Nella panelleria si consumavano anche minuscole crocchette di patate, dette cazzilli; in rapporto alla stagione broccoli, cardi, carciofi… rigorosamente fritti in pastella. Oltre ai cazzilli si potevano gustare persino anelletti al forno, sarde a”beccafico”, frittura di calamari, melanzane alla parmigiana, a “quaglia”, trippa, pasta con le sarde e quanto di più buono offrisse la tradizione.
Per strada si incontravano, invece, il poliparo ovvero il venditore di polpo, il venditore di frittole, i banchi con la griglia sulla quale era cotta la “stigghiola”, stecca fatta con interiora di vitello intrecciata con verdi gambi di cipolla. La sua lunga cottura richiede notevole abilità e va consumata bollente con sale e limone. La stigghiola può essere consumata anche bollita, in tal caso prende il nome di quarume cioè caldure. Il quarumaro acquista i visceri del vitello che, puliti con acqua e sale, subiscono una prebollitura prima di passare a quella nel brodo con i tipici aromi di carota, cipolla, sedano e pomodoro.
Bollito è servito anche il “musso”, la parte del vitello che comprende la testa, i piedi, le mammelle, i genitali. I vari pezzi lessati vengono serviti freddi, tagliati e cosparsi di limone, su un piano inclinato coperto di larghe foglie di broccolo. Si tratta, è evidente, di una gastronomia popolare adatta ad un forte palato, ma pregnante di storia, un patrimonio culturale da salvaguardare.