Giordano Bruno (in realtà si chiamava
Filippo Bruno) è più noto per essere stato condannato al rogo
dall’inquisizione romana, che per il suo pensiero. In effetti
questo presenta molti punti in comune con il precedente filosofo
Nicola Cusano. La sua filosofia nasce dalla fusione di
neoplatonismo e arti mnemoniche con influssi ebraici e
cabalistici. Il suo punto più caratteristico consiste nella
teoria della pluralità dei mondi e dell'infinità dell'universo.
Molto della sua vita lo dobbiamo ai verbali del processo
inquisitorio. Nacque a Nola nei pressi di Napoli, alle pendici
del monte Cicala, da famiglia povera. Da qui narra, la visuale
del grande Vesuvio gli fece pensare da bambino che il mondo
fosse concluso in quell’area e che non vi fosse altro oltre il
vulcano. Crescendo ed esplorando scoprì il contrario. Capì che
non ci si poteva fidare del semplice giudizio dei sensi, ma che,
oltre ogni illusorio limite, c’è sempre una realtà da scoprire.
Dei suoi studi giovanili all’università di Napoli, dove studiò
lettere, logica e dialettica,
Giordano Bruno cita espressamente due nomi di suoi
professori: il “Sarnese”, tale Giovan Vincenzo de Colle, nato a
Sarno,
e un agostiniano, certo fra' Teofilo da Vairano,
suo professore di logica. Del primo sappiamo che era un
aristotelico di scuola averroista.
Probabilmente da lui mutuò le sue teorie antiumanistiche
e antifilologiche. Al secondo rimase molto legato, per
sua stessa affermazione, tanto da farne il protagonista dei suoi
dialoghi cosmologici. Sempre il Bruno racconta d’essersi da
giovane appassionato allo studio dell'arte della memoria.
Probabilmente lesse il trattato Phoenix seu artificiosa
memoria di Pietro Tommai,
del 1492.
A «14 anni o 15 incirca» Giordano
Bruno entra in convento, il domenicano di San Domenico Maggiore
di Napoli, abbandonando il suo vero nome per assumere quello,
appunto, di Giordano. In realtà non vi era passione in lui di
tipo teologico, ma l’interesse di portare avanti i suoi studi di
filosofia, al sicuro in un ordine allora molto potente. I
conventi all’epoca, tuttavia, erano assai dissimili da quelli
odierni: appena in tre anni, dal 1567 al 1570, furono emesse,
nei confronti dei frati di San Domenico Maggiore, ben diciotto
condanne per scandali sessuali, furti e addirittura omicidi.
L’esperienza conventuale, perciò, ebbe grande importanza sul
giudizio di Bruno. Ciononostante il convento era conosciuto per
la ricchezza della sua biblioteca, e se dei testi erano
mancanti, come, ad esempio, quelli di Erasmo da Rotterdam
(messi all’indice), egli riuscì a procurarseli e a
leggerli. Nei suoi studi di filosofia lesse moltissimi testi ed
autori, come: di Aristotele e di Tommaso d'Aquino, di san
Gerolamo e di san Giovanni Crisostomo, di Marsilio Ficino, di
Raimondo Lullo e di Nicola Cusano.
Giordano Bruno,
intanto, fu ordinato sacerdote (nel 1573), la sua prima messa
avvenne poco dopo nel convento di San
Bartolomeo in un paesino presso Salerno
(Campagna), e si laureò in teologia (nel 1575)
con una doppia tesi: una su Tommaso d'Aquino e l’altra su Pietro
Lombardo. L’anno successivo, purtroppo, ebbe la disgrazia di
parlare della Trinità con un frate domenicano, certo Agostino da
Montalcino, ospite, in quel momento, del convento. Bruno gli
svelò di aver «dubitato circa il nome di persona del figliolo e
del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte
dal Padre», e, cioè, che non erano persone o sostanze
differenziate, ma espressione diretta di Dio. Frà Agostino
non se lo fece dire due volte, e lo denunciò al padre
provinciale Domenico Vita, il quale aprì unun’indagine su di lui
per eresia. “…per il che, dubitando di non esser messo in
preggione, mi partii da Napoli ed andai a Roma” Qui trovò
residenza nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva,
il cui amministratore era Sisto Fabri da Lucca, che diverrà
successivamente generale dell'Ordine (assumendo anche compiti da
inquisitore). Ma la città capitolina era tutt’altro che
tranquilla in quel periodo. Nella situazione caotica avvenivano
furti ed omicidi quotidianamente. Bastò poco e all’accusa di
eresia si aggiunse quella di omicidio. Nel frattempo, venne a
sapere che a Napoli erano stati scoperti i testi “sacrileghi” da
lui letti e che si stava istruendo un processo d'eresia nei suoi
confronti A quel punto Giordano Bruno non poté far altro che
abbandonare la città e fuggire.
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