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Sergio Bertolami
e Rosa Manuli -
EX AQUA -
Il braccio di San Raineri
Pagine 240
Versione brossura
Formato 15,24 x 22,86
Editrice - Experiences Srl
 

Costo Brossura:
Euro 16,00

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  LA FILOSOFIA IN ITALIANO
 
 
 

 

 

 

Giordano Bruno (in realtà si chiamava Filippo Bruno) è più noto per essere stato condannato al rogo dall’inquisizione romana, che per il suo pensiero. In effetti questo presenta molti punti in comune con il precedente filosofo Nicola Cusano. La sua filosofia nasce dalla fusione di neoplatonismo e arti mnemoniche con influssi ebraici e cabalistici. Il suo punto più caratteristico consiste nella teoria della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo.

Molto della sua vita lo dobbiamo ai verbali del processo inquisitorio. Nacque a Nola nei pressi di Napoli, alle pendici del monte Cicala, da famiglia povera. Da qui narra, la visuale del grande Vesuvio gli fece pensare da bambino che il mondo fosse concluso in quell’area e che non vi fosse altro oltre il vulcano. Crescendo ed esplorando scoprì il contrario. Capì che non ci si poteva fidare del semplice giudizio dei sensi, ma che, oltre ogni illusorio limite, c’è sempre una realtà da scoprire.
Dei suoi studi giovanili all’università di Napoli, dove studiò lettere, logica e dialettica, Giordano Bruno cita espressamente due nomi di suoi professori: il “Sarnese”, tale Giovan Vincenzo de Colle, nato a Sarno, e un agostiniano, certo fra' Teofilo da Vairano, suo professore di logica. Del primo sappiamo che era un aristotelico di scuola averroista. Probabilmente da lui mutuò le sue teorie antiumanistiche e antifilologiche. Al secondo rimase molto legato, per sua stessa affermazione, tanto da farne il protagonista dei suoi dialoghi cosmologici. Sempre il Bruno racconta d’essersi da giovane appassionato allo studio dell'arte della memoria. Probabilmente lesse il trattato Phoenix seu artificiosa memoria di Pietro Tommai, del 1492.

A «14 anni o 15 incirca» Giordano Bruno entra in convento, il domenicano di San Domenico Maggiore di Napoli, abbandonando il suo vero nome per assumere quello, appunto, di Giordano. In realtà non vi era passione in lui di tipo teologico, ma l’interesse di portare avanti i suoi studi di filosofia, al sicuro in un ordine allora molto potente.
I conventi all’epoca, tuttavia, erano assai dissimili da quelli odierni: appena in tre anni, dal 1567 al 1570, furono emesse, nei confronti dei frati di San Domenico Maggiore, ben diciotto condanne per scandali sessuali, furti e addirittura omicidi. L’esperienza conventuale, perciò, ebbe grande importanza sul giudizio di Bruno. Ciononostante il convento era conosciuto per la ricchezza della sua biblioteca, e se dei testi erano mancanti, come, ad esempio, quelli di Erasmo da Rotterdam (messi all’indice), egli riuscì a procurarseli e a leggerli. Nei suoi studi di filosofia lesse moltissimi testi ed autori, come: di Aristotele e di Tommaso d'Aquino, di san Gerolamo e di san Giovanni Crisostomo, di Marsilio Ficino, di Raimondo Lullo e di Nicola Cusano.

Giordano Bruno, intanto, fu ordinato sacerdote (nel 1573), la sua prima messa avvenne poco dopo  nel convento di San Bartolomeo in un paesino presso Salerno (Campagna), e si laureò in teologia (nel 1575) con una doppia tesi: una su Tommaso d'Aquino e l’altra su Pietro Lombardo. L’anno successivo, purtroppo, ebbe la disgrazia di parlare della Trinità con un frate domenicano, certo Agostino da Montalcino, ospite, in quel momento, del convento. Bruno gli svelò di aver «dubitato circa il nome di persona del figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte dal Padre», e, cioè, che non erano persone o sostanze differenziate, ma espressione diretta di Dio.
Frà Agostino non se lo fece dire due volte, e lo denunciò al padre provinciale Domenico Vita, il quale aprì unun’indagine su di lui per eresia. “…per il che, dubitando di non esser messo in preggione, mi partii da Napoli ed andai a Roma”
Qui trovò residenza nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui amministratore era Sisto Fabri da Lucca, che diverrà successivamente generale dell'Ordine (assumendo anche compiti da inquisitore). Ma la città capitolina era tutt’altro che tranquilla in quel periodo. Nella situazione caotica avvenivano furti ed omicidi quotidianamente. Bastò poco e all’accusa di eresia si aggiunse quella di omicidio. Nel frattempo, venne a sapere che a Napoli erano stati scoperti i testi “sacrileghi” da lui letti e che si stava istruendo un processo d'eresia nei suoi confronti A quel punto Giordano Bruno non poté far altro che abbandonare la città e fuggire.

   
   
   
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