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Sommario

 
 

 GASTRONOMIA SICILIANA

  

 

   LA PASTA

 
 Le origini della pasta

  

 La pasta nella cucina popolare

  

 Le lasagne

  

 I maccheroni

  

 Conclusioni
  
 
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
 
La pasta è un piatto della cucina popolare siciliana. Alimentazione frugale, permetteva di poter fare un pasto unico evitando abbondanza di portate diverse.
 
 
Gastronomia - La pasta
di Lucia Maranto

 

 

Mentre le lasagne, come abbiamo visto, erano il formato di pasta usato quotidianamente per il pasto serale del contadino, i maccheroni venivano, di solito, mangiati in occasione di festività e di ricorrenze importanti per le famiglie. Uno dei motivi principali del loro consumo limitato rispetto all'altro formato, era dovuto al lungo e complesso procedimento di lavorazione che costringeva le massaie a preparare la pasta alla vigilia della festa o all'alba.

I maccarruna sono ricavati da un vigoroso impasto di farina, acqua tiepida, sale e uova in alcune zone della Sicilia.  Dal composto ottenuto, ridotto prima in lunghi cordoncini dallo spessore uniforme di un grissino, successivamente tagliato in piccoli pezzi, la massaia, con un abile movimento delle palme delle mani, premerà sui tocchetti di pasta fresca gli spiti (spiedi, ferri da calza).  La bravura della donna consiste nel confezionare, nello stesso tempo, cinque o sei maccarruna cu purtusu (col buco) alla volta.  Sfilati dai ferri i maccheroni vengono allineati su una candida tovaglia per asciugare.  Successivamente bisognerà coprirli con altre leggere tovaglie affinché possano riposare al pulito.  Dopo l'essiccazione all'aria aperta, la pasta sarà pronta per essere lessata.

Classica pietanza del Carnevale siciliano sono i "maccarruna ca sasizza"  comuni in tutta l'Isola.  Il procedimento dell'impasto è quello che ho descritto sopra: i maccheroni ora saranno pronti per essere lessati al dente, verranno conditi, dopo essere stati scolati, nel tegame con il pecorino e il ragù ottenuto facendo cuocere, per ben tre ore, il concentrato di pomodoro (che originariamente non doveva essere presente nella ricetta), la carne trita di manzo e rocchi di salsiccia.  L'usanza di mangiare “maccarruna ca sasizza” per Carnevale viene rispettata rigorosamente sia dalle famiglie ricche che da quelle povere anzi, uno studioso, il Cacioppo ritiene che è "infelice colui che non può provvedersi di cibi cotanto usitati: bisogna ch'ei sia dei più miserabili viventi, giacché n'è tanta la voglia che alcuni degli stessi poveri in quella sera chieggono i maccheroni per elemosina.

Esiste una variante di questa ricetta nell'antica Contea di Modica, si tratta dei "maccarruna di sdirrimarti" . Le differenze consistono nella composizione della pasta, che in questo caso è di farina anziché di semola, e viene impastata con l'aggiunta di qualche uovo.  Il condimento è di solo ragù di cotenna di maiale o salsa di pomodoro. Il termine sdirrimarti si riferisce al pranzo dell'ultimo giorno di Carnevale (la domenica ed il lunedì precedenti erano detti sdirriminica e sdirriluni ) che si protraeva, in questa Contea, finché non fosse suonata, a mezzanotte, la campana a mortorio che annunciava la sopravvenuta Quaresima.

Il martedì grasso cade la tavulata, il banchetto solenne della famiglia, che si verifica solo in questo giorno dell'anno, o lo si celebra in occasione delle nozze. La sera, la famiglia si riunisce intorno alla grande madia dove "nuotano" nel sugo abbondantissimi maccheroni, che saranno divorati in men che non si dica da tutti gli astanti, dopo che il capofamiglia ha impartito la sua benedizione: "Diu vi binidica, comu iu vi binidicu” che equivale al segnale di inizio per mangiare.  Le mani si stendono sui maccheroni con una tale velocità che la madia in pochissimo tempo rimane vuota e ben pulita.  Segue poi lo stufato di carne, salsiccia e per ultimo lu scacciu (ceci, fave e mandorle abbrustolite), il tutto innaffiato da vino abbondante.

Non solo a Carnevale si mangiano i maccheroni, come ho già detto, ma anche durante il banchetto di nozze. La pasta, in virtù di quest'uso nuziale, prende il nome di maccarruna di ziti.  I maccheroni vengono preparati in abbondanza, sia perché tutti vogliono fare onore al piatto di rito, sia perché una cortese usanza vuole che un piatto se ne mandi in dono a ciascuna famiglia del vicinato. I maccheroni una volta cotti e conditi con il sucu dello stufato, vengono versati nella madia, dalla quale ogni invitato attinge a piene mani fino a quando non sarà sazio.  Una usanza caratteristica, relativa al banchetto di nozze, riportata dal Pitrè, è quella di Milazzo: i maccheroni, che anche in questo caso segnano l'inizio del banchetto, vengono versati su una tovaglia spargendovi sopra del formaggio grattugiato.  La particolarità consiste nel fatto che, a differenza di tutti gli altri paesi siciliani in cui la pasta veniva versata nella madia, in questo caso la si versa sulla tovaglia.  L'abitudine è insolita: plausibile il mangiare comunitario nella madia, perché l'uso di stoviglie era troppo costoso per un contadino, ma inverosimile il costume di utilizzare la tovaglia come supporto dì questa pietanza che l'avrebbe sporcata inevitabilmente.

Ritroviamo ancora una volta i maccheroni in occasione di altre ricorrenze quale quella del banchetto per il battesimo.  La famiglia e gli invitati al ricevimento sedevano attorno alla tavola dove venivano serviti i maccheroni incaciati oltre a salsiccia, coste di maiale o di montone e del vino . Questo tipo di pasta 'ncaciata veniva consumata anche per il pranzo di mezz'agosto. Si trattava di maccheroni conditi con ingredienti stagionali che facilmente potevano trovarsi nella cucina del contadino: pomodoro, melanzane, uova, formaggio, salame e salsiccia.  Questa ricetta, tipicamente messinese, presenta una variante ragusana: la pasta 'ncasciata.  Sostanzialmente gli ingredienti non sono dissimili, ci sono delle aggiunte: i piselli, i fegatini di pollo, la carne tritata, la mozzarella; restano: i pomodoro, le melanzane, il formaggio, le uova e il salame.  Cambia totalmente il procedimento di cottura: nel primo caso la pasta viene stufata con tutti gli ingredienti, nel secondo questi vengono rosolati con l'aggiunta di olio e poi versati insieme alla pasta lessata in una teglia che successivamente verrà messa a cuocere in forno.  Da qui il nome 'ncasciata che significa mettere in cassa, oltre che per assonanza incaciare.

Di periodo molto antico è il piatto classico della cucina siciliana, forse il più originale: la pasta chi sardi.  Gli elementi che la compongono ne fanno un piatto unico: essi vanno dalla pasta al pesce, dalle verdure alla frutta.  La caratteristica più evidente è il contrasto fra piccante e dolce, tipico della cucina siculo-araba.   L'origine del piatto è leggendaria: la sua paternità viene attribuita al cuoco del generale arabo Eufemio, che sbarcato in Sicilia alla conquista dell'Isola, si trovò a dover sfamare le sue truppe in condizioni precarie.  Il cuoco aguzzò l'ingegno mettendo insieme quello che la natura dei luoghi gli offriva e cioè il pesce e i finocchietti, la fantasia, poi, gli suggerì l'aggiunta dei pinoli, della passolina e dello zafferano.

Forse in origine questo piatto non dovette essere completo così come lo conosciamo, ma dovette andare incontro a progressivi perfezionamenti attraverso i secoli.  E' probabile anche che l'uso di aromatizzare il pesce con il finocchietto selvatico risalga al Greci o ai Romani: questi ultimi, infatti, facevano largo uso di pesce per ricavare il "liquamen" ed il "garum" con le quali condivano pure i dolci.  Certamente l'uso arabo vi aggiunse l'uva passa, i pinoli e lo zafferano.

Non si trova d'accordo con questa attribuzione Pino Correnti che ritiene di dover assegnare la ricetta, per l'impianto barocco che presenta, al periodo spagnolo. L'uso del pomodoro è stato una aggiunta successiva, come sappiamo, in quanto fu dovuta all’introduzione di questo frutto in Sicilia intorno all'ottocento; infatti la ricetta originale non ne prevedeva l'impiego, poiché per ottenere il necessario “colore" c'è già lo zafferano.

La realizzazione di pietanze a base di pasta così ricche di ingredienti è una caratteristica della cucina popolare siciliana, perché l'alimentazione frugale del contadino, dovuta essenzialmente alla sua scarsa disponibilità economica, non permetteva di poter fare dei pasti sontuosi con abbondanza di portate diverse.  Al contrario, il mangiare di costui era sostanzialmente costituito da un'unica portata: la pasta, appunto. La pasta, essendo un prodotto ottenuto dalla macinazione del frumento, quindi di un cereale, apporta una considerevole quantità di calorie , adatte a chi, come il contadino, ne spreca parecchie durante il lavoro nei campi.  Proprio perché il consumo della carne costituiva un "unicum" nell'alimentazione del contadino, la massaia arricchiva la pasta con altri ingredienti di più facile accesso per le sue disponibilità economiche, facendo, così, ricorso ad elementi di largo consumo: le verdure, il formaggio e, nelle zone costiere, il pesce.

Ecco nascere i piatti unici.  Unici in quanto non venivano seguiti da altre portate, se non da un tozzo di pane. Piatti unici possono considerarsi, secondo quest'ottica, tutti quelli analizzati finora, escludendo soltanto le pietanze mangiate in occasione delle ricorrenze e delle festività, poiché, in questo caso, venivano seguite da altre portate.

Possiamo ascrivere nella lista un altro piatto consumato regolarmente nella tavola del contadino: la pasta chi brocculi 'rriminati.  Gli ingredienti, escludendo il pesce, ci ricordano la pasta chi sardi.   Anche qui troviamo le verdure, il cavolfiore, poi la passolina, i pinoli e lo zafferano; di conseguenza, anche in questo caso, la sua attribuzione può essere riportata o al connubio della cucina siculo-araba, o a quella spagnola.

Un impianto non dissimile dalla pasta chi sardi lo si trova nella pasta c’ anciova e ca muddica: al di là del pangrattato abbrustolito che ne costituisce la componente principale, ritroviamo gli stessi ingredienti: i pinoli, l'uva passa, i finocchietti selvatici, infine le acciughe salate che furono in uso in Sicilia dopo che i Normanni si acclimatarono nell'Isola, portandoci tanti insegnamenti sul pesce salato.  Si ritrova nella variante palermitana l'aggiunta del pomodoro che non era presente nella ricetta originale.  E' questo un piatto che si dovrebbe mangiare, in teoria, durante la Quaresima, ma che specialmente d'inverno, è abbastanza frequente sulle tavole della povera gente.

Proprio per l'importanza che rivestiva questo prodotto nell'alimentazione contadina, in alcuni casi, veniva portato, crudo, come dono 4 o 5 giorni dopo il giorno del battesimo, alla famiglia che aveva festeggiato il lieto evento, dal compare ammogliato, oltre a confetti, o galline e nastri colorati, a seconda della consistenza delle sue finanze. Ritroviamo il costume di regalare la pasta cruda nell'ambito degli usi funebri.   Alla morte di una persona importante per la famiglia, uno o più amici o parenti portano come dono pasta, galline, carne od altro.   Tale usanza suole chiamarsi cunsulu o cunsula-tu cioè "quasi consolamento a ristoro dei poveri afflitti.

Un'usanza del messinese, ma prima diffusa anche nel resto della Sicilia, è quella del   tributu o donu che fa il villico (contadino colono, o mezzadro) al padrone, per contratto o per tradizionale uso.Tre sono i tributi annuali che il contadino deve presentare al padrone: per Natale, per Pasqua e per la festa del Santo Patrono.  Il donu consiste in: uova, pasta e pane confezionati in casa, caci, ricotte ma soprattutto polli. L'abitudine di portare questi doni ha uno scopo ben preciso, al di là del contratto: farsi più benevolo il padrone e ottenere un ricambio più vistoso.  Per questo motivo il villico aggiunge qualcosa in più rispetto all'usanza tradizionale, secondo la possibilità di ognuno.  Il tributo è, pertanto, tutto a vantaggio dei contadino, perché egli riceverà in cambio dal padrone in una certa quantità: pupu cu l'ovu (pasta di biscotto che cinge un uovo sodo), pasta d'arbitriu (di bottega), carne e qualche moneta.

Da quanto analizzato emerge chiaramente l'importanza che rivestiva la pasta non solo nel mangiare quotidiano del contadino, ma anche nell'ambito di doni in particolari momenti della vita del povero. 

   
 
   
   
 
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