in casa, caci, ricotte ma soprattutto polli. L'abitudine di portare questi doni ha uno
scopo ben preciso, al di là del contratto: farsi più benevolo il padrone e ottenere un
ricambio più vistoso. Per questo motivo il
villico aggiunge qualcosa in più rispetto all'usanza tradizionale, secondo la
possibilità di ognuno. Il tributo è,
pertanto, tutto a vantaggio dei contadino, perché egli riceverà in cambio dal padrone in
una certa quantità: pupu cu l'ovu (pasta di
biscotto che cinge un uovo sodo), pasta d'arbitriu (di
bottega), carne e qualche moneta.
Da quanto analizzato emerge chiaramente l'importanza
che rivestiva la pasta non solo nel mangiare quotidiano del contadino, ma anche
nell'ambito di doni in particolari momenti della vita del povero. |
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