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IN OCCASIONE DELLE GIORNATE
EUROPEE DEL PATRIMONIO 2011, ECCO LA
MOSTRA CHE, PARTENDO DAL TOPONIMO, NARRA LE
VICENDE CHE HANNO RIGUARDATO L'AREA
FALCATA DI MESSINA E LA NATURALE DISPOSIZIONE
DEL SUO PORTO. |
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SPECIALE SAN RAINERI |
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Comunicato stampa |
La biografia di San Raineri |
Il
Santo e Messina |
Il
Santo e Messina /2 |
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A Messina la
mostra «de Lingua Phari»
ripercorre la storia del Braccio di
San Raineri
da I VESPRI
n 38 del
08/10/2011 |
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«Dapprima il
nome della città era Zankle, come
era stata chiamata dai Siculi,
perché il luogo ha la forma simile a
quella di una falce, e i Siculi
chiamano la falce zanclon». Così
Tucidide descrive gli albori di
Messina, identificata con la
penisola ricurva che contorna il
porto, dall’antichità uno degli
scali commerciali più importanti del
Mediterraneo. La mostra «de
Lingua Phari» descrive la storia
della Falce in modo piano,
sintetico, diretto. Da Falce legata
al mito di Crono a grande struttura
portuale nelle idealità
post-risorgimentali e del primo
Novecento legate al progresso. Nelle
bacheche troviamo i libri di una
moltitudine di autori: dai classici
– come Diodoro siculo, Erodoto,
Esiodo, Pausania, Strabone,
Callimaco – ai moderni studiosi
delle Università siciliane e
calabresi. Una mostra rivolta
anzitutto ai giovani, come gli
studenti dell’Ateneo messinese,
visto che ad allestirla è stata
proprio la Biblioteca Regionale
Universitaria di Messina “Giacomo
Longo” con Experiences, società di
promozione culturale. Ha preso
l’avvio in occasione delle Giornate
Europee del Patrimonio 2011, ma che
si protrarrà oltre, fino al 21 di
novembre. Una tematica
particolarmente sentita nella città
dello Stretto, quella dell’area
falcata, negli ultimi anni sempre
più marginalizzata, ma che dovrà
tornare a valorizzare la propria
esistenza, perché cuore
dell’identità storica di Messina.
Oggi questa lingua di terra cerca il
suo nuovo volto.
La mostra,
dunque, ne ripercorre
l’evoluzione, attraverso il
riferimento ai resti archeologici,
alla monetazione, ai culti
precristiani e cristiani, alle
presenze fisiche espresse dalle
costruzioni che ne hanno
caratterizzato precipui momenti
storici. Presenze che si leggono
attraverso le carte che
arricchiscono i pannelli
espositivi. Il monastero del SS.
Salvatore, espressione della
classicità greca tramandata nei
codici che la Biblioteca ancora
conserva. Il Forte nato sui resti
del cenobio basiliano e che ne
tramanda il nome. L’arsenale per
la costruzione di vascelli da
opporre al nemico ottomano. Il
Lazzaretto e la miriade di piccole
chiese e sontuosi conventi a
testimonianza della precarietà
dell’esistenza, fra pestilenze e
carestie. Infine la possente
Cittadella spagnola elevata
«ad eterno
freno dei malcontenti»
che avevano osato la
rivolta contro il governo
spagnolo.
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Questa mostra
non si limita solo a riproporre
storie che i libri pubblicati nel
corso del tempo hanno già
raccontato. Ne individua di nuove, a
dimostrazione che la
ricerca prosegue il suo corso. Maria
Teresa Rodriquez, una dei due
curatori, traduce un brano inedito
dal manoscritto greco 29 in mostra,
scritto con meticolosa cura
d’amanuense dal monaco Daniele.
Dalle sue parole è possibile
scoprire che il fondatore del SS.
Salvatore non è l’abate Luca, ma San
Bartolomeo di Simeri, che,
celebrando la sua ultima messa prima
di essere giustiziato, è fulcro di
una manifestazione prodigiosa, fra
schiere di angeli. «Subito
brivido e stupore prese tutti quanti
e, alla notizia, tutta la città dei
Messinesi fu turbata e tutti, uomini
e donne, vecchi e giovani, schiavi e
liberi, e gente di ogni età si
gettarono di un sol animo ai piedi
del santo, chiedendogli grazia».
Il re Ruggero da allora lo considerò
come un padre, dicendogli: «Nel
presente luogo fu accesa una pira
contro di te. Disponi cosa dovrà
esserci qui». E San Bartolomeo
vi fondò quello che sarà il più
grande, ricco e potente monastero
edificato dal re normanno in
Sicilia.
Una sostanziale rilettura
dalla tradizione letteraria locale
la propone Sergio Bertolami,
l’altro curatore della mostra e
autore con Rosa Manuli del libro
“ex Aqua”. È anche questo un
evento miracoloso. Soprattutto è
un avvenimento politico di portata
europea, grazie al quale la
penisola ha stabilmente assunto la
denominazione di «Braccio di
San Raineri». È raffigurato
nella sezione che ha luogo nella
chiesa dell’antico seminario di
Mons. Paino ubicata, come la
Biblioteca, nel palazzo
arcivescovile. L’esposizione
riproduce suggestivi dipinti
concessi dall’Arcidiocesi di Pisa
e dall’Opera della Primaziale
Pisana. Sono le ottocentesche
acqueforti di Carlo e Gian Paolo
Lasinio che raffigurano gli
affreschi medievali del Campo
Santo monumentale sulla vita di
San Ranieri. Perché è proprio il
santo protettore della prestigiosa
città toscana che ha dato nome
all’area falcata, con “il Miracolo
di Messina”. Un miracolo post
mortem, compiuto per
riconciliare angioini ed aragonesi
a conclusione della lunga guerra
dei novant’anni, iniziata con il
Vespro del 1282. Con il trattato
di Avignone del 1372 la Sicilia
conquistava, infatti, l’ambita
autonomia dal regno di Napoli. Due
Stati distinti dall’acqua (ex
aqua) dello Stretto e, per
garantire la pace, la reliquia del
santo pisano posta sull’area
falcata sacralizzata. |
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di Pietro Frazzica
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