Nel Palazzo dell’Università di Messina, nella prestigiosa aula dell’Accademia Peloritana dei Pericolanti (II Classe di Scienze Medico Biologiche) lunedì 1 luglio 2019 alle ore 15,30 un importante convegno sul tema “Neutrofili intratumorali nei carcinomi dell’apparato digerente”.
Chi ricorda quelle professioni oggi scomparse, eliminate dalle nuove attività, dalle tecnologie, dal progresso. Ne ricordiamo alcune, voi ne ricorderete molte altre. Un gioco di memoria tra presente e passato.
Agli albori della navigazione, l’oceano inesplorato era considerato pericoloso e ostile. A quei tempi, i marinai navigavano attorno al mondo affidandosi all’osservazione delle stelle e alla loro esperienza. Tuttavia, non potevano dipendere solo dalla loro esperienza nei viaggi alla volta di nuovi continenti attraverso acque sconosciute. Quanto più chiaro diventava il loro intento, tanto aumentava il desiderio di ricchezze. I progressi compiuti nella scienza e nella tecnica dell’osservazione astronomica, oltre a carte nautiche e strumenti di navigazione più precisi, potevano assicurare il buon esito dei lunghi viaggi per mare.
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I PRIMORDI DEI LUNGHI VIAGGI PER MARE
Buffalo Bill, pseudonimo di William Frederick Cody (Le Claire, 26 febbraio 1846 – Denver, 10 gennaio 1917), è stato un attore e cacciatore statunitense. Fu anche soldato, esploratore e impresario teatrale. Anche in Italia erano molto popolari le storie su Buffalo Bill, tanto che l’editore Nerbini di Firenze, negli anni venti e trenta del Novecento, pubblicò diversi volumetti di sue avventure. Quando, nel 1942, l’Italia si trovò in guerra contro gli Stati Uniti, Nerbini rivelò che Buffalo Bill era in realtà un immigrato italiano, tal Domenico Tombini, nato in Romagna, ossia nella regione il cui centro è Forlì, allora nota come “la città del Duce”. Così, le pubblicazioni poterono continuare nonostante la guerra. La cosa era un’invenzione bella e buona, che servì all’editore Nerbini per evitare la censura che sarebbe potuta abbattersi su un eroe “americano” durante la guerra contro gli Stati Uniti.
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BUFFALO BILL LA CORSA ALLA MORTE ATTRAVERSO I CAMPI NEMICI – 1906/1908
il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino ha inaugurato la quarta e nuova esposizione permanente sullo spettacolo della natura a più di due secoli dalla nascita di Charles Darwin. Il percorso espositivo si sviluppa su una superficie di circa 1.500 metri quadrati, articolato in tre macro-aree.
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LO SPETTACOLO DELLA NATURA
Argento, mercurio ed oro costituiscono gli elementi in gioco del primo procedimento fotografico di successo: la dagherrotipia, frutto di un vero e proprio miracolo tecnologico ottocentesco e oggi più che mai riconosciuta come un bene unico ed insostituibile del patrimonio culturale mondiale. Era il 1839 e la diffusione pubblica dell’invenzione della dagherrotipia, nata nel pieno della civiltà industriale, introdusse un nuovo medium, tra i più universali e in continua evoluzione, attraverso il quale il nostro sguardo posato sul mondo si è definitivamente modificato.
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PHOTOGRAPHY ON A SILVER PLATE
La casa del gatto che gioca (La Maison du chat-qui-pelote) è un romanzo di Honoré de Balzac. Costituisce l’opera di apertura delle Scènes de la vie privée (Scene di Vita Privata), il primo gruppo di opere costituenti La Comédie humaine. Inizialmente intitolato Gloire et Malheur (Gloria e Sfortuna), questo breve romanzo fu completato a Maffliers nell’Ottobre del 1829 e pubblicato dall’editore Mame-Delaunay nel 1830. La prima edizione fu seguita da quattro edizioni revisionate. L’edizione finale, pubblicata da Furne nel 1842, apparve col titolo di La Maison du chat-qui-pelote e fu essa stessa sottoposta a correzioni mai terminate. L’idea per la storia nacque dalla merceria gestita dai Sallambiers, ramo materno della famiglia di Balzac. L’opera è dedicata a Mademoiselle Marie de Montheau.
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HONORÉ DE BALZAC LA MAISON DU CHAT-QUI-PELOTE – 1829
Seguendo l’onda emotiva suscitata dalle prime sensazionali scoperte a Pompei e ad Ercolano intorno alla metà del XVIII secolo, cresce il numero di viaggiatori che dall’Europa si spostano in Italia per ammirare le vestigia del passato. Grazie alla sensibilità dei sovrani borbonici le città sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. tornano alla luce con le loro splendide pitture, immagini di un mondo che si credeva scomparso per sempre. Il Grand Tour, il viaggio alla scoperta dei siti antichi italiani, fu un vero e proprio movimento culturale, che affiancò l’affermarsi del neoclassicismo nella letteratura e nell’arte. L’antico detta il gusto e diventa un modello imprescindibile di bellezza ed armonia. I rampolli delle nobili famiglie europee completavano il loro percorso di istruzione con questo viaggio, a volte pericoloso e faticoso, che poteva durare anche anni. Un’esperienza certamente ricca di emozioni, compiuta in nome del sapere e della conoscenza, da un lato, e dell’evasione e del diletto, dall’altro. La Sicilia è una delle mete privilegiate, che attrae con il fascino irresistibile delle sue rovine. Il patrimonio monumentale siciliano offriva inoltre la singolare opportunità di incontrare la civiltà greca, senza dovere affrontare un pericoloso viaggio in Grecia, all’epoca sotto la dominazione turca. Molti viaggiatori riempiono i taccuini della loro esperienza a contatto con l’antichità e, talvolta, corredano le loro impressioni di illustrazioni. Studenti di arte, incisori e vedutisti lasciano preziose testimonianze delle loro “visioni di antico” nei luoghi d’arte italiani.
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IL GRAND TOUR
L’intreccio delle fibre vegetali è una delle più antiche attività dell’uomo, che ispirandosi alla natura realizzò nel tempo contenitori delle fogge più varie e copricapo per ripararsi dal sole. Nel 1714 a Signa, Domenico Michelacci detto Bolognino, cominciò a coltivare grano marzuolo, dalla spiga piccola con chicchi minuti, per ottenere paglia da intrecciare. Lo seminò fitto, affinché nel cercare la luce crescesse in lunghezza, ed in solchi poco profondi, per poterlo poi facilmente sbarbare ancora flessibile prima che il culmo ingrossasse e la spiga granisse. Il Michelacci, avvalendosi della maestria diffusa nell’intreccio della paglia per fare cappelli, ne fece fare una gran quantità, utilizzando gli ultimi internodi di quegli steli. Presentò quindi quei bei prodotti sulla piazza di Livorno, ottenendo immediatamente un grandissimo successo, confermatosi in breve specialmente in Inghilterra, che ne commissionò sempre maggiori quantità.
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IL CAPPELLO DI PAGLIA DI SIGNA
Questo volume, pubblicato col contributo dell’Assessorato ai Giovani del Comune di Napoli, documenta, presenta il risultato di un progetto laboratoriale che, nel caso specifico attraverso il linguaggio del fumetto, ha inteso portare all’attenzione degli alunni coinvolti la delicata questione del bullismo. Le storie pubblicate, popolate da principi e da bulli, da robot e da cantanti neomelodici, sospese tra realtà e fantasia, svelano nei disegni dei bambini il loro modo di guardare al problema, talvolta ingenuo, talaltra spaventato o semplicemente incuriosito, ci raccontano il loro modo di trasfigurare il mondo attraverso il segno e il colore, ci rappresentano emozioni spesso taciute, ci rivelano potenzialità nascoste. Soprattutto, vedere i bambini esprimersi attraverso l’arte, misurarne i risultati in termini di entusiasmo, di crescita personale, incoraggia noi formatori a sperimentare le molteplici possibilità educative dell’arte.
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