Se Vincenzo Gioberti fu cresciuto
nella prospettiva del sacerdozio, dopo aver studiato presso i
padri dell'Oratorio di San Filippo Neri e ordinato nel
1825, il suo interesse si volse verso i temi dell’attualità,
soprattutto politica. Influenzato dalle idee del Mazzini, venne
nella convinzione della necessità dell’unione italiana, convinto
della supremazia italiana e della supremazia stessa del papato.
Conosciuto il re Carlo Alberto di Savoia, fu
nominato da questi suo cappellano. La sua
personalità preponderante e l’influenza stessa conquistata a
corte gli creò non poche inimicizie. Rinunciato al suo incarico
nel 1833, si ritirò a vita privata. Ciononostante, accusato di
cospirazione, fu arrestato e incarcerato. Dopo aver subito
quattro mesi di carcere, fu espulso dal Regno di Sardegna. A
Parigi iniziò il suo esilio, per poi trasferirsi a Bruxelles,
dove rimase fino al 1845. Qui insegnò filosofia e realizzò
sull’argomento diversi importanti trattati, mai dimenticando,
tuttavia, riferimenti all’Italia e alla sua
situazione politica. Nel 1846 a Parigi lo raggiunse la
notizia dell’amnistia dichiarata da Carlo Alberto. Pur potendo
rientrare in Italia, rimase a Parigi fino alla primavera del
1848. Tornato in Piemonte il 29 aprile, fu accolto con grande
benevolenza ed entusiasmo. Il Re gli offerse la nomina a
senatore del Regno, Giobertì preferì
l’ingresso nella Camera dei deputati, a rappresentanza della sua
città natale. Immediatamente fu eletto al suo interno
presidente, divenendo il primo Presidente della Camera dei
deputati del Regno di Sardegna. Nel frattempo fondò e diresse la
Società nazionale per la confederazione italiana.
Essendo caduto il governo il 16 dicembre 1848, fu nominato da
Carlo Alberto presidente del Consiglio, ma il suo governò durò
appena fino al 21 febbraio 1849. Con l’abdicazione di Carlo
Alberto e la salita al trono di Vittorio Emanuele, la sua vita
di politico giunse, praticamente, al termine. Dopo aver fatto
parte del nuovo governo, con la carica di ministro senza
portafogli, per insanabili divergenze, gli fu affidato un
compito diplomatico a Parigi: Gioberti riprese la via del nuovo
esilio. Non tornò più in Italia, rifiutando persino la pensione
accordatagli o qualsivoglia promozione ecclesiastica. In
povertà, ma con grande dignità, visse i suoi ultimi anni. Morì a
Bruxelles per un infarto il 26 ottobre 1852.
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